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Opinioni

Portofino e il Fortore sono entrambi in Italia: ecco per cosa votiamo alle elezioni europee

Nel report annuale pubblicato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sui redditi 2023 tutti gli interrogativi sui quali oggi dovremmo interrogarci muovendo dall’analisi di ciò che in questi cinque anni sarebbe potuto essere e non è stato. Di ciò che davvero è rimasto del Next Generation Eu e, dunque, del Pnrr

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La scorsa settimana abbiamo provato a riflettere sul senso più profondo delle elezioni europee del prossimo 9 giugno e la risposta più convincente ai nostri quesiti è arrivata a distanza di pochi giorni, segnatamente mercoledì scorso, con la pubblicazione, da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del report nazionale sulle dichiarazioni dei redditi nel 2023 basate sull’anno d’imposta del 2022. Nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo.

L’Italia continua ad essere un Paese spaccato, la Lombardia resta stabilmente la regione col reddito pro capite più elevato, seguita dal Trentino-Alto Adige e dall’Emilia-Romagna, mentre tutte le regioni meridionali chiudono la classifica, con la Calabria che si conferma ultima, seguita da Molise e Puglia, mentre la nostra Campania si posiziona al sestultimo posto, ovvero quindicesima.

È in questa impietosa istantanea, del tutto simile a quelle scattate negli anni e nei lustri precedenti, che vanno ricercati gli interrogativi sui quali oggi dovremmo interrogarci, ai quali le forze politiche dovrebbero provare a dare una risposta, muovendo da un’analisi di ciò che è stato in questi ultimi cinque anni, ovvero di ciò che non è stato.

Banale considerare, infatti, che il Next Generation Eu fu concepito, in piena crisi pandemica, proprio con l’obiettivo di colmare il gap tra le aree meno sviluppate d’Europa ed il resto del Continente. E non a caso le risorse più ingenti furono riconosciute al nostro Paese, all’interno del quale si rilevano gli squilibri più sensibili tra aree territoriali, non a caso fu riconosciuto al nostro Mezzogiorno almeno il 40 per cento degli investimenti prefissi con particolare riferimento alle aree interne, che pagano a loro volta un enorme divario con il resto dei territori e rappresentano, contestualmente, il naturale baricentro delle politiche di sviluppo su cui saremmo chiamati a giocare la sfida del futuro.

Ora è del tutto evidente che più di qualcosa non ha funzionato, i fatti ci dicono che lo spirito del Piano nazionale di ripresa e resilienza è stato grandemente tradito, che buona parte dei progetti infrastrutturali immaginati nelle aree interne del Mezzogiorno sono stati stralciati, è evidente che il vincolo del 40 per cento degli investimenti da garantire al Sud è stato del tutto disatteso.

Intendiamoci, non stiamo dicendo che se tutto fosse andato per il verso giusto oggi il report del Ministero ci avrebbe restituito un Paese diverso, un reddito pro-capite omogeneo da Sondrio a Lampedusa, ma stiamo dicendo che oggi avremmo dovuto e potuto rivendicare il percorso compiuto in ossequio agli obiettivi fissati dal Next Generation Eu, avremmo quantomeno potuto immaginare un barlume di luce in fondo al tunnel, avremmo potuto ricorrere quantomeno al balsamo di un ragionevole ottimismo.

Così non è ed è di questo, non di altro, che oggi dovremmo ragionare, soprattutto a queste latitudini, dove si rilevano i redditi più bassi d’Italia, i livelli di disoccupazione giovanile più alti del vecchio continente, dove da venti anni almeno ragioniamo di alta velocità e piattaforma logistica, di un nuovo modello di sviluppo che con il Pnrr avremmo dovuto e potuto realizzare ma che invece, purtroppo, è rimasto solo sulla carta. Perché il treno da solo non basterà, potrà essere utile, tutt’al più, a rendere più comodo il viaggio della speranza per i nostri ragazzi.

E invece ragioniamo di alleanze, di accordi sui territori volti a garantire questa o quella consorteria per l’avvenire, ragioniamo di tradimenti e patti, di intese. Le europee altro non sono che l’occasione per verificare equilibri di potere, per preparare nuovi scenari in vista delle elezioni regionali, nel migliore dei casi per mettere in discussione i rapporti di forza interni ai partiti e alle coalizioni, perché in fin dei conti, da queste parti, la politica resta il primo employer dei territori, la politica che attraverso l’occupazione sistematica di ogni spazio di potere decide i destini di intere generazioni da generazioni. Premia i fedeli e punisce i migliori.

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