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Lavoratori ex consorzi, ‘la disperazione come allarme sociale’

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“Per i lavoratori degli ex consorzi rifiuti della provincia di Benevento quelli appena trascorsi non sono stati giorni di festa, ma giorni drammatici con l’angoscia di un futuro senza lavoro e senza denaro per sopravvivere”, scrive in una nota Piero Mancini, portavoce di “IIndignati&Organizzati”-Lavoratori consorzi in Lotta per il Lavoro e la Dignità.
 

“Mentre altri festeggiavano noi abbiamo approfondito la condizione sociale generale, ovvero quanto è profondo il malessere nella nostra provincia.
Il quadro che si è composto ai nostri occhi è talmente sconfortante e grave che bisogna immediatamente prendere iniziative di grande respiro. Sono talmente tanti i lati negativi che rinunciamo ad elencarli. Ci limitiamo ad evidenziarne solo due che indicano una tendenza venata da un dramma sociale di grandissimo allarme.
1° Benevento è penultima nella graduatoria dei redditi pro-capite derivanti dalle pensioni;
2° E’ aumentato in maniera esponenziale il numero dei beneventani che si rivolgono al Cim ( Centro Igiene Mentale).
 

L’ estrema indigenza, con conseguenti problemi psichici, di un grandissimo numero di persone anziane si accompagna con problemi psicologici dei cassaintegrati, dei licenziati e dei giovani che non trovano lavoro. Precariato sociale che accomuna giovani, maturi e anziani negli effetti collaterali della precarietà psichica. Un disastro di vaste proporzioni che non possiamo più far finta di non vedere.
 

Oggi è scoppiata quella mina vagante rappresentata dalla piaga sociale del lavoro nero, mai sanata e da sempre molto diffusa nella nostra provincia. Migliaia di lavoratori, a cui per anni sono stati negati i contributi, oggi versano in disastrose condizioni economiche, tanto da non potersi pagare le analisi e/o le visite specialistiche. Il loro diritto alla salute è stato cancellato da persone senza scrupoli che si sono arricchiti sulla loro pelle e a scapito della comunità. Perché i costi sociali che la nostra comunità sarà chiamata a pagare saranno altissimi, come ognuno può ben capire. Per di più ciò avviene in un periodo di grandissima crisi economica. Se a questo si aggiunge che la Regione ha tagliato le risorse stanziate per i problemi socio assistenziali il quadro diventa ancor più preoccupante. A fronte di un aumento esponenziale del disagio sociale, con conseguente disagio psichico, bisogna incrementare l’intervento politico-amministrativo per farvi fronte, ciò è naturale”.
 

“E’ finita la favola – prosegue la nota – che con la pensione del nonno si aiuta il nipote precario. Sono i figli con un lavoro sicuro che aiutano i genitori a sopravvivere. Per questo nelle famiglie che hanno problemi economici per la perdita del lavoro anche di un solo componente gli anziani subiscono i maggiori contraccolpi: le analisi e le visite specialistiche costano tanto e non tutti se le possono permettere. Anche la famiglia della classe media beneventana, quella in cui si potevano contare su due stipendi sicuri, che fino ad oggi si poteva permettere le vacanze, qualche agiatezza e il mutuo per una casa più confortevole è soggetta ad una forte crisi nel momento della perdita del lavoro di uno dei componenti, tale da influire negativamente sull’armonia di coppia e nel rapporto con i figli.
Possiamo non affrontare questi problemi tanto diffusi e ricacciarli in seconda fila? Sarebbe inutile voltare lo sguardo: siamo quasi tutti coinvolti. Bisogna prendere coscienza che la nostra comunità è più debole di altre. Che proprio per questo la risposta da dare a queste emergenze non possono non essere caratterizzate dalla solidarietà sociale. Unico collante che può dare una risposta positiva e non ulteriormente disgregativa. L’egoismo individualista o familista ha prodotto già troppi guai economici e sociali E’necessario prendere coscienza che bisogna cambiare non solo i rapporti sociali ma lo stesso modello amministrativo. Nelle grandi difficoltà le comunità degne di essere tali si rafforzano trovando motivi di coesione.
 

Fino ad oggi è stata la Caritas diocesana ad occuparsi dei problemi assistenziali più gravi. Non basta più il solo intervento caritatevole, basato sulla compassione per chi nella vita non ha avuto la capacità-possibilità di trovare una propria degna collocazione economica e sociale all’interno della comunità. La stessa Caritas lo evidenzia. Il numero dei disperati lievita in maniera esponenziale. Bisogna essere capaci di trovare risposte non solo diverse ma anche immediate.
 

La nostra condizione è paragonabile a quella di una comunità oggetto di un forte evento sismico dove i cittadini hanno perso tutto ed hanno bisogno di non essere lasciati alla loro disperazione. Il nostro attuale è un terremoto economico e sociale che ha lasciato le sole abitazioni intatte ma ha distrutto tutto il resto. Una catastrofica emergenza molto più grave del terremoto: le abitazioni possono essere facilmente ricostruite, con la psiche è molto più difficile.
 

A chi gioverebbe una comunità in cui il malessere di vivere fosse talmente esteso da influire tanto negativamente la civile convivenza ? Non sarebbero coinvolti anche coloro che economicamente conserverebbero uno status diverso? In una siffatta comunità non diventerebbe endemico un conflitto barbarico fra i pochi fortunati e la grande massa dei disperati costretti a lottare strenuamente per la stessa sopravvivenza? E’ accettabile che onesti cittadini si rechino nel retro di alcuni supermercati per portare a casa la merce che scade quel giorno e che appositamente viene portata fuori e messa a disposizione dei bisognosi?
 

Ecco, i lavoratori dei consorzi vogliono far emergere una città invisibile agli occhi dei più, ma viva e reale. Una città dolente che nasconde, per una male intesa dignità, una disperazione tanto diffusa da diventare allarme sociale.
Noi non abbiamo mai nascosto le nostre difficoltà e la nostra disperazione e non per questo ci siamo sentiti sminuiti nella nostra dignità. Bisogna seguire il nostro esempio e far emergere ciò che è invisibile. Solo in questo modo ci si può impegnare a superare le emergenze sociali. Restare invisibili non aiuta. Chiediamo a tutti coloro che hanno sensibilità verso questi problemi non solo di prendere la parola ma impegnarsi attivamente.
 

Abbiamo bisogno di analisi sociale per quantificare il fenomeno, ma anche di concrete iniziative. E’ assolutamente allarmate che un gran numero di nostri concittadini ha un reddito talmente misero da essere talmente lontano dalla stessa fascia di povertà. Paradossalmente rientrare in questa fascia sarebbe già un grandissimo passo in avanti. Una situazione assurda e non più accettabile”.

 

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