POLITICA
Terzo Mandato, la disperata marcia indietro di Meloni e il bivio di Forza Italia: Leoni o dinosauri?
Dopo aver imposto da Palazzo Chigi il ricorso alla Consulta contro la legge elettorale campana, sbarrando la strada al terzo mandato per i governatori, Meloni, attraverso il fido Donzelli, prova a riaprire la partita nel tentativo di scongiurare una debacle alle regionali d’autunno. De Luca spera e con lui Zaia e tutti gli altri. Ma che senso avrebbe per Forza Italia?
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Secondo il responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia, l’onorevole Giovanni Donzelli, la maggioranza potrebbe portare in Parlamento una nuova legge per superare la recente sentenza della Consulta che ha sancito l’incostituzionalità della legge elettorale campana che consentiva a De Luca di correre per il terzo mandato. Sentenza, val la pena ricordarlo, con la quale i giudici dell’Alta Corte hanno accolto un ricorso presentato dal governo Meloni. A dire di Donzelli il Parlamento potrebbe licenziare la nuova legge persino in tempo per le regionali d’autunno.
Parole che hanno immediatamente fatto il giro del web che vanno prese per quelle che sono. La sensazione, per dirla in poche parole, è che Donzelli si sia fatto carico di una sortita volta essenzialmente a misurare la fattibilità di una nuova legge per rispristinare il terzo mandato, dunque volta a misurare le reazioni interne innanzitutto alla maggioranza di centrodestra.
La verità l’ha detta Matteo Renzi, e non è una novità. Secondo il leader di Italia Viva Donzelli ha parlato a nome di Meloni che spera di aprire il caos nel centrosinistra in Campania, rimettendo in gioco De Luca e minando l’unità del campo progressista, e spera di risolvere i problemi con la Lega confermando Zaia in Veneto. Insomma, la premier che ha imposto il ricorso contro il terzo mandato dinanzi alla Consulta, infischiandosene delle resistenze leghiste, ora tenta una disperata marcia indietro nella consapevolezza che le regionali d’autunno, per come si stanno mettendo le cose, potrebbero risolversi in una sonora sconfitta, tale da pregiudicare il resto della legislatura e, soprattutto, l’esito delle prossime elezioni politiche.
E se è vero che qualche deluchiano, a queste latitudini, ha preso subito la palla al balzo rilanciando le dichiarazioni di Donzelli, se è vero che lo stesso De Luca ha detto che questa retromarcia prova l’intelligenza politica di Meloni, e che se è questo il suo intendimento si può fare in 48 ore, il vero problema, per la premier, è rappresentato da Forza Italia. Solo pochi giorni fa, il 25 maggio, il portavoce degli azzurri e vice capogruppo alla camera, Raffaele Nevi, si esprimeva nei seguenti termini: «Abbiamo sempre detto qual è la nostra posizione e con ci sono cambiamenti per quanto ci riguarda, siamo convinti del fatto che sia necessario il limite dei due mandati per tutte le regioni, anche a statuto speciale. Un principio politico che deve valere per tutti. Poi spetterà alla Corte costituzionale decidere se questa norma del vincolo dei due mandati vale anche per le regioni a statuto speciale e per le province autonome».
Certo, in politica tutto è possibile e dinanzi ad una proposta indecente anche Forza Italia potrebbe aprire, ma in termini di logica politica non avrebbe alcun interesse. Gli azzurri avrebbero tutto da perdere da una retromarcia, non solo perché avrebbero molte meno caselle a cui ambire negli anni a venire, ma per una questione di prospettiva.
Il dirompente discorso del neo segretario del movimento giovanile del partito, Simone Leoni, va interpretato come la prova del fatto che il partito si accinge ad affrontare una lunga e travagliata fase di profondo mutamento. L’attacco a Vannacci, il richiamo ai valori liberali, all’inclusione, alla cittadinanza e ai valori civili, va letto come la traduzione delle parole pronunciate da Marina Berlusconi in ben due interviste, rilasciate nel corso degli ultimi quindici mesi, prima al Corriere della Sera e poi a Il Foglio. Insomma, Leoni ha detto quel che ha detto, non ha esitato ad indicare una linea tanto coraggiosa ed eretica perché “coperto” da Arcore. Il suo intervento va interpretato come un chiaro avvertimento innanzitutto alla vecchia guardia del partito, come il primo passo di un percorso di profondo rinnovamento che troverà concretezza nella proposta di rappresentanza alle prossime politiche, quindi come un avvertimento agli alleati: il segno tangibile di un cambio di prospettiva necessario alla sopravvivenza stessa di Forza Italia, che o diventa la casa del nuovo centro moderato, popolare e liberale, o è destinata a morire all’ombra dei sovranisti.
Di contro, la lettera aperta con la quale il padre del giovane Leoni, giornalista del Secolo d’Italia e di ADNKRONOS, ha preso le distanze del figlio definendolo un rinnegato, non solo certifica il coraggio del neo segretario dei giovani di Forza Italia, ma rappresenta anche la prova più evidente dei timori che quel discorso ha innescato nell’universo sovranista. Non a caso tutte le testate riconducibili alla destra di governo hanno immediatamente messo nel mirino il giovane Simone e hanno dato enorme eco a quella lettera.
Insomma, la torsione liberale di Forza Italia rappresenta una minaccia all’esistenza stessa di questo centrodestra e una sconfitta alle regionali d’autunno finirebbe con il determinare le condizioni perfette per un’accelerazione in quella direzione. Come spesso accade in politica, la sconfitta può tradursi nella vera vittoria, ovvero nel presupposto necessario ad alimentare l’orizzonte a cui si tende. Forza Italia ha la necessità di uscire dall’ombra sovranista, di sottrarsi all’eterno derby con la Lega per il secondo posto in coalizione, ha la necessità di recuperare la propria funzione nel quadro politico nazionale, di imporsi sul medio periodo come il motore di un nuovo centro liberale e popolare, autenticamente europeista. Un nuovo centro alternativo alla sinistra, certo, ma del tutto incompatibile con la destra illiberale.
La sconfitta del centrodestra alle regionali è funzionale agli interessi di Forza Italia, almeno nella prospettiva di Arcore. È la vecchia guardia, la classe dirigente che ha tutto da perdere dal rinnovamento auspicato da Marina, ad avere tutto l’interesse a salvaguardare lo status quo, a galleggiare per sopravvivere.