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Università

Delli Veneri (Flc Cgil): ‘Siamo tra gli atenei più cari d’Italia’

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Si è rivelata ricca di spunti d’interesse la discussione tenutasi all’Università degli Studi del Sannio su “Governance, sviluppo e territorio”. L’iniziativa si è aperta con i saluti e l’introduzione di Antonio Aprea, Segretario Generale CGIL Benevento, cui ha fatto seguito la comunicazione di Vincenzo Delli Veneri Segretario Generale FLC sannita.

Alla discussione sono intervenuti: Emiliano Brancaccio, Ricercatore Università del Sannio; Fernando Goglia, Direttore Dipartimento DSBA; Massimo Squillante, Preside Facoltà SEA; Giuseppe D’Avino, Presidente Confindustria Benevento; Filippo Bencardino, Rettore Università del Sannio; Enza Sanseverino, Segreteria CGIL Regionale; Guido Trombetti Assessore Regione Campania; Francesco Sinopoli, Segreteria FLC Nazionale.

Fausto Pepe, sindaco di Benevento e Annachiara Palmieri, Assessore Provinciale, assenti giustificati perché impegnati nella diffìcile situazione che vede la discarica di Sant’Arcangelo Trimonte ancora una volta presa di mira dai rifiuti napoletani.

***

Di seguito riportiiamo l’intervento introduttivo di Delli Veneri.

“La CGIL ha 105 anni. Ha attraversato guerre, dittature, governi di tutti i tipi.
E oggi c’è ancora. C’è nell’Università del Sannio, c’è nella provincia di Benevento, nella Regione e nella Nazione certa di poter contare per il raggiungimento di una migliore qualità della vita di tutti, nel segno della confederalità, elemento fondante del nostro statuto.

A noi non piace questo Governo non per la sua appartenenza politica, ma per quanto incide negativamente sulla vita delle persone, lavoratori, precari, disoccupati, giovani, ma siamo sempre pronti al confronto ogni qualvolta ce ne danno la possibilità, e spesso inseguendo il governo quando cerca di sfuggire alle proprie responsabilità, metodo usato con la stessa determinazione, nei confronti del Comune, della Provincia, della Regione, e con le organizzazioni datoriali a livello locale con chi in quel momento li rappresenta non cercando altri interlocutori.

La CGIL ha a cuore il futuro dell’Ateneo del Sannio e la preoccupazione per come invece si sta dipanando la matassa del governo del nostro Ateneo ci hanno convito della necessità di questa iniziativa.
Insieme a tante altre forze politiche e istituzionali del Sannio abbiamo fortemente voluto la nascita dell’università a Benevento nel 1989-90, e abbiamo contribuito a conquistarne l’autonomia nel 1998, proprio perché abbiamo sempre creduto che solo attraverso l’istituzione di un così alto presidio della “conoscenza” si sarebbe potuto perseguire l’obiettivo del riscatto delle nostre genti e dell’emancipazione dei nostri territori.
Mettiamo in fila le preoccupazioni che, invece, abbiamo oggi.

Nel 2008, alla prima manovra del Governo che ha taglieggiato tutto il mondo dell’Istruzione pubblica compreso le Università, abbiamo allertato tutto il mondo accademico su quanto di grave stava accadendo. A Benevento, dopo significative manifestazioni (cortei, lezioni in piazza…) e documenti di condanna di Consigli di Facoltà e del Senato Accademico, l’Ateneo si è messo in attesa: la promessa politico-istituzionale era che i piccoli atenei virtuosi con i conti in ordine avrebbero avuto premialità che, oggi si può affermare con certezza, non sono mai arrivati.
Il Governo poteva fare altro: non dare i soldi all’Alitalia, rinunciare a qualche bombardiere da guerra e investire in “conoscenza” come hanno fatto tanti altri Paesi vicini e lontani all’Italia

Poi si è materializzata la proposta di legge Gelmini che grande ostilità ha generato tra ricercatori, dottorandi, studenti, e contro cui noi della CGIL tanto ci siamo battuti con argomentazioni puntuali, senza preconcetti. Occupazioni dei tetti, blocchi delle lezioni, scioperi, che hanno raggiunto l’apice nelle due imponenti manifestazioni a Roma: il 14 dicembre scorso, purtroppo culminata con gli scontri che tutti conosciamo, e il 22 quando in una Roma militarizzata il corteo di tanti giovani si è preso gioco di tutti evitando le zone centrali presidiate, ma ribadendo la contrarietà ad una legge che tanto avrebbe penalizzato tutta l’Università.

La 240/2010 è legge e tutti oggi ci stiamo confrontando con le conseguenze che stanno determinando nei nostri Atenei. Si confronteranno con essa anche quei rettori che, direttamente o attraverso la CRUI, l’hanno supportata o come il nostro Rettore che ha confessato di aver “collaborato per portare avanti la riforma, anche cercando di contenere le pressioni che venivano dal basso, dagli studenti, dai colleghi ricercatori”.

Come si fa a sostenere che la legge Gelmini è una riforma quando in essa è ripetuto all’infinito “tutto senza oneri aggiuntivi a carico dello Stato”, in alternativa alla formula più specifica e cioè “l’onere è a carico del bilancio dell’Ateneo”?
E la Democrazia?
Qualcuno ha suggerito di non richiamarla parlando della 240. Fatto sta che nel definire gli statuti delle nostre università si stanno facendo esercizi funambolici per cercare di non far scomparire l’idea di democrazia faticosamente rivendicata nel tempo, ma partendo dal presupposto insito nella legge che l’obiettivo da raggiungere è quello: la scomparsa di quei momenti di partecipazione democratica, che non erano molti nemmeno prima della Gelmini.

Il primo controsenso: per la costituzione della Commissione deputata a redigere lo Statuto non si possono designare i rappresentanti delle varie componenti della comunità universitaria e sostenere che essi rappresentino la comunità che non li ha scelti, che non li ha votati.
Nel nostro Ateneo è successo questo e non è stato possibile, pur rimanendo nel rispetto della 240, designare candidati votati dalle diverse componenti.
E oggi assistiamo a commissioni monche, in cui ci sono componenti costantemente assenti che non si dimettono e non vengono sostituiti.

Nello scrivere le regole per l’elezione del Rettore si cercano percentuali strane per stabilire nelle votazioni il peso della rappresentanza del personale t.a. che non hanno spiegazioni logiche se non quelle di chi non ricorda che c’è stata la Rivoluzione Francese, e per l’Italia il 1946, con la conquista del suffragio universale.
La casta accademica considera ancora il personale t.a non degno di avere pari dignità?
Il personale contrattualizzato non deve contribuire a decidere chi guiderà l’università? Quella università a cui dà il proprio contributo umano e professionale non di rango inferiore rispetto a quello delle altre componenti della comunità.

Ci hanno bloccato lo stipendio per un triennio, mentre beni e servizi anche di prima necessità aumentano (e sappiamo che stanno andando oltre con il così detto “Decreto sviluppo” e la pesante manovra finanziaria che si prospetta); ci hanno bloccato il turnover dei cessati, hanno bloccato la possibilità di accedere alla progressione economica e alla progressione professionale. Hanno decurtato il salario accessorio e messo in condizione gli Atenei che, pur volendo, non possono dedicare a ciò neanche fondi propri. Poi ci si riempie la bocca di verifiche attraverso la valutazione. La valutazione pur con tanti problemi si era in parte sperimentata con quelle poche risorse strappate ai bilanci di ateneo: oggi non si può più.

L’Ateneo del Sannio, con i vertici che si sono succeduti, ha penalizzato l’accesso alle progressioni di carriera per il personale t.a. Quando il CCNL prevedeva che ad ogni assunzione dall’esterno corrispondesse una progressione verticale interna, la dirigenza ha frenato volutamente e inopportunamente le aspirazioni di tanti lavoratori. Oggi la nuova normativa ha quasi certamente bloccato le 32 progressioni verticali che dovevano realizzarsi per un impegno solenne assunto dall’Amministrazione da ultimo nel dicembre del 2009. Si è quasi certamente persa questa opportunità con grave danno per tanti lavoratori che avrebbero potuto accedervi. La valutazione di questo elemento da parte del personale t.a. lo ritroviamo drammaticamente riportato nel Bilancio Sociale del 2010, appena presentato, in cui solo il 3,51 % degli intervistati ritiene che l’Ateneo del Sannio valuti ed incentivi il proprio personale.
Dallo stesso documento si evince che 2 lavoratori su 3 propongono di rivedere l’organizzazione ed il dimensionamento degli spazi di lavoro in relazione alle effettive esigenze del personale, e il 50% ritiene che vadano riviste le azioni di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Il 44% degli intervistati non conosce le principali politiche seguite dall’Ateneo nell’ambito dei processi di gestione e di sviluppo delle risorse umane. Questo senz’altro non aiuta a ricostruire quel senso di appartenenza che in passato ha determinato risultati altrimenti insperati per l’Ateneo sannita.

Preoccupazione anche per la relazione che accompagna il bilancio consuntivo del 2010.
Disavanzo di competenza di 3.273.000 € rispetto ad un avanzo di 949.000 € del 2009.
Scarto tra gli accertamenti (quanto si è incassato)e le previsioni (quanto si prevedeva di incassare) passato dal 7,7% del 2009 al 21% del 2010.
L’applicazione delle politiche governative hanno sottratto 2.534.000 € all’Ateneo del Sannio che si ritrova un FFO di 20.044.000 € mentre spende per la copertura delle intere spese alle risorse umane la cifra di 21.356.000 €.
E come da noi previsto questo sottofinanziamento statale chi lo paga? Lo studente e le famiglie.
Lo studio, certo non esaustivo, da noi fatto sulle tasse universitarie ci ha fatto gridare allo scandalo: siamo tra gli Atenei più cari d’Italia, oltre ad essere senz’altro quello più caro della Campania. Il confronto ci vede primi sia nelle fasce più basse che in quelle più alte con Benevento che non fa differenza tra un reddito ISEE di 25.000 € ed uno di 100.000 €.

È della scorsa settimana la polemica per le dichiarazioni dell’Assessore Trombetti che proponeva di aumentare le tasse a livello di quelle della Lombardia per risanare le finanze in crisi delle università campane.
Poi ha ribadito che si riferiva ai redditi più alti. Ma con questo spostiamo solo il problema su quale studente deve pagare per ripianare i tagli fatti dal Governo ai fondi delle Università, dimenticando che siamo l’unica nazione al mondo che ha affrontato la crisi con i tagli all’istruzione: tutte le altre nazioni hanno incrementato i fondi per la conoscenza certi che si trattava di investimenti per il futuro e non di spese da tagliare (la cultura non si mangia!)

Questa è miopia pura e non si comprende come la CRUI abbia potuto barattare qualche potere in più per i Rettori con la morte certa per i loro Atenei, strozzati da tagli insostenibili che faranno finire in rosso tutti i bilanci.
Tornando all’Ateneo sannita ci chiediamo quale futuro avrà la nostra Università con tasse così alte.
Una scelta che dimostra la scarsa capacità di leggere la realtà del tessuto sociale e produttivo in cui è inserito l’Ateneo sannita. Una scelta fuori dai tempi, che non è in grado di registrare la drammatica crisi economica della nostra società. Una scelta improvvida e miope, che si è sciaguratamente ritorta contro gli studenti e le loro famiglie.
Non sembra che sia “un incremento proporzionale e contenuto” come recita la delibera del Senato Accademico con cui si sono introdotte queste modifiche, non sembra che si siano neanche salvaguardate le fasce economiche più deboli perché anche chi è inserito nelle fasce di reddito più basse paga più che in tutti gli altri Atenei campani.

L’Università pensa di uscire vittoriosa da questa scelta, oppure la possibile riduzione delle iscrizioni determinata dagli aumenti accelererà la crisi dell’Ateneo?
E le 29 assunzioni di personale a tempo determinato riusciranno ad essere coperte con questi aumenti? Ancora una volta avremo lavoratori formati alle esigenze dell’Ateneo che dopo 3 anni saranno licenziati? Non mi dite che questa è la legislazione vigente perché se si riconosce che è una norma è sbagliata va cambiata con il contributo di tutti: senza se e senza ma!
A fronte di quali servizi chiediamo agli studenti le tasse più alte? Biblioteche, laboratori, aule studio, segreterie? Gli studenti sono ancora in attesa che si raggiungano almeno i livelli medi delle altre università campane non sperando, nell’immediato, di paragonarsi con i servizi offerti ai loro colleghi del nord.
Forse è il caso di prendere in considerazione le famiglie che hanno più di un figlio iscritto all’Università? In Campania solo la Federico II fa rientrare lo studente nella una fascia di reddito immediatamente precedente se vi sono altri fratelli iscritti all’università.
Parliamo del diritto allo studio?
Dicono i rappresentanti degli studenti campani che i finanziamenti della Regione alle borse di studio hanno raggiunto il record negativo degli ultimi 20 anni. Solo poche migliaia di studenti, a differenza degli oltre 18mila del passato, ottengono le borse di studio. La regione eroga i contributi tardi e male. Intanto i gettoni per i nominati nei consigli di amministrazione universitari dalla Regione, grazie ad un emendamento del capogruppo del PDL Martusciello, sono aumentati a dismisura.
Diamo un segnale di rigore riducendo indennità e compensi per i componenti degli organi di governo e non aumentanole: quando si chiedono sacrifici agli altri bisogna essere i primi a rinunciare a qualcosa, soprattutto quando è qualcosa in più!

E l’accoglienza i servizi per gli studenti? Poche stanze dell’ADISU la maggior parte utilizzata da docenti. Prezzi di stanze in fitto alte e spesso in nero. Pochi punti di aggregazione per gli studenti fuori sede. Servizi di trasporto pubblico inesistente: inadeguato per orari, numero di corse, anche per il semplice spostamento all’interno della città.
Per quanto riguarda il confronto con il territorio e l’idea di sviluppo da studiare e supportare per le vocazioni di un territorio interno della Campania come quello sannita l’Ateneo beneventano si è sempre posto in un isolamento snobistico e autoreferenziale che non è mai servito a rompere gli atavici problemi di reinventare una classe imprenditoriale con idee originali pronta ad abbandonare la rendita per scommettere in possibili progetti innovativi.
Certo si sconta una mancanza di infrastrutture materiali e immateriali (strade, ferrovie, larga banda per l’accesso veloce ai servizi forniti tramite il Web), che il governo del territorio non ha saputo risolvere in tempi utili, ma manca anche una cultura imprenditoriale che faccia delle idee innovative la scommessa principale fruttando le intelligenze formate nell’Ateneo sannita.
Sempre più spesso giovani e brillanti ingegneri piuttosto che economisti o statistici-attuariali sono costretti a lasciare il nostro territorio, ad emigrare in altri paesi europei o negli Stati uniti per far valere le loro competenze, le loro idee, la loro professionalità.
Questo sì è un costo: formare un giovane e mandarlo a produrre brevetti all’estero.

Quali brevetti ha prodotto in questi anni l’Università del Sannio?
I dottorati di ricerca quale confronto hanno con i luoghi di lavoro per cui oltre quei pochi che restano in Università ci sono dottori di ricerca che trovano un naturale sbocco occupazionale legato a quanto approfondito in università e pronto ad essere utilizzato per lo sviluppo di un’azienda? Dove sono gli Spin off, gli incubatori di idee che permettono alle migliori idee di trasformarsi in una nuova impresa?
Forse è stata improvvida la chiusura dei centri di ricerca RCost e Tedass che hanno consentito l’accesso a notevoli finanziamenti, oltre che essere uno strumento per accompagnare il cambiamento del nostro territorio, dando una prospettiva ai nostri giovani laureati?
Si è accorto della loro scomparsa anche il personale t.a. che quest’anno ha visto ridursi la quota del Fondo d’Ateneo da 1.000 € a poco più di 200 €.

Il sole il vento possono essere un’occasione di sviluppo per il Sannio e non terra di conquista per altre aziende europee?
Il percorso va definito con il contributo di tutte le Istituzioni e delle forze sociali con l’obiettivo di orientarlo verso l’Innovazione:
hi-tech (informatica, telecomunicazioni, robotica);
green economy
energie rinnovabili (acqua, vento, sole),
ciclo dei rifiuti (biomasse, energia, recupero-riutilizzo materiali);
produzione e commercializzazione prodotti agricoli di qualità;
allevamenti, trasformazione e commercializzazione;
tutela e fruizione del patrimonio culturale (Santa Sofia, scrittura musicale beneventana).

La formazione Long Life Learning sarà un’occasione per tutti per comprendere quale diversa organizzazione darsi, come attivare innovativi percorsi di sviluppo, come fare in modo che il talento incontri l’organizzazione, come non è mai accaduto prima, almeno qui da noi. Come farlo nell’Università, nella Formazione, nell’Industria, nella Ricerca formando giovani, ma formando o ri-formando anche imprenditori, occupati, disoccupati, cassintegrati, con attenzione particolare al mondo femminile.

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