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Calcio

I ricordi di Dellisanti: “Dal timore dell’esonero alla gioia più bella. La Strega di nuovo in C? Si punti a costruire”

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Se l’Islam ufficiale annovera nel Corano venticinque profeti, i tifosi del Benevento ne contano e ne ricorderanno sempre e soltanto uno. Di origini tarantine e di carattere mite, arrivò nel Sannio da Castrovillari nell’estate del 1998. Poche parole ma tante idee, tanti valori. E una fissa per l’organizzazione. Agli aficionados della Strega insegnò che dalle sconfitte ci si rialza. E per chi proprio non voleva credere, fece anche il miracolo: ruppe la maledizione dei playoff e ci regalò una C1 che nel Sannio mancava da oltre venti anni. Ancora di più il tempo trascorso da quel 13 giugno del 1999 a oggi. E di Benevento più forti ne abbiamo avuti. Di più belli forse no. Ecco perché Franco Dellisanti – per dirlo con un coro – sarà sempre uno di noi. “E questo mi riempie di gioia. L’affetto dei beneventani dà valore a quello che abbiamo fatto. Non lo dico molto spesso ma per il tipo di calcio che proponevamo eravamo all’avanguardia. All’epoca in pochi, come noi, ritenevano che il risultato dovesse arrivare attraverso il gioco. Un gioco piacevole e redditizio. Camminavano su una strada che in pochi battevano, in particolare in Serie C, ma che col tempo è diventata quella principale. C’è una partita di quella stagione emblematica in tal senso”.

Sarebbe?

“Benevento-Messina ma non parlo della finale di Lecce. Una partita della stagione regolare, avevamo dieci infortunati e affrontavamo una delle big del campionato. Nonostante le assenze, scendemmo in campo per vincere e vincemmo. Succede solo quando una squadra ha dei principi di gioco, quando tutti i calciatori sanno cosa fare e credono in quello che fanno”.

Quel campionato vinto a Benevento resta la sua soddisfazione più grande?

“Ma senza dubbio, quel Benevento è parte del mio cuore. Ma non è solo per la vittoria. E’ per come giocavamo. Un calcio bellissimo. Ancora oggi tanti di quei calciatori me lo dicono: “Mister, ancora oggi vediamo  in partite le cose che facevamo noi”

Eppure l’inizio non fu dei migliori

“Diciamo pure che iniziammo molto ma molto male. D’altronde in estate c’era stata una sorta di rifondazione: della squadra che aveva perso due finali playoff erano rimasti in pochissimi. Occorreva dunque tempo per lavorare, la squadra faceva fatica ad assimilare certi concetti di gioco”.

Paura di un esonero?

“Sì, ci fu anche quella. Dopo una partita in casa con il Castrovillari, gara in cui tra l’altro creammo tantissimo ma senza riuscire a vincere. Ci fu anche una sorta di contestazione della tifoseria. Tornai negli spogliatoi con qualche timore …”

E invece?

“E invece Pedicini, il presidente, entrò e disse che credeva in me e nella squadra, nel nostro lavoro. “Sarò con voi anche se dovessimo rischiare la Serie D. Ma se continuate su questa strada non succederà”. Parole importanti”.

Che di fatto segnarono la svolta

“Sì, dalla settimana dopo iniziammo a vincere”

Quel Benevento – diceva prima – rappresentava tutto quello che lei voleva vedere in campo. Ma c’è stata una partita che più di tutte ha dato risposta alla sua idea di calcio?

“Ne ricordo tantissime ma dovendone citare uno dico la finale di Lecce contro il Messina”.

Perché?

“Perché giocammo quella partita con una convinzione assoluta nei nostri mezzi, nella nostra idea di gioco. Ci sentivamo i più forti anche se come organico, forse, non lo eravamo. Ma la nostra determinazione era massima”

Eppure il Messina andò in vantaggio e giocava con il favore del doppio risultato, potendosi accontentare di un pareggio dopo i supplementari. Mai avuto paura di perdere? Neanche dopo il loro gol?

“Le rispondo così: se anche Scaringella avesse fatto gol in quell’azione che ricordiamo tutti, la mia squadra avrebbe trovato il modo di recuperare la situazione. Ne sono arci-convinto. Avevamo una forza interiore enorme che ci diceva che ce l’avremmo fatta. Quel Benevento aveva una personalità straripante data dall’esperienza di giocatori come Mariani, Bertuccelli, Compagno, Andreolli. Esperienza che si abbinava alla freschezza fisica dei Di Giulio, De Simone, Marra. Il tutto, poi, era inserito in un contesto di gioco fantastico. Mi creda: non  poteva fermarci nessuno”.

E della festa che ricordi ha?

“Incancellabili, momenti da pelle d’oca, da piangere. Non dimenticherò mai così come penso tutti voi. Un’esplosione di gioia immensa, figlia – immagino – anche delle due finali perse negli anni precedenti: quelle sconfitte avevano generato una sorta di scetticismo, nessuno credeva avremmo vinto”.

E infatti Lecce conserva un ruolo di primo piano nell’album della famiglia giallorossa. Anche se poi sono arrivate vittorie e promozioni più prestigiose?

“Per quello che dicevo prima: le sconfitte nei playoff avevano creato disillusione nell’ambiente. E poi c’è un altro fatto: quella squadra viveva la Città. I calciatori li ritrovavi in strada, nei locali e si fermavano a parlare con tutti. Attenzione, non faccio un confronto tra quel Benevento e il Benevento di oggi. Ma tra quel calcio e il calcio di oggi: era ancora un calcio umano, il nostro”.

Un calciatore che la sorprese, in quella stagione?

“Ti cito Mastroianni, De Simone, Massaro. Ma non per il loro valore ma perché venivano da delusioni. Temevo le scorie di quelle esperienze negative. E invece disputarono una grande stagione”.

L’anno dopo, il primo in C1, non andò come ci si aspettava nonostante un inizio positivo, con tanto di vittoria nel derby con l’Avellino. Cosa non funzionò?

“Ci furono situazioni che non mi piacquero, soprattutto in termini di valutazioni di alcuni calciatori. Ma riuscimmo comunque a salvarci anche se all’ultima giornata. Non ci furono grosse difficoltà. Poi la stagione seguente cambiò tutto: la situazione economica non era delle migliori ed entrarono in società soggetti che con il calcio non c’entravano nulla. E che infatti sono spariti. Ma riuscirono a rovinare un lavoro di due anni e mezzo. Impossibile, per me, continuare”.

Contento del cammino fatto da allenatore o conserva qualche rimpianto? Glielo chiedo perché noi tutti immaginavamo per lei un percorso ancora più importante…

“Anche diversi dei miei compagni di corso a Coverciano. L’ultimo a dirmelo – le racconto un episodio – Paolo Berrettini. Mi ha detto di essere rimasto spiazzato, mi immaginava allenare ai livelli più alti del calcio italiano. Per quanto mi riguarda, penso che la scalata presupponesse capacità caratteriali non presenti nella mia indole. Io resto un puro: credo in certi valori, nella meritocrazia. Per capirci: all’epoca esistevano determinate scuderie, mi chiamarono per entrarci ma dissi di no. Fossi salito sul carro, probabilmente, sarebbe andata diversamente“.

Parole simili qualche settimana fa le ha pronunciato un ex Campione del Mondo, Claudio Gentile

“Ma è così. Negli anni le dinamiche sono completamente cambiate. La meritocrazia non esiste: va avanti chi ha lo sponsor, il procuratore più capace. Conta più lo zaino che indossi rispetto a quello che hai fatto. Vedo fuori gente capace ma che magari non ha accettato certi condizionamenti. E non lo dico per interessi personali: io ormai ho una certa età. E’ che questo calcio non mi piace. Il business c’era anche prima? Sì ma oggi è dominante. Il risultato, però, è che si è impoverito il calcio: mica è un caso se l’Italia manca per due volte di fila la qualificazione al Mondiale?”

Vale anche per la Serie C?

“Assolutamente sì, non scherziamo. La C di oggi non è paragonabile alla C2 o alla C1 di qualche anno fa. Il livello si è abbassato moltissimo. La regressione è evidente, sia dal punto di vista tecnico che di metodologie di lavoro”.

Il Benevento si è affidato per la panchina al più giovane tra gli allenatori professionisti: scelta azzardata o scommessa valida?

“Non è azzardata se dietro alla scelta c’è una valutazione importante, fondata. Penso che la decisione del Direttore Sportivo nasca da qui: dalla conoscenza del lavoro dell’allenatore. Conta questo, non l’età”.

Come accadde per lei, anche Andreoletti arriva dopo una delusione

“Noi fummo fortunati. Come dicevo prima, della squadra che aveva perso due finali playoff rimasero pochi giocatori. Il cambiamento fu radicale. Un dato importante perché per me con la sconfitta si acquisisce una mentalità perdente, negativa. Dopo una delusione meglio ripartire con forze nuove e nuove motivazioni. Ma è un discorso in generale, il mio”.

In questi giorni, intanto, sono stati ufficializzati i gironi e pubblicati i calendari: che Serie C deve aspettarsi il Benevento?

“La solita: complicata, con il dato ambientale che incide tanto. E anche le favorite sono sempre quelle. Ma dico una cosa: lo scorso anno il Catanzaro ha stravinto il campionato perché dietro c’era una programmazione importante. Hanno portato i giusti innesti a una rosa che la stagione prima aveva fallito la promozione e così hanno dominato il girone. Per arrivare al Benevento: sarebbe un errore puntare a stravincere subito il campionato. L’obiettivo deve essere costruire, col tempo poi il successo arriverà”.

E Dellisanti?

“Resto in attesa di una chiamata. Perché il calcio di oggi non mi piace ma la voglia di allenare resta. Nel frattempo, come sempre, studio, mi aggiorno”.

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