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ECONOMIA

Mercato del lavoro e covid: analisi di una crisi. La ripresa è nel digitale e nel green

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“Una crisi senza precedenti”: viene definita così la situazione socio-economica in Italia nel rapporto annuale sul mercato del lavoro 2020 stilato da Ministero del Lavoro e della Politiche sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal e diffuso il mese scorso.

La pandemia da Covid-19 ha determinato, oltre che un’emergenza sanitaria, anche un’emergenza nel mercato del lavoro e, in particolare, in quei settori, come il terziario tradizionale, e per quelle categorie come donne, giovani e stranieri, che già mostravano in precedenza criticità.

Tra gli effetti anche una nuova e più forte segmentazione nel mercato del lavoro, determinata dallo smart-working che non è applicabile in tutti i settori.

Seguendo l’evoluzione dei contagi e delle misure restrittive messe in atto, sono andate perse circa 4 miliardi di ore lavorate soltanto nei primi sei mesi del 2020, che, tradotte in termini di posizioni lavorative, significano la riduzione di ben 623mila posti di lavoro, in nove casi su dieci nel settore dei servizi.

Stando ai dati diffusi dal rapporto annuale sul mercato del lavoro, in media il prodotto interno lordo è diminuito di quasi il 9%.

Di fatto, in molti casi l’erogazione della cassa integrazione ha reso meno critico l’impatto sull’occupazione, ma anche questa variabile ha subito forti contraccolpi con un calo complessivo di 841mila occupati in un anno, soprattutto per i lavori a termine o per il lavoro autonomo, nel comparto degli alberghi e della ristorazione, nei servizi domestici, nel commercio e nei servizi in generale e tra le professioni non qualificate.

Ad avere una maggiore tenuta sono stati i settori delle costruzioni, dell’industria, dell’informazione e della comunicazione.

Dati che vengono confermati anche dalla nota di Bankitalia di febbraio scorso, che, in estrema sintesi, descrive una stagnazione dell’occupazione da lavoro dipendente nei primi due mesi del 2020.

Dall’inizio della crisi pandemica alla fine di febbraio 2021 – si legge nel documento di Bankitalia – sono stati creati circa 300 mila posti di lavoro in meno rispetto all’anno precedente con una forte penalizzazione sui lavori temporanei. Rallentata anche la creazione dei posti a tempo indeterminato, che, però, hanno avuto un impatto più mitigato grazie al blocco dei licenziamenti e agli incentivi del decreto ”Agosto”.

Anche per Bankitalia il settore che ha maggiormente risentito degli effetti della pandemia è quello dei servizi, in particolare quello del turismo, con una riduzione di 140mila posti di lavoro, e del commercio.

Nell’ambito della più generale sospensione delle attività produttive, con il conseguente calo di consumi, è stato registrato un freno anche nella ricerca del lavoro.

Gli effetti della pandemia non hanno risparmiato nessuno e hanno avuto un riverbero anche sulle economie locali.

Stando all’ultimo Rapporto PMI Campania 2020, elaborato da Piccola Industria Confindustria Campania su dati 2019 e sulle serie storiche dal 2008 in poi, che contempla anche una stima delle future ripercussioni causate dalla crisi sanitaria, l’economia regionale, caratterizzata per oltre il 99 per cento da piccole e medie imprese che occupano il 75 per cento dei lavoratori, potrebbe subire una perdita della produzione di ricchezza tra il 9 e il 10 per cento.

L’attuale crisi, insomma, potrebbe compromettere la tenuta delle imprese e di alcuni settori che pure hanno mostrato segnali di lenta e graduale ripresa, rispetto alle crisi finanziarie ed economiche precedenti, dando grande prova di resilienza nel 2019.

In particolare, quello dei servizi, che ha registrato una perdita del 12 per cento di fatturato nel 2020, quello delle costruzioni che nello stesso anno ha perso il 12,7 recuperando, però, circa cinque punti all’inizio del nuovo anno grazie agli incentivi fiscali messi in atto.

Secondo il Rapporto PMI Campania un nuovo slancio dovrebbe verificarsi solo dal 2022, ma a ritmo inferiore al periodo pre-crisi e la fiducia è riposta nel sapiente utilizzo delle risorse del Recovery Fund e, più in generale, della Next Generation Ue.

Il discorso si fa più complesso quando viene calato sui territori, come per esempio la provincia di Benevento già aggravata da problemi strutturali e che ha visto solo nel triennio 2017/2019 la riduzione del 18% della popolazione.

Se, però, è vero che i dati mostrano una forte criticità nell’occupazione in determinati settori, è vero anche che in tempo di pandemia aumentano le richieste di figure professionali più o meno specializzate in altri settori: su tutti le aree produttive che fanno uso del digitale.

Una crisi, perciò, deve essere interpretata anche come un’opportunità, per dirla con il Premio Nobel dell’Economia nel 1998, Amartya Sen.

Al netto delle professioni legate all’ambito sanitario, quali, ad esempio, medici, infermieri, tecnici di laboratorio e responsabili del tracciamento dei contagi, la cui offerta è per ovvie ragioni aumentata, stando ai dati delle più note società di consulenza del lavoro e agenzie interinali, si moltiplicano le richieste, arrivando ad una percentuale del 47%, degli addetti alla misurazione della temperatura in aeroporti, negozi, supermercato, ristoranti, scuole, ospedale e aziende.

Figure che segnano quasi un’evoluzione del receptionist e dell’addetto alla sicurezza e al controllo accessi. Accanto a queste vi sono poi gli addetti alla sanificazione, la cui domanda è aumentata addirittura del 54%, quelli alla gestione code e al distanziamento che dovrebbero garantire il controllo della normativa sulla sicurezza anti-contagio: la richiesta, in questo caso, ha fatto registrare un aumento del 43%.

Tra le figure professionali più richieste in corso di pandemia anche quelle legate alle nuove esigenze del mercato del lavoro: tra queste, i responsabili del lavoro da remoto per l’attivazione e la gestione dello smart working, gli interior designer per adeguare gli ambienti di lavoro alle norme del distanziamento sociale, e dunque, gli installatori di schermi protettivi e divisori di plastica o plexigas negli uffici, ad esempio, tutta la schiera produttiva per il confenzionamento e la cucitura di mascherine, ma anche personal trainer per il fitness all’aperto.

Uno dei settori più in crescita è il settore del digitale, portandosi dietro, nella scalata delle professioni più richiesti al tempo del coronavirus, gli sviluppatori di app, web devepoler, e-commerce manager, social media manager, SEO e SEM Specialist, Data Scientist, esperti di Blockchain e via dicendo.

Da un’analisi degli annunci dei profili professionali più ricercati attraverso siti web delle agenzie interinali come Adecco, ad esempio, si può riscontrare una tendenza molto simile anche nel Sannio: si va dalla classica figura del geometra con mansioni, però, relative alla gestione dell’ordine dei clienti e all’organizzazione dei trasportatori, in linea con l’attuale andamento generale dell’occupazione nel settore delle costruzioni, ai manutentori meccatronici per la gestione dei sistemi automatizzati, ai progettisti elettronici per l’implementazione di nuovi processi tecnologici, agli impiegati back office commerciali per la gestione degli ordini commerciali e delle commesse.

Curiosa, poi, è la richiesta sempre più frequente del cosiddetto quotista sportivo nell’ambito delle scommesse sportive, o dell’operatore data entry e dello sviluppatore back end nell’ambito del gaming on line. Per molti di questi lavori viene richiesta esperienza e alta qualificazione tecnica.

Fa specie l’offerta di quattro tecnici per il montaggio delle torri attivata da un’azienda storica del Sannio, la Idnamic, con sede a Pietrelcina, che si occupa da circa 30 anni di installazione, manutenzione e gestione delle torri per la misurazione del vento.

Si tratta di figure specifiche che l’azienda si prefigge di formare direttamente e di inserire nel suo organico, rispondendo in questo modo alla necessità, che è poi la stessa mission dell’azienda, di contribuire a fermare il riscaldamento globale attraverso l’utilizzo di tecnologie per la produzione di energie rinnovabili.

Mission ancora più ambiziosa oggi, quando la crisi globale determinata dall’emergenza sanitaria ha svelato il fragilissimo equilibrio esistente nel rapporto uomo-natura e ha mostrato la priorità non più rinviabile di uno sviluppo e di un’economia reale concretamente sostenibili e rispettosi dell’ambiente.

Un’esigenza che si è tradotta con il governo Draghi anche nella nuova denominazione del ministero dell’Ambiente quale ministero per la Transizione ecologica.

Secondo il rapporto di Unioncamere e Anpal sulle previsioni del fabbisogno occupazionale e professionale in Italia per il prossimo biennio ”saranno necessari tra i 3 e i 3,2 milioni di nuovi occupati per soddisfare le esigenze di tutto il comparto produttivo italiano comprensivo sia delle imprese private sia della pubblica amministrazione.”

La trasformazione digitale e l’ecosostenibilità, secondo l’analisi di Unioncamere e Anpal, avranno un peso determinate nella creazione di nuovi posti di lavoro, per i quali saranno sempre più necessari competenze specifiche e livelli di istruzione medio-alti, quali il diploma e la laurea: si stima, infatti, un fabbisogno tra i 275mila e i 325mila lavoratori per la prima area e tra i 519mila e i 607mila lavoratori per la seconda.

Se è vero, dunque, che il presente sembra dare ragione a grandi linee alla previsione della “fine del lavoro” teorizzata anche provocatoriamente dall’economista Jeremy Rifkin, a causa della perdurante frammistione dell’uomo con le macchine e con le tecnologie più avanzate, che hanno gradualmente sostituito la forza lavoro fisica, soprattutto nel settore dei servizi tradizionali, è vero anche che le nuove sfide, costellate certamente da enormi incognite, presuppongono una nuova possibilità per l’uomo di trasformare le risorse a disposizione in modalità di vita ritenuta adeguata e in capacità di vivere.

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