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“I vaccini nella medicina”, l’Auser incontra Luigi Bonaguro

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“I vaccini nella medicina”, argomento di strettissima attualità, sviluppato giovedì appena trascorso all’Auser-Uselte dal Luigi Bonaguro, medico ricercatore beneventano in servizio presso l’Istituo Tumori “Pascale di Napoli” ma con numerose e notevoli esperienze all’estero.

Il termine vaccino, come ha spiegato, con accuratezza e in modo comprensibile, indicava anticamente tanto il vaiolo dei bovini (vaiolo vaccino) quanto il pus ricavato dai bovini infettati, impiegato per “vaccinare” gli allevatori contro il vaiolo umano. Oggi il termine viene utilizzato per indicare varie preparazioni che vengono somministrate per lo più per via parenterale o anche orale, al fine di provocare nell’organismo la produzione di anticorpi onde rendere più resistente la risposta immunitaria nei confronti di varie malattie infettive.

Il primo tentativo di vaccinazione sistematica contro il vaiolo risale al 1796 a opera di E. Jenner. Tuttavia il problema delle vaccinazioni fu compreso appieno solo un secolo dopo e nel corso dei secoli vari sono stati i vaccini utilizzati sia con microrganismi viventi attenuati, sia con quelli “uccisi” cioè inattivati con mezzi chimici o col calore, e altri tipi ancora preparati diversamente.

Malattie quali la rabbia, il colera, il tifo, la pertosse, la difterite, il tetano, l’influenza, la febbre gialla, la poliomelite, la parotite, la rosolia devono alla vaccinazione il loro calo drastico se non addirittura l’eradicazione dalla società. Le vaccinazioni sono riconosciute da tempo, dunque. l’unico strumento valido per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive e mirano sia a proteggere l’individuo vaccinato, sia soprattutto a determinare un calo della presenza della malattia nella popolazione o distruggendo o rendendo più debole l’agente infettante.

Sicché si parla di memoria individuale e memoria collettiva per quanto riguarda la capacità individuale o collettiva di dare la risposta immunitaria a ogni esposizione a uno stesso agente. Ai fini dell’efficacia si rende necessario il cosiddetto richiamo, la ripetizione cioè del vaccino, o l’associazione di più vaccini.
Anche la diversità di metodi di somministrazione e l’utilizzazione di un eventuale adiuvante possono condizionare la risposta immunitaria. La quale tuttavia non prescinde dall’età, costituzione genetica, stato nutrizionale e del sistema immunitario, nonché dalla presenza di una patologia concomitante.

Qui è il punctum dolens, perché da parte di alcuni si sostiene erroneamente e ingiustamente la concatenazione di causa-effetto nella minima percentuale di casi in cui si incorre nella patologia per cui ci si era vaccinati o addirittura si trae l’illazione, solo sulla base della coincidenza, sul sorgere di malattie altre che, secondo gli studiosi, non hanno nulla a che vedere con le vaccinazioni considerate in sé. Dunque work costantemente in progress dei ricercatori e degli scienziati per scoprire nuovi vaccini che fronteggino sia il riemergere di malattie in via di eradicazione, a causa di una insufficiente copertura della popolazione vaccinata, sia la comparsa di malattie infettive prima sconosciute con sempre più alti livelli di sicurezza.

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