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CULTURA

I ricordi di Nunzia, la regina dello Scarpariello beneventano: dai pranzi poveri dei contadini alle notti magiche di Città Spettacolo

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Se dai retta all’anagrafe certi nomi non ti dicono nulla. Domanda a un beneventano di Annunziata Nazzaro e probabilmente come risposta ti ritroverai una scrollata di spalle. Prova invece a chiedergli di Nunzia e vedrai che i suoi occhi si illumineranno del colore dei ricordi. E nessun dubbio sul fatto che saprebbe indicarti la strada più veloce per raggiungere la sua trattoria in via Annunziata. Come accade per i monumenti. E se oggi in quel posto non ci trovi nessuno, prima potevi trovarci il mondo. Pure il più grande attore della storia d’Italia: “Cosa ricordo di Vittorio Gassman? Una persona squisita, un pezzo d’uomo. Bellissimo” – ti racconta Nunzia e ora a brillare sono i suoi, di occhi. “E ovviamente lei ha preso la sedia e si è seduta al tavolo con Gassman, iniziando a chiacchierare” – spiega suo figlio Antonio, proprietario di Companatico, ristorante che ha raccolto il testimone di una tradizione familiare ormai centenaria. “Tutto iniziò con la trattoria di mio nonno, nel 1927 – riprende Nunzia. Un po’ di baccalà, le alici fritte, il brodo, il soffritto. Una cucina povera ma buona per il cliente che amava prendersi un bicchiere di vino. Così fino al 1938, quando mia madre – appena sposata – introduce la prima pasta, la trippa, la frittura di pesce”.

E lei?

Già da piccola andavo a scuola e davo una mano al ristorante. Il mio ingresso in cucina nel 1970 ed è in cucina che ho trascorso questi ultimi cinquant’anni”

E come sono stati?

“Bellissimi. Forse gli anni più belli sono stati quelli del secondo dopoguerra, dal 1960. Si lavorava, si guadagnava, c’era tanta voglia di fare, di risalire. Ricordo ancora la gioia quando bisognava comprare dieci forchette in più, dieci coltelli in più. Il segnale che le cose stavano andando bene”

Benevento cambiava e cambiava anche la sua clientela

“Proprio così. I nostri primi clienti erano stati i contadini. Arrivavano alle sei in piazza Roma, dove c’era la fermata degli autobus, per poi andare al mercato dei Commestibili. Eravamo di strada e molti venivano a mangiare col baratto. Non pagavano in denaro ma con i prodotti rimasti invenduti: formaggi, salsicce.  Alcuni volevano solo il bicchiere di vino nella tazza di brodo caldo, poi accompagnavano con il loro pane. Tanti contadini dalla provincia ma anche da Avellino: dal punto di vista commerciale Benevento era una città in crescita”.

Poi iniziarono ad arrivare gli impiegati

“Inps, Banco di Napoli. Ma la vera trasformazione del nostro lavoro è avvenuta più tardi. Diciamo che fino ancora alla fine degli anni settanta chi mangiava fuori casa lo faceva per necessità, non per scelta. Il cambiamento c’è stato negli ottanta, con le prime edizioni di Città Spettacolo”.

Che ricordo conserva di quegli anni?

“Tempi bellissimi, agli inizi ricordo che gli attori venivano a prendersi da mangiare e se lo portavano in albergo perché le strutture non facevano cucina. E anche come ristoranti eravamo in pochi”.

Ma sceglievano sempre la Trattoria da Nunzia

“Penso di essere stata fortunata, ho vissuto il periodo migliore della Città. Il piacere di ospitare gente come Gregoretti, Zeffirelli, Martone, tante volte Costanzo. E Vittorio Gassman, che persona squisita, un pezzo d’uomo. Bellissimo. E ancora Flavio Bucci. Ma anche cantanti. Impossibile ricordarli tutti. Mi viene in mente Rino Gaetano, giovanissimo, un ragazzo magnifico, educatissimo. Davvero un peccato… La verità è che in quei giorni il locale era sempre strapieno, per sedersi qualche attore ha dovuto arrangiarsi su una cassa di bottiglie d’acqua. C’è stato anche un premio Nobel: Montagnier”.

Qualche serata che proprio non può dimenticare?

“Si creavano spesso legami particolari, ci invitavano tutti agli spettacoli o ai concerti ma non potevamo mai partecipare perché impegnati con il lavoro. Pensi che una notte, verso l’una, Tullio De Piscopo e Tony Esposito replicarono soltanto per noi, al ristorante, il loro spettacolo. Qui, inoltre, festeggiammo con Roberto Murolo i suoi ottant’anni. Un’altra serata indimenticabile è stata quella con Renato Zero”

Che accadde?

“Era al massimo della sua popolarità e c’era una folla enorme ad aspettarlo fuori. Sperava in un’uscita secondaria ma noi non l’avevamo e così decise di andar via per una porta-finestra. Ad attenderlo un furgone nero, con apertura laterale. Nello scappare di corsa, però, diede una testata incredibile alla finestra. “Se l’è spaccata” – pensammo dal rumore. Non abbiamo mai saputo cosa si è fatto. Quello che c’era ad attenderlo fuori, però, davvero faceva impressione. Una volta entrati nel ristorante si portarono via pure i tovaglioli usati per la cena”.

L’ultimo grande artista a farle visita Carlo Verdone

“Sì, poco prima della chiusura. Una persona simpaticissima, disponibile. Molto molto precisa. Pure con il mangiare: poco cibo, tante precauzioni. Ma alla fine mi siedo con lui, inizio a chiacchierare e pure riesco a fargli mangiare lo scarpariello. E così prima di andare via è lui a chiedermi di fare una foto insieme”.

Mai un problema?

“No ma ricordo un episodio con Giovanni Rana, quello dei tortellini, a Benevento per una iniziativa dell’Università. Lo portano a mangiare da me e ordina un piatto di pasta. Mi guarda e  nel suo dialetto mi fa: La boca non xe straca fin che non la sa de vaca”. Io mi giro e gli passo il formaggio. “Ma come, signora, mi ha capito?”.

Abbiamo parlato tanto di spettacolo ma anche la politica merita il suo spazio: con la sua trattoria situata proprio a pochi passi da palazzo Mosti in molti sostenevano che le decisioni più importanti venivano prese da lei e non in sala giunta. E’ cosi?

“Deve essere stato così visto che in tanti me lo dicevano. D’altronde da me venivano tutti: destra, centro, sinistra. La politica l’ho ospitata ma non l’ho mai fatta”.

Anche qui immagino non manchino gli aneddoti

“Con Bertinotti fu un’avventura particolare. “Siamo in venti” – mi dicono. E io per venti preparo. Poi si presentano più di quaranta persone. Ancora mi chiedo come sono riuscita a farli mangiare tutti. Una bella serata. Bertinotti, poi, un uomo simpaticissimo. E ancora, ricordo quando venne Pomicino, all’epoca ministro e importante uomo di potere. Bloccarono tutta via Annunziata: forze dell’ordine, volanti. Anche Pomicino una persona di grande simpatia ma la tensione che si respirava quel giorno mai più provata”.

Tornando su palazzo Mosti: il suo rapporto con i sindaci? C’è qualcuno che ricorda con particolare affetto?

“Con particolare affetto ricordo Pietrantonio. Persona rigida ma se cercavi un consiglio te lo dava. E se commettevi un errore non esitava a fartelo notare così come non mancava di elogiarti se te lo meritavi. Ma anche con gli altri sindaci ci sono stati amicizia e rispetto. Penso di aver voluto bene a tutti e che tutti me ne abbiano voluto. Mastella, che conosco da quando era piccolo ma anche Pepe e ovviamente Pasquale Viespoli. Viespoli una volta mi fece fare le quattro di notte: “Queste sono le chiavi gli dissi, chiudete voi”.

Tante le ragioni che hanno fatto della sua trattoria un luogo del cuore dei beneventani. Ne cito due, la prima è il suo modo di interagire con la clientela. Quella sedia che si aggiungeva al tavolo e partiva la conversazione

“Ma io il ristorante l’ho sempre vissuto così. Come fossimo in casa. Poi, per carità: ti rendi conto quando è il momento per scambiare due chiacchiere o quando la persona che è seduta non vuole essere disturbata o è impegnata in una discussione. Ma quando si creava l’occasione, prendevo la sedia e iniziavo a conversare”.

L’altra ragione è ovviamente lo ‘Scarpariello’, piatto tipico beneventano

Ma lo è diventato con me. Benevento non ne aveva di piatti tipici: si cucinavano verdure, carne e legumi. Era mia madre, napoletana di origine, a fare questo Scarpariello: una pasta con pomodoro e basilico, buono ma niente di eccezionale. Decisi di farne una rivisitazione in occasione di una Città Spettacolo. Ebbe un grande successo e così decisi di lavorarci su. C’era un’azienda pugliese che mi faceva questa pasta quadrata. Ma un anno sbagliarono l’asciugatura e diventarono linguine. Non mi piacevano e cominciai a lavorarli alla chitarra per trasformarli in troccoli. Dopo un po’ dovettero fare una trafila apposta per noi, in misure e dimensioni che prima non esistevano, perché la quantità richiesta era enorme”.

E iniziarono a farlo un po’ tutti

“Sì, in pochi anni divenne piatto tipico. Ma anche gli altri amici ristoratori che iniziavano a includerlo nella loro proposta tornavano da me e lo ordinavano. “Ma come” – facevo io. “Nunzia, il tuo resta un’altra cosa” – mi rispondevano”.

E ora?

“Ora la mia cucina è con Antonio, mio figlio, da “Companatico”. La tradizione non si ferma: siamo alla quarta generazione”.

 

 

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