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De Lorenzo: “Mi ha fatto trascorrere sette mesi di inferno”

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Signor De Stefano,
questa mia lettera le giungerà nell’esilio in cui la Magistratura lo ha, ed a ragione, relegato. Sono fermamente convinto che, di certo, non si aspettava di chiudere la sua carriera, ricca di incarichi politici, in un modo sì squallido. Ma tant’è! Il destino è invero strano.

Lei è fuori regione, mentre io, venerdì mattina, dopo tanti mesi, farò ritorno al mio lavoro in ospedale. Sono emozionato così come, lasciata l’università, lo ero il primo giorno, iniziando la mia professione di medico. Qualche mese fa, dall’alto del suo potere, non avrebbe, mai e poi mai, ipotizzato, neanche lontanamente, un epilogo del genere. E’ la vita!

In questi giorni, sono, prepotentemente, ritornate alla mia mente, dal polveroso magazzino della memoria, la parole che lei ebbe a profferire quando si insediò, qui a Benevento, per volere mastelliano. “Io sono abituato a non aver paura dei camorristi dell’entroterra napoletano, figuriamoci se mi spaventano i sanniti!”. Ed, invece, guarda caso, è inciampato, quasi per gioco, dinanzi ad un sannita modesto, quale io sono. E’ la natura, signor De Stefano, che spesso si diverte oltre l’inverosimile.

Un vecchio adagio recita: “I diritti cadono in mano ai fessi”. Ed io, le assicuro, in questa circostanza, sono oltremodo orgoglioso di essere “fesso”, fors’anche, fuori misura. Mi ha fatto trascorrere sette mesi da inferno, con l’avvallo dei suoi sodali verso i quali, nelle intercettazioni, mentre li costringeva a piegarsi ai suoi voleri, poi, con qualche amico, venivano etichettati con epiteti da trivio: “…pezzo di mer…, bella chiavica tutti e due….”, e giù di lì. Che squallore!

Bene. Se non fosse intervenuta la Procura della Repubblica di Napoli con i Carabinieri di Caserta, io sarei stato licenziato senza motivo. Non avrei avuto scampo poiché, sempre dal contenuto delle intercettazioni, si evidenzia che stava condizionando finanche il Presidente della Commissione dei Garanti presso la Regione Campania. Questa lotta la porterò sino in fondo, sinchè in me ci sarà un solo alito di vita, dal momento che io ho avuto la possibilità di difendermi, mentre altri, al mio posto, avrebbero dovuto abbassare la testa ed assecondare. Quella testa che, dinanzi alle sue minacce di punizione, hanno dovuto, impietosamente, abbassare la Dott.ssa Maria Rosaria Di Stasio – “se proprio mi costringete, faccio ciò che mi chiedete” ed il Dirigente del Servizio Personale, Dott. Claudio Campanelli, che lei definisce “il piccolo scrivano fiorentino”, quando decise, onde evitare le sue imposizioni, di rivolgersi a lei solo attraverso le lettere quotidiane. Poi, in ultimo, dinanzi al paventato non rinnovo del contratto dirigenziale scadente il prossimo 31 dicembre, anche lui ha dovuto cedere. Oggi, dinanzi alla realtà, lei abbia almeno il pudore di dimettersi. Se non altro per rispetto verso la sua famiglia. Non so, mi creda, i suoi nipoti, un giorno, avendo, tra le mani, i testi di quelle intercettazioni che giudizio potranno farsi del nonno. Dall’alto dei suoi capelli bianchi, capirà che, nella vita, talune azioni vanno evitate proprio pensando ai figli, ai nipoti verso i quali abbiamo il dovere, pur se tra le inevitabili pecche insite nella natura di ognuno di noi, di meritare il rispetto. Se avesse dato ascolto alla sua segretaria che, sempre al telefono, la invitava ad essere prudente, non si sarebbe trovato in questa situazione. Le ripeteva: “….Direttore, stia attento, De Lorenzo, è imprevedibile….”. E lei, di rimando, “Ma no, sono imprevedibili i nostri, dottoressa, che non hanno il coraggio di mettere penna su carta. Quale De Lorenzo!” Quasi, per dire, che De Lorenzo era un povero sventurato. Vada via! Scompaia, per sempre, dalla nostra comunità. Sappia, per sua conoscenza, che anche se, ancora oggi, molta della nostra gente trascorre l’intera giornata piegandosi sulla vanga per guadagnarsi un tozzo di pane, la schiena non l’ha mai curvata dinanzi ad alcuno. Ed io, anche se in un silenzio assordante, ho ben dimostrato di non piegarla dinanzi a lei ed ai suoi sodali. Bell’esempio, poi, il suo braccio destro, quel Falato che lo assecondava pendendo dalle sue labbra. Siete stati, però, mi permetta, estremamente ingenui. Ma è possibile che, con i tempi che corrono, si organizzi a telefono la distruzione di un professionista onesto? Leggerezza o sicurezza di essere impuniti? Sappia, signor De Stefano, che io sarò, fors’anche il medico più mediocre d’Italia, ma sono, senza verun dubbio, un medico onesto sino all’inverosimile. Per lei, oggi, provo tanta pietà e voglio sperare che Iddio le conceda l’avvedutezza di rendersi conto di quanto male mi ha causato. Chi, come lei, è avanti negli anni, ed io, per primo, che non sono più giovane, in taluni momenti della vita, rendendosi conto di quanto ha combinato, dovrebbe trovare almeno la forza morale di chiedere scusa pubblicamente. Sarebbe, mi creda, una prova di grande coraggio, ma costituirebbe un gesto di dignità, tardiva sì, ma, comunque, di dignità.

Giuseppe De Lorenzo

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