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POLITICA

La Provincia di Benevento, specchio delle nostre miserie

Una disputa lunare, una sorta di stallo messicano, che ci restituisce la misura della mediocrità, della inadeguatezza e della povertà culturale delle nostre classi dirigenti. Uno squallido assalto alla diligenza del potere che trova senso esclusivamente nell’eterna contesa per la conquista del consenso

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Consideriamo la riforma Delrio, che trasformò le Province in enti di secondo livello sul presupposto che gli italiani avrebbero votato a favore del disegno di riforme costituzionali proposto dal governo Renzi, il più grande obbrobrio della storia repubblicana dalla riforma del titolo V in poi. E dunque siamo da sempre favorevoli ad una nuova riforma che restituisca alle Province il rango di enti di primo livello e, dunque, ai cittadini elettori il diritto di eleggere direttamente il Presidente e il Consiglio.

Tanto premesso, quello che sta accadendo alla Provincia di Benevento, dove si è determinato una condizione lunare, una sorta di stallo messicano, ci restituisce la misura della mediocrità, della inadeguatezza e della povertà culturale delle nostre classi dirigenti. Sarebbe sbagliato parlare di un unicum, perché quanto sta accadendo a Benevento è già accaduto in molti altri contesti, in Campania e in giro per il Mezzogiorno, a partire da Avellino dove ogni elezione provinciale, dal 2014 ad oggi, si è risolta in uno scontro tribale tra apparati, e dove da ormai tre anni c’è un Presidente espressione del Pd che governa con il sostegno del centrodestra.

Il punto è che la riforma Delrio definisce le Province enti collegiali, restituisce al Presidente un potere assoluto, non contempla distinzione tra maggioranza e minoranza, non contempla nemmeno l’istituto della sfiducia. La Provincia, secondo la riforma, dovrebbe essere la casa dei sindaci e dei territori, e la norma imporrebbe la convergenza tra le varie forze politiche in una logica di condivisione.

Il punto è che la riforma ha cancellato gli elettori ma non le funzioni e a queste latitudini la leva pubblica resta la principale leva occupazionale ed economica. A dispetto della norma le Province hanno continuato a rappresentare un fondamentale presidio di gestione agli occhi degli apparati, un fortino da conquistare, da militarizzare per distribuire prebende, per coltivare consenso, per oliare il meccanismo clientelare. Chi governa la Provincia gestisce ingenti risorse, ha il potere di incidere sulle dinamiche economiche dei territori. La Provincia è un interlocutore indispensabile per ogni sindaco, è il luogo nel quale si definiscono strategie ed investimenti sui territori, dove si assumono decisioni che impattano profondamente sulle comunità. Dunque governare la Provincia diventa fondamentale per preparare ogni campagna elettorale, che si tratti di elezioni amministrative, regionali e persino politiche. E non è un caso se a Benevento sta accadendo quello che sta accadendo, visto che in autunno, tutt’al più nella primavera del 2026, saremo chiamati alle urne per le regionali.

La partita che si sta giocando sulla pelle delle comunità è quella delle alleanze in vista del voto per Palazzo Santa Lucia, è una partita che inciderà inevitabilmente sui rapporti di forza in vista della contesa, che determinerà il posizionamento delle varie consorterie, ma è una partita che non ha nulla a che fare con il ruolo che l’ente dovrebbe esercitare. Non c’è merito che vada oltre la dimensione elettorale, non è altro che uno squallido assalto alla diligenza del potere.

In attesa di capire cosa accadrà a De Luca, con quali equilibri si arriverà alla campagna elettorale per le regionali, se sarà una partita a due o a tre gambe, sui territori gli apparati hanno la necessità di posizionarsi, di costruire alleanze, di preparare il terreno. E la Provincia è il primo presidio di potere sul quale si gioca la contesa, è un presidio di potere la cui gestione consegna enormi spazi per imporre mediazioni, per coltivare la dinamica del ricatto, dell’affarismo politico ed istituzionale, per saldare interesse, per arruolare nuovi soldati, per blindare pezzi di territorio. Sempre e comunque nell’interesse dei cittadini.

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