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POLITICA

Il mondo dimenticato della cultura, dei teatri e degli spettacoli: sarà vera ripartenza?

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Dopo più di un anno di chiusura delle attività economiche e culturali, costellato da riaperture parziali e ogni volta brevi se non brevissime per via dell’evoluzione dei contagi che mai si sono fermati davvero, l’annuncio di una riapertura programmata con il ripristino delle zone gialle per il 26 aprile, secondo ”un rischio ragionato” come ha detto il presidente del consiglio Draghi nella conferenza stampa del 16 aprile scorso, rappresenta uno spiraglio di ripresa anche per quelle attività che maggiormente sono state penalizzate dai piani emergenziali per la lotta alla pandemia.

Musei, teatri, cinema ed eventi culturali potranno tornare a svolgere la loro funzione e la loro attività, con una pianificazione limitata della capienza, ancora meglio se organizzati all’aperto.

L’approccio, da quanto sembra, è quello di camminare sui due binari della tutela e sicurezza sanitaria con il rafforzamento della campagna vaccinale e della prevenzione delle tensioni sociali che, pure, nelle ultime settimane sono emerse a gran voce da parte di tutte le categorie economiche.

La scelta del Governo sembra essere stata determinata proprio dalle molteplici manifestazioni di piazza di commercianti, professionisti, rappresentanti del mondo dello spettacolo e della cultura che rivendicavano il diritto al lavoro.

Solo nel Sannio le attività connesse al mondo degli spettacoli dal vivo, all’aperto o al chiuso dei teatri, hanno perso talmente tanto in termini di opportunità di guadagno che rischiano la chiusura e sabato scorso hanno portato in Piazza del Popolo a Roma, insieme ad altri lavoratori del settore di tutta Italia, affiancati dagli artisti che di loro si avvalgono per il loro lavoro, i bauli con cui generalmente trasportano le attrezzature per gli allestimenti.

All’insegna, invece, dell’ ”arte e della cultura come motore di consapevolezza, unione e bene comune”, sulle note dell’Oblivion di Piazzolla a significare la dimenticanza o la duratura distrazione della politica, intervallate dal ritmo e dalla melodia apotropaica di una tarantella che esorcizzasse l’attuale crisi di presenza di demartiniana memoria, musicisti e danzatori beneventani si sono chiusi in gabbia in Piazza San Modesto il 10 aprile scorso per rappresentare il disagio derivante dalle mancate opportunità lavorative di questo anno e più, e il rischio di perdere quell’identità e quel ruolo sociale che con la propria arte hanno costruito.

Eppure, scelte diverse per l’arte e la cultura potevano essere fatte anche prima, evitando la perdita di spazi di vita e rituali identitari per chi di arte e cultura vive, anche come fruitore.

Come è successo per i luoghi di culto ad esempio, e per le chiese in particolare, che ad un certo punto della pandemia sono rimaste aperte con l’adozione delle cautele previste per la sicurezza anti Covid.

L’anima non si nutre solo della fede religiosa ed è su questo filo conduttore che un gruppo di artisti e di attivisti culturali beneventani, come si ricorderà, ha interrotto le celebrazioni della Domenica delle Palme il 28 marzo scorso, nella Basilica della Madonna delle Grazie per chiedere ”il sostegno di tutti per il ripristino della libertà di fare cultura.”

Ora c’è, certo, uno spiraglio, ma tutto dipenderà ancora una volta dal comportamento dei cittadini e dal rispetto rigoroso delle norme di distanziamento sociale e di sicurezza per evitare il contagio. Questo, infatti, non si è affatto azzerato: continua ad esserci, tanto che nelle scorse ore sono stati numerosi i sindaci sanniti, a partire da quello del capoluogo per le scuole superiori, che hanno deciso di tenere chiuse le scuole per almeno un’altra settimana.

Insomma, se tutto andrà bene, possiamo aspettarci di tornare a nuove restrizioni. E’ un’amara consapevolezza questa, ma molto realistica, considerando l’attitudine falsamente orientata alla libertà d’azione e suggerita dal libero arbitrio della ribelle e provocatoria disobbedienza delle norme di sicurezza a cui assistiamo giorno dopo giorno sui territori, soprattutto tra i più giovani, che determina inevitabilmente e in un circolo vizioso impazzito l’aumento dei contagi. Tanto da far pensare che forse il senso civico è rimasto per molti soltanto una nozione consultabile su testi e dizionari, mai interiorizzata e, quindi, mai divenuta discrimine tra l’agire per il solo interesse individuale e l’agire per il più complesso interesse collettivo che riverbera anche sui singoli.

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