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CULTURA

‘Pacchi pieni d’amore ai figli emigrati’: Giovanni Perfetto, commerciante e artista che racconta il dolore di una Benevento spopolata ma che resiste

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“Benevento non sa ridere più. Ma sa ancora emozionare”. Questa frase mi risuona nella testa dopo aver riagganciato il telefono. Dall’altra parte della cornetta c’era un amico che in tanti conoscono: è Giovanni Perfetto, commerciante di razza, comico per vocazione, intellettuale per istinto. Uno di quei personaggi che attraversano la città non solo con il passo del venditore attento o dell’artista disilluso, ma con lo sguardo di chi osserva ogni cosa per capirla, per raccontarla, per proteggerla.

Nel suo negozio in piazza Castello – “Tutto di Bufala” – arrivano clienti, confidenze e anche carezze spedite lontano, dentro i pacchi pieni d’affetto diretti ai figli emigrati. E lì, tra una mozzarella e una battuta, si misura ogni giorno il battito reale di una città in trasformazione.

Con Giovanni si parla di cabaret e di nostalgia, di televisione e social che hanno stravolto la risata, ma anche di famiglie che si svuotano, di giovani che vanno via, di saracinesche abbassate. Eppure, tra le sue parole si infilano spiragli di resistenza: quei ragazzi che restano, che leggono, suonano, sognano, costruiscono cultura tra i vicoli. Che lottano per un futuro migliore. Con Giovanni non è solo un’intervista: è un viaggio dentro una Benevento stanca ma viva, triste ma testarda. Una città che ha ancora qualcosa da dire, se solo sapessimo ascoltarla.

Giovanni, partiamo dal principio: quando hai capito che la comicità e il cabaret erano qualcosa che ti apparteneva davvero?
La verità? Non l’ho ancora capito se mi appartengono o meno. Penso di essere nato in un momento storico sbagliato. Viviamo una fase di trasformazione, negli ultimi 20 anni è cambiato il tempo della risata, la gente non ride più come una volta o comunque ride per altre cose rispetto al passato. Ed io mi sento fuoriluogo.

Prima del covid, ma anche successivamente, hai organizzato diverse rassegne comiche in città. Secondo te la pandemia ha inciso su questo cambiamento?
Siamo tentati nel dare la colpa al covid, ma non è così. Era già cambiato tutto il mondo della comicità. Con l’avvento della stand-comedy, dove scimmiottiamo gli americani con lo humor nero, ma anche con le trasmissioni televisive come ‘Made in Sud’, con la claque di sottofondo, sono passate idee sbagliate di comicità. O perlomeno è un tipo di comicità che non mi piace e che non so fare. Quando salivo su un palcoscenico o scrivevo un testo, lo facevo immaginando il rumore delle risate delle persone, oggi mi sembra che tormentoni e altro siano fatti solo per appagare protagonismi personali.

La critica è soprattutto alla tv e ai social…
Credo fermamente che la comicità in tv non si possa fare. Tutti i comici che ho visto sul piccolo schermo e che poi ho riproposto nelle serate, hanno dimostrato potenziali nettamente superiori rispetto a quelli visti con tempi televisivi. In un teatro o in una sala c’è una atmosfera diversa: luci, palco, platea, anche l’attenzione è differente. L’artista ha bisogno di instaurare un feeling con il suo pubblico, di riscaldarlo, di interagire. In tv, purtroppo, tutto questo non avviene. Per non parlare dei social, dove i comici sono aiutati da montaggi serrati, effetti, cambi di scena. Penso anche alle pagine satiriche dove c’è una comicità che è perlopiù ‘matematica’, con battute ‘usa e getta’ che si ispirano all’attualità dell’informazione e che durano meno di 12 ore.

Secondo te oggi ci sarebbe ancora spazio per il cabaret in città?
Iniziative culturali di questo tipo devono essere rivolte ad un pubblico più adulto e maturo. I più giovani, ahimè, nati a stretto contatto con i telefonini e avendo a disposizione – come supporto visivo – materiale fotografico e video illimitato, stanno perdendo creatività ed immaginazione, oltre ad avere un livello di attenzione pari ad un reel da storia instagram. Il cabaret di un comico tradizionale, basato sull’aneddoto e sulla narrazione, non funzionerebbe con questo tipo di pubblico, al quale mancherebbe la capacità di visualizzare nella testa quel racconto.

La tua vita è fatta soprattutto di commercio. La tua attività in piazza Castello, ‘Tutto di Bufala’, è un punto di riferimento per chi cerca qualità e autenticità. Al banco, con i clienti, riesci a sintetizzare le tue due anime: quella del commerciante e quella del comico?
Sono nel commercio da 24 anni, il cabaret è sempre stato invece una passione. Rispetto al passato, oggi è diventato davvero difficile far sorridere i clienti al banco.

Perché?
Quasi tutte le famiglie beneventane si portano dentro un dolore grande: quello del figlio emigrato. Lo spopolamento incide tantissimo sulle nostre vite e sulla nostra felicità. Quando un giovane va via per studiare o cercare un lavoro, credo che nascano tre problemi: quello del ragazzo che va via e la città si svuota; il dolore della lontananza da parte della famiglia, tristezza che tocco con mano quotidianamente raccogliendo in negozio le confessioni di mamme e nonne che preparano il ‘pacco da giù’. Infine, le difficoltà dei giovani fuori, che molto spesso hanno bisogno del sostegno economico familiare, con l’inevitabile spostamento di denaro dal circuito commerciale cittadino. Nei periodi di festa, invece, si respira tutt’altra atmosfera in città: tornano tutti, le famiglie sono più sorridenti, anche l’acquisto si fa con un altro spirito. La città torna a vivere con musica e gente. C’è voglia di dialogare. Può sembrare una banalità, ma non lo è. Ultimamente sono anche persone di una certa età, pensionati e anziani, che vanno via da Benevento per raggiungere i propri figli altrove. Lo spostamento demografico è un dramma grosso, che incide su tutto: sulla cultura, sul presente, sul futuro e sule trasformazioni della città.

Come si inverte la rotta?
Non lo so, spero che sia solo una fase. Fortunatamente c’è anche chi decide di tornare a casa dopo aver trascorso tanti anni fuori. Quello che però avverto da cittadino, commerciante e comico, è questa ‘centrifuga sentimentale’ che ci fa essere irrequieti in tutti i settori. Ti faccio un esempio.

Prego
Avevo un sito di e-commerce, dove vendevo prodotti tipici locali a sanniti che vivono fuori. L’ho dovuto chiudere perché la pressione e l’apprensione delle famiglie erano diventate insostenibile. Se la prendevano con me se un pacco non partiva, se il camion aveva un guasto per strada ed era costretto a fermarsi, se c’era uno sciopero. Comprendo le famiglie: ho visto signori mettere cose inimmaginabili all’interno dei pacchi per i figli, tipo il pan carrè già impanato e solo da friggere per fare la mozzarella in carrozza. Carezze e gesti d’affetto che fanno riflettere.

Da attento osservatore quale sei, come vedi la città sul piano culturale?
C’è un fermento importante e forte. Spesso fanno notizia fatti di cronaca relativi a giovanissimi, ma vedo anche tanti ragazzi in città che leggono libri, che sono appassionati di cinema e teatro. La città è viva da questo punto di vista: ci sono tanti locali che fanno jam session, che puntano su arte, poesia, musica, libri. Dai fratelli Razzano al Funambolo, per citarne solo alcuni, vedo che si sta facendo un lavoro importante. Il mio invito è a partecipare, ad uscire tutte le sere e a contribuire per premiare i sacrifici messi in campo dagli operatori culturali. Parliamoci chiaro: se respiri cultura, sarai sicuramente una persona migliore. Se ti emozioni ad uno spettacolo teatrale, difficilmente butterai una carta a terra, passerai col rosso al semaforo o parcheggerai in uno stallo riservato ai diversamente abili. La cultura ci arricchisce, ci educa e ci migliora. 

A proposito di cultura, a marzo sei stato una spalla importante per Frascadore e Girolamo nel successo dell’evento ‘Janara’. Credi nell’indotto turistico delle streghe?
Ho dato una mano in maniera amichevole. Conoscendo Nico, a settembre ci saranno nuove idee interessanti. Janara deve diventare una festa partecipata, dove i beneventani richiamano in città amici e parenti che vivono fuori. Il tema delle streghe è un indotto importantissimo che va cavalcato perché appartiene alla nostra storia e alle nostre tradizioni. Benevento è un gioiello ricco di anfratti e vicoli meravigliosi. A marzo scorso siamo riusciti a portare i tantissimi visitatori fin dentro i portoni dei palazzi per ascoltare e ammirare le nostre storie. E’ stata una emozione incredibile.

Sul piano commerciale, invece, su cosa bisogna intervenire?
 E’ fondamentale dare supporto gratuito sul piano burocratico a quanti – coraggiosi – decidono di investire in città con una attività: molto spesso si commettono tanti errori in fase di avvio o nei primi anni – acquisti sbagliati, gestione tasse e personale – che poi compromettono l’andamento e decretano la chiusura del negozio.

Mi avevi accennato anche ad una proposta interessante…
Perché non istituire una Giornata dedicata ai locali commerciali sfitti? Immaginare una sorta di fiera, attraverso una sinergia pubblico-privato, per creare una iniziativa per imprenditori, cittadini e potenziali investitori, nella quale promuovere la valorizzazione e la riutilizzazione di negozi dismessi: potrebbe essere un bel tentativo di rivitalizzare spazi e aree dove ci sono saracinesche abbassate da troppo tempo. Potrebbe essere inoltre un incentivo a portare persone in città anche sul piano turistico.


Per chiudere, cosa ti auguri per la nostra Benevento?
Mi auguro il meglio. Giro tanto e mi rendo conto che non siamo secondi a nessuno su tanti aspetti. Siamo un po’ sfortunati sul piano della posizione geografica e sulla mancanza di infrastrutture stradali adeguate. Penso alla ‘Telesina’: già dobbiamo sudarci l’arrivo dei turisti, poi questi poverini – una volta a Benevento – si ritrovano la sorpresa con tanto di ‘book fotografico’ scattato da tutte quelle macchinette installate sulla strada (ndr. il riferimento alle multe degli autovelox). Così come si ritrovano ‘fotografati’ tanti lavoratori ‘criminali’ – rei di aver superato di poco il limite e quindi degni di essere multati -, gente che fa sacrifici quotidianamente e che percorre quella arteria pericolosa e piena di problemi. 

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