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CRONACA

Frode fiscale: sequestri della Finanza per 3 milioni d’euro nel salernitano. Coinvolta anche un’azienda sannita

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Emissione di fatture per “operazioni inesistenti”, frode fiscale ed indebita compensazione di crediti I.V.A. in sede di dichiarazione annuale.

Sono queste le ipotesi di reato nei confronti di un’imprenditrice di Padula, amministratore di una S.r.l. operante nel settore delle calzature con sede legale ed operativa in Sassano – in provincia di Salerno – e di un professionista di Sala Consilina, consulente contabile della citata società.

La Guardia di Finanza di Sala Consilina sta eseguendo un’ordinanza di sequestro preventivo “per equivalente”, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Lagonegro, per 3 milioni di euro sull’intero patrimonio immobiliare e mobiliare nella disponibilità dei due.

Le indagini condotte dalle Fiamme Gialle hanno, infatti, evidenziato che entrambi i soggetti, in concorso tra loro ed in esecuzione del medesimo disegno criminoso, avrebbero emesso falsi documenti contabili nei confronti di una società di logistica e servizi con sede in provincia di Benevento, a Castelfranco di Miscano, già sottoposta ad amministrazione giudiziaria dall’A.G. di Benevento, che si occupava di raccogliere presso vari calzaturifici italiani componenti che poi spediva in Albania, per risparmiare sulla manodopera, riconsegnando il prodotto finito ai calzaturifici da cui provenivano le materie prime.

Tale azienda, a completamento dello schema fraudolento, circa la bontà delle operazioni, provvedeva puntualmente al pagamento delle fatture attraverso bonifici bancari.

Tuttavia, l’azione ispettiva ha consentito comunque di dimostrare la falsità delle operazioni, atteso che a fronte di ogni bonifico bancario sono stati rilevati prelievi di denaro contante per importi corrispondenti, in spregio alla vigente normativa antiriciclaggio, trattandosi di somme superiori anche ai 100 mila euro.

Inoltre, le scritture contabili e le dichiarazioni annuali della società salernitana erano state ad hoc predisposte per “camuffare” tali ingenti operazioni, inserendo costi fittizi, riportati in bilancio come “giroconti”, privi di qualsivoglia giustificazione civilistica e fiscale.

L’esame incrociato delle scritture contabili di entrambe le aziende ha ulteriormente confermato tali ipotesi investigative, poiché nel bilancio d’esercizio della società beneventana le fatture d’acquisto risultavano pagate solo in parte, evidenziando debiti nei confronti dell’azienda sassanese per oltre 2,5 milioni di euro, artificio ad hoc predisposto per accedere alle procedure fallimentari, puntualmente rilevato dall’A.G. di Benevento che ha appunto disposto l’amministrazione giudiziaria dell’azienda di Castelfranco in Miscano.

Avendo il calzaturificio di Sassano emesso false fatture di vendita per oltre 5 milioni di euro, per compensare la conseguente posizione debitoria nei confronti dell’erario, sia ai fini dell’I.V.A. sia ai fini dell’I.R.E.S., gli indagati avrebbero predisposto dei veri artifizi contabili, consistiti nell’anteporre in dichiarazione delle cifre all’importo reale degli acquisiti, in modo da “gonfiarli a dismisura”.

Mediante tale stratagemma, sono stati simulati costi per oltre 4,5 milioni di euro e l’azienda è così risultata creditrice nei confronti del fisco, incassando rimborsi per circa 300 mila euro.
Per tali motivazioni, il consulente contabile è stato deferito alle competenti Autorità per aver infedelmente apposto il c.d. “visto di conformità”, avendo certificato all’Agenzia delle Entrate l’esistenza e la legittimità di tale credito d’imposta.

Analogo provvedimento cautelare è stato disposto anche nei confronti dei beni della società, avendo l’Autorità magistratuale rilevato, in punto di diritto, sulla base delle più recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione, che la “persona giuridica” non può in tale contesto essere considerata “terza estranea al reato”, avendo direttamente partecipato all’utilizzazione degli incrementi economici derivati dall’ingente frode perpetrata dagli indagati a proprio vantaggio, disponendo pertanto il sequestro preventivo per “equivalente” di beni anche nei confronti della “società – schermo”.

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