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Opinioni

Comunali, leaderismo o leadership? Basterebbe guardare al bene collettivo

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”Superare il leaderismo e i personalismi e costruire un modello di politica partecipata”: è questo lo spirito con cui la coalizione di centrosinistra, definitasi ‘Campo largo – Alternativa Programmatica Riformista, Sociale, Sostenibile, Popolare, Politica e Civica’, ha annunciato di voler procedere per guidare il cambiamento della città di Benevento e per posizionarsi come luogo nuovo e diverso all’amministrazione Mastella.

L’ampia coalizione – ricordiamo – è formata da Pd, M5s, Civico22,  dalle componenti di area Dem (Centro Democratico Moderati, Città Aperta, Italia Viva, Riformisti, Europa Verde, Per, Patto Civico, Uno di voi) e da Europa Verde.

‘‘Prima di tutto il programma’’, in fase di ultimazione per l’approvazione, e poi l’individuazione del candidato sindaco, che dovrebbe convogliare su di sé le istanze provenienti dalle numerose anime della coalizione e che, perciò, dovrebbe incarnare le competenze per il soddisfacimento e la realizzazione di quelle stesse istanze.

E’ questo un ritornello che sentiamo modulare anche dal centrodestra, perché se è vero, da un lato, che per governare una città serve una strategia di azione e una lista di priorità politico-amministrative quali orizzonti possibili e concretizzabili cui guardare, è anche vero, dall’altro lato, che è necessario una figura di riferimento rappresentativa che possa realizzare una proposta di governo.

Nei giorni scorsi è stata registrata già una voce fuori dal coro sul candidato di centrosinistra: “PER – le Persone e la Comunità di Benevento” lavorerà per aiutare il tavolo del centrosinistra allargato a M5s a trovare una candidatura a sindaco unitaria, condivisa e innovativa’’ – annunciava in un comunicato il partito, precisando che ‘‘la candidatura dell’avvocato Luigi Diego Perifano non risponde ai criteri dell’unità, della condivisione e dell’innovazione.’’

Per il centrodestra abbiamo rilevato, invece, la fermezza di Fratelli d’Italia sulla necessità che il candidato sindaco della eventuale alleanza, di cui resta attualmente incertezza, incarni i valori radicali del centrodestra, meglio ancora se sia espressione dello stesso partito della Meloni.  Decidere, in questo senso, significa già prendere le distanze dall’idea di costruire un’alleanza che, come gli eventi preannunciano,  difficilmente  si realizzerà.

Uno sguardo veloce sulla storia politica delle grandi coalizioni, che riuniscono numerose anime spesso divenute correnti interne digressive o più meno conflittuali con il principio unitario che ne è alla base, dà l’occasione per riflettere sulla loro stessa validità ed efficacia in termini di operatività e di rappresentatività dell’elettorato e delle istanze.

Il principio della condivisione e dell’unità sulla proposta non basta a garantire una leadership egualmente condivisa e unitaria in un soggetto politico ampio e contraddistinto da diversità interne derivanti dalla presenza di partiti, come ad esempio nel caso della coalizione di centrosinistra, che fino a poco tempo fa si trovavano su posizioni completamente differenti se non opposte, come la cronaca quotidiana ci rimanda per il M5s.

Situazione aggravata dal fatto che all’interno del più grande partito della coalizione, il Pd, sono ormai comunemente note le visioni divisive interne.

Eppure una convergenza su un nome, sia per il centrosinistra che per il centrodestra, che, inevitabilmente, sarà identificato come il capo della coalizione, dovrà essere trovata.

Una leadership che non si trasformi in personalizzazione del potere: il rischio, teoricamente, non dovrebbe essere alto e, forse, il problema non dovrebbe essere nemmeno posto, considerata la riconosciuta presenza giuridica e costituzionale del pluralismo e della democrazia partecipativa. Ancor di più e a rigor di logica in una coalizione ampia e diversificata che ha fatto della partecipazione e del confronto la bandiera per costituirsi.

Il leaderismo, infatti, si accompagna ad una estremizzazione delle competenze, meglio dire dei ruoli decisionali, e al progressivo rafforzamento del riconoscimento che gli appartenenti a un gruppo politico conferiscono al leader, da un lato, e che il leader stesso prende su di sé, dall’altro, attraverso un complesso processo di identificazione e rispecchiamento, intrecciato alla cessione di spazi di autodeterminazione da parte dei membri.

Se il leaderismo è la degenerazione della rappresentatività democratica, è, allo stesso tempo, causa di implosione del potere personalistico per effetto di una progressiva incapacità d’iniziativa dei ‘‘sottoposti’’, orientati più da inconsapevole dipendenza e da richiesta d’attenzione, e per effetto di una crescente frustrazione più o meno  aggressiva verso il leader. Il meccanismo si inceppa in un continuo conflitto interno.

Dunque, il problema risiede, piuttosto nella necessità e nella capacità di trovare, tra le diverse anime che, pure, hanno una identità politica radicata e costruita nel tempo, una figura super partes che sia in grado di convogliare su di sé i molteplici interessi provenienti dalla struttura interna della coalizione: ovvero, una leadership democratica, capace, cioè, di ottenere il consenso con il coinvolgimento partecipativo e il riconoscimento del valore dei singoli, che abbia in sé anche i caratteri dell’autorevolezza, la capacità, cioè, di stabilire l’orizzonte operativo in maniera condivisa, e che sia, allo stesso tempo, garante e distaccata nel perseguimento degli obiettivi.

Quest’ultima caratteristica, forse, è la più importante e rappresenta il baluardo contro il leaderismo, dal momento che rileva una fiducia nell’autonomia delle persone di cui è guida.  A diluire la complessità di una leadership di questo tipo basterebbe uno sguardo orientato al bene collettivo, super partes per definizione.

La realtà, però, è molto diversa e richiede pragmatismo: le scelte in politica, purtroppo, sono dettate dalla necessità che un consenso ideale si concretizzi in un consenso matematico, fatto di numeri, voti e percentuali che si traducono operativamente nel prendere posto nelle sedi del potere. E la cronaca ci ricorda che spesso a essere sacrificato è proprio l’interesse per il bene collettivo.

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