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Calcio

Strega, giù il sipario. Cosa resterà di questa annata? Cosa abbiamo imparato per il futuro?

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Deposti i vessilli e messe a riposo le corde vocali, al popolo giallorosso non rimane che affidarsi alle cure del tempo per lenire il dolore, tutt’altro che lancinante a dire il vero, di una delusione finale in fondo abbastanza prevedibile.

Il ritrovato entusiasmo della piazza, destato prevalentemente dall’attaccamento alla maglia e dalla componente emotiva più che razionale, l’accenno di compattezza palesato nelle ultime uscite e un po’ di buona sorte, avevano ingannato pubblico e addetti ai lavori, destando l’impressione che il Benevento di Caserta sarebbe stato in grado di dire la sua in una competizione imprevedibile solo in linea teorica, visto che alla lunga son venuti fuori i reali valori.

La trasferta all’ombra della Torre, invece, ha smascherato la Strega rimettendone a nudo le note e molteplici magagne caratterizzanti l’intera annata: tendenza a sciogliersi come neve al sole alle prime difficoltà, capacità di reazione prossima allo zero, totale assenza di un piano strategico alternativo e ben pochi alibi ai quali aggrapparsi per mitigare lo sconforto. Il tutto condito da un impetuoso fiume di dichiarazioni conclusive banali e rasentanti l’irritazione, su cui è preferibile stendere un velo pietoso.

Testimonianza concreta della prevedibilità del flop è nel vago sentore di estraneità e disaffezione dell’ambiente nei confronti di una squadra praticamente mai riuscita a farsi apprezzare ed instaurare un saldo feeling con la propria tifoseria, probabilmente la colpa più grave di cui si sia macchiata l’attuale guida tecnica, ma rimarcare per l’ennesima volta le lacune, anzi, le voragini dell’operato di Caserta appare attività ormai inutile e deleteria.

Discorso simile per quanto concerne il refrain imperante da tempo immemore in giro e sui social, vale a dire il rigido divieto di esternare disappunto per la mancata promozione in quanto la Serie B rappresenterebbe un lusso per la nostra comunità, concetto francamente illogico e paralizzante in termini di crescita e mentalità. E’ vero, abbiamo desiderato ardentemente la cadetteria per ben 87, lunghissimi anni, ed è giusto, se non doveroso, evitare di snobbare la categoria, ma secondo quale astruso sillogismo aristotelico questo concetto si dovrebbe tradurre in accettazione passiva di ogni insuccesso sportivo che cestini sciaguratamente la possibilità di tornare in massima serie donando prestigio, visibilità e opportunità socio-economiche all’intera città?

In ogni caso, più opportuno archiviare disamine e controversie, e centrare lo sguardo sulla necessità di ripartire nel migliore dei modi per affrontare a dovere un prossimo campionato che si prospetta piuttosto complicato, fosse solo per l’arrivo di big quali Genoa e Cagliari e il desiderio di rilancio del Parma, giusto per limitarsi alle nobili decadute.

La sensazione è che sia necessario il più classico dei repulisti per smaltire rapidamente le scorie negative, rivitalizzare il parco ambizioni e riaccendere la scintilla ambientale. Il destino di Caserta, inutile girarci intorno, appare inevitabilmente e giustamente segnato, per tutte le ragioni elencate in precedenza, e una sua clamorosa riconferma assumerebbe i contorni dell’autolesionismo gratuito. Parte della piazza parrebbe chiedere a gran voce anche la testa del direttore sportivo Pasquale Foggia, additato come secondo responsabile della delusione stagionale, con l’aggravante di una percentuale di colpe della scorsa, bruciante retrocessione mai pubblicamente giustificata.

Occhio, però, a valutare criticamente l’operato dell’uomo mercato partenopeo, da analizzare nell’arco della sua intera parentesi sannita e non sulla base delle recenti amarezze. Giovane età, felici intuizioni e successi, infatti, non mancano nel suo curriculum e sono tra i pilastri del saldo rapporto con il patron Vigorito nonché dei rumors che lo accostano alla Lazio. Inoltre, si tenga ben presente che l’eventuale addio di Foggia difficilmente farà da apripista all’arrivo di un direttore sportivo navigato, carismatico e competente a cui concedere carta bianca (per intenderci, un nome alla Sabatini, sulla bocca di tutti in queste ore), poiché un simile profilo non ha mai trovato terreno fertile dalle parti di via Santa Colomba. Il rischio di muoversi a passo di gambero, dunque, sembra concreto e da questo punto di vista la scelta di confermare-cambiare ds è senz’altro la più delicata.

Diverso lo scenario relativo ai calciatori, visto l’elevato numero di atleti passibili di saluti per ragioni che spaziano dal mero rendimento al termine del proprio ciclo in giallorosso, passando per posizioni contrattuali ardue da definire. Ad un primo, fugace sguardo, la base da cui ripartire potrebbe annoverare Paleari, Barba, Letizia, Acampora, Viviani, Improta e Forte, un numero decisamente esiguo, a conferma della necessità di una mini rivoluzione, ma si tratta di disamine ampiamente premature, su cui riflettere accuratamente nelle prossime settimane.

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