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CULTURA

Dai filmini alla Stazione alla serie con Verdone, in regia c’è Valerio Vestoso: “Benevento? Racconterei una certa sua borghesia”

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Si racconta che Isaac Newton formulò la legge di gravità dopo essere stato colpito da una mela. Una mela caduta dall’albero sotto al quale si era addormentato. E non perché sfinito ma perché annoiato. E pure la storia che raccontiamo oggi affonda le sue radici nel medesimo stato d’animo. “I miei primi filmini? Da piccolo, in giro con gli amici per il mio rione, alla Stazione. Con la telecamera rubata a mio padre. E con le inevitabili conseguenze del caso una volta scoperto il furto. Improbabili cortometraggi che riempivano le nostre giornate, soprattutto d’estate quando si cercava un modo – non ne esistevano tanti – per combattere la noia”. Di tempo – neanche tantissimo, per la verità – ne è passato e quel bambino ne ha fatta di strada. Da quarant’otto ore è infatti disponibile su Paramount+ la seconda stagione di ‘Vita da Carlo’, dove Carlo sta per Verdone. Ad alternarsi, alla regia, l’attore romano e quel ragazzo del rione Ferrovia, Valerio Vestoso. Naturale, allora, partire da qui.

Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Tante emozioni. Un susseguirsi di stati d’animo. Dall’incredulità data dal fatto di poter affiancare Verdone nella regia della serie fino all’ansia di fare bene e di riuscire a preservare l’universo di Carlo ma declinandolo anche nella mia visione. E’ stato un lavoro duro ma devo pure dire che ci siamo divertiti tantissimo. Merito di Carlo, della sua enorme disponibilità e di tutto il cast: attori giganti”.

E ora l’emozione per la prima?

“E sì, l’ora del responso. La critica ha già accolto molto bene la serie e ne siamo contenti. Ma quello che facciamo lo facciamo per il pubblico e siamo davvero curiosi di conoscerne le reazioni”.

Lavorare con Verdone? Si parla di lui come di un professionista estremamente pignolo

“Uno stacanovista. Un professionista preciso ma è questo uno dei pochi punti che abbiamo in comune: come a Carlo, anche a me piace arrivare sul set in anticipo e preparato. Per altri aspetti, invece, siamo diversissimi e questo ci ha aiutato a completarci sul set”.

Per tornare agli inizi, alla nascita della tua passione per quest’arte: abbiamo raccontato dei primi filmini con la telecamera presa ‘in prestito’ da papà. E poi?

“E poi i matrimoni, fiere di personaggi incredibili. Una palestra formidabile per chi vuole fare questo mestiere. Quindi un po’ di gavetta nelle tv private e pian piano le prime partecipazioni ai contest per cortometraggi. Fino a iniziare il percorso professionale. Gli spot con i ‘The Jackal’ , un’altra occasione di crescita importante: essere tre o quattro volte a settimana sul set è un qualcosa che nessuna scuola al mondo ti può dare”.

C’è una domanda che si pone sempre a un giovane regista e noi non facciamo eccezione: i tuoi riferimenti?

“Sono sempre tantissimi. E cambiano a seconda dei momenti. C’è quello in cui patteggi per Woody Allen e l’altro in cui tifi per Scola. Ultimamente mi piace tantissimo Lanthimos e ancora Ruben Ostlund e quindi le commedie nord-europee, più secche e ciniche ma grazie all’accezione autoriale capaci di far ridere e far riflettere. Per questo dico che in base ai momenti i riferimenti cambiano. Io poi sono un onnivoro, guardo quanta più roba possibile. Anche i film palesemente brutti. Ti danno autostima: “Se questi hanno riempito un’ora e mezza con tutta questa ‘monnezza’ … “.

Classe 1987 ma già tante esperienze alle tue spalle: quella che ricordi con particolare piacere?

“Si torna sempre alle origini: cito l’occasione che mi fu data con ‘Universo Teatro’ da Ugo Gregoretti, dalla Solot e dal Gruppo Teatrale Universitario di scrivere uno spettacolo su una sorta di supereroe. Gregoretti aveva questa idea di raccontare la storia di un Asterix sannita e cercava un testo teatrale che incarnasse questa sua suggestione. Lo scrissi e a lui piacque, tanto da portarlo in scena. Uno spettacolo a cui oggi guardo con grande tenerezza, vista l’ingenuità del testo. Ma decisivo nella mia crescita per la maestria di Gregoretti. Mi diede una lezione sul ritmo e lo fece riducendo il copione da 40 a 27 pagine. Rimasi scioccato da quel taglio, come se si fosse trattato di una critica feroce al mio lavoro. Invece era tutto a beneficio del ritmo. Un momento spartiacque: capii che non bisogna mai affezionarsi troppo a ciò che si scrive o si dirige. Per dire: anche con ‘Vita da Carlo’ abbiamo dovuto tagliare 150 minuti di girato: scene bellissime prese singolarmente ma che nell’ottica del racconto appesantivano e indebolivano la narrazione. Quindi sì: l’esperienza che ricordo con maggiore piacere è stata quella più tragica, il taglio del mio copione”.

Parlando di teatro e citato Gregoretti il pensiero va a ‘Città Spettacolo’: si è da poco conclusa la 44esima edizione e la rassegna ha proseguito sulla sua ‘nuova’ strada, dichiaratamente diversa rispetto a quella originaria. Che idea ti sei fatto?

“Non vivendo più la Città è venuta anche meno, per me, l’opportunità di vivere queste occasioni para-culturali. Ma è chiaro che parliamo di una ‘Città Spettacolo’ completamente diversa da quello che era. E non è questione di meglio o peggio, di buono o cattivo. Ma ho la fortuna di lavorare con grandissimi attori – diversi vengono dal teatro – e ogni volta che cito Benevento subito parte l’aneddoto su ‘Città Spettacolo’: “Ho fatto la prima del mio spettacolo ecc… “. Ecco, anche dopo gli anni gloriosi delle prime edizioni, la rassegna è sempre stata luogo di importanti sperimentazioni. Con il focus ben centrato sul teatro. Vederla declinata in altri settori – che possono essere nobili o meno nobili – non le rende storicamente giustizia. E dunque avrei chiuso quel capitolo – perché non è detto che una cosa debba vivere per sempre – e ne avrei aperto un altro. Ma devo aggiungere una considerazione”.

Prego

“Sono stato a Spoleto e posso testimoniare che il teatro è vivo e vegeto. E dopo la pandemia si è ripreso molto meglio del cinema. Perché il cinema è un’esperienza che puoi replicare anche a casa – seppur con mezzi meno gratificanti di quelli propri di una sala cinematografica – mentre il teatro no. Lo dico giusto per togliere l’alibi del teatro morente: la gente ne ha voglia e lo stesso pubblico beneventano è molto più appassionato al teatro di quanto si voglia lasciar pensare”.

Usciamo dal teatro ma restiamo ai festival beneventani: sorpreso dal successo del Bct?

“Pure qui dispiace non averlo potuto frequentare ma conosco Antonio Frascadore e la stima di cui gode nella realtà del cinema e della televisione. D’altronde il Bct riesce perfettamente in quella che è la sua proposta. E’ un salotto che dà la possibilità da un lato di conoscere personaggi del cinema e della televisione più o meno noti e dall’altro di approfondire certe tematiche. Non ha la vocazione performativa che aveva ‘Città Spettacolo’ ma il suo lo fa e lo fa anche bene. E poi ha il merito, non da poco, di riportare Benevento al centro dell’attenzione mediatica”.

A proposito di Benevento e attenzione mediatica, è ripresa la discussione sulla ‘Film Commission’ e questo anche dopo il successo de ‘L’avvocato Malinconico’, serie di cui sei stato tra gli sceneggiatori e in gran parte ambientata nel Salernitano. E’ una strada su cui vale la pena insistere?

“Assolutamente sì, quella avviata è una discussione interessantissima, ero stato anche invitato a partecipare dal direttore Gemma e dall’assessore Tartaglia Polcini. Tra l’altro proprio la Film Commission mi ha dato una mano pazzesca nel mio primo corto, girato in un circolo a piazza Roma con una troupe della Capitale composta da cinquanta persone. E dunque: perché no? Benevento ha tutte le potenzialità per ospitare un film o una serie tv. Ti dico anche che a breve inizierò a girare la mia ‘opera prima’ e l’auspicio – ne sto discutendo con i produttori – è quello di girare gli esterni a Benevento. Non nella Benevento turistica ma in quella dei quartieri popolari: hanno grande fascino e una cultura particolare, che non è quella popolare di Napoli o di altre città meridionali. E’ una cosa a sé e penso adatta per il racconto della mia storia”.

E c’è una storia di Benevento o di un personaggio Beneventano che ti piacerebbe raccontare?

“Mi piacerebbe raccontare una certa borghesia beneventana. Che vive un po’ al riparo dai riflettori ma che dal punto di vista cinematografico sarebbe affascinante descrivere. Una borghesia autoreferenziale, che vive per se stessa ma chiusa in una bolla: esiste solo tra i confini della città, fuori acquisisce anonimato. Mi incuriosisce più questo che la storia di Benevento, talmente nota che sarebbe didascalico scriverla in una sceneggiatura. Vediamo, speriamo possa venirmi qualche buona idea in futuro”.

Altrimenti puoi sempre scrivere un film biografico su Savastano

“Ci siamo già andati vicini, avevamo iniziato a scrivere una serie, poi però ci siamo fermati”.

Ti aspettavi potesse riscuotere tutto questo successo?

“Savastano? Anche lui è nato dalla noia, come molte delle cose divertenti. Sempre in estate, non ricordo se del 2012 o 2013. Non avevamo tantissimo da fare e gli feci vedere una canzone che avevo scritto così, in modo un po’ rudimentale. Lui aveva e ha un talento enorme, una musicalità pazzesca e grande ironia. Pensavo fosse l’unico in grado di far diventare quella canzone un qualcosa di più. Girammo un video e lentamente è partito un movimento che ha catturato l’attenzione di grandi nomi fino ad arrivare a vincere il premio della critica a Musicultura: una cosa incredibile”.

Cosa ti aspetta nell’immediato futuro?

“Tra un po’ inizia il lavoro per la terza stagione di ‘Vita da Carlo’. A gennaio invece uscirà una serie che ho girato per Amazon: una storia grottesca, molto divertente con un inedito Luca Zingaretti, Rocco Papaleo, Carla Signoris, Emanuela Fanelli, Alessandro Tiberi, Fabio Balsamo. Sei attori in stato di grazia per una serie molto particolare, ambientata tutta di notte. Una goduria”.

 

 

 

 

 

 

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