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La lettera di mons. Mainolfi: contro ogni eutanasia che sia benedetta la vita

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“Fabiano Antonioni, 40 anni, cieco e tetraplegico da 2 anni e mezzo per un incidente stradale, il 27 febbraio, mordendo un pulsante per attivare la somministrazione del farmaco letale, è morto. Lo hanno portato in Svizzera. A morire. La sofferenza, come la morte, merita rispetto. Ma l’uomo è più della sua malattia, più della sua disabilità. La dignità umana rimane, indipendentemente dalle capacità psicofisiche. Siamo dinanzi al dramma del suicidio assistito. Siamo davanti alla tragedia e al fallimento dell’eutanasia. Per i malati terminali o in condizioni clinicamente disperate ci sono le cure palliative per placare il dolore. Un detto attribuito ad Ippocrate recita: Divinum est sedare dolorem. Le persone gravemente ammalate meritano il primo posto nell’agenda politica. Il denaro pubblico viene invece sprecato per cose superflue e spesso frodato da gente senza scrupoli. Ce ne vergogniamo!

In Campania la sanità versa davvero in uno stato pietoso. Basti considerare in quali condizioni sono costretti a lavorare gli operatori sanitari, quanto sono lunghe le liste di attesa per un ricovero o per un intervento e quanto squallida sia la condizione di malati gravi poggiati sulle barelle del pronto soccorso. Ma ogni vita è sacra e inviolabile. Non può essere affidata al delirio delle ideologie o alla fragile autodeterminazione. Una volta accesa nel grembo materno, la vita è destinata a non morire mai più. Porta il sigillo dell’eternità. L’amore e la tenerezza, la presenza e la cura devono difendere la dignità di ogni vita.

Madre Teresa dei poveri ce lo ha insegnato energicamente: “La vita è bellezza, ammirala; la vita è vita, difendila!”. Quella del bambino che sta per nascere come quella della persona prossima a morire. Nel dibattito parlamentare in corso sulle Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento) alcuni parlamentari sedicenti cattolici sostengono il testo sul consenso informato che invece è da respingere. La posizione cattolica non ammette equivoci. Privare il malato di nutrizione e idratazione, tranne che nella fase terminale, è “eutanasia omissiva”.

Lo conferma la Santa Sede con la Carta degli operatori sanitari dello scorso 7 febbraio: “La loro sospensione non giustificata può avere il significato di un vero e proprio atto eutanasiaco”. Ma lo aveva già affermato con energia Giovanni Paolo II il 20 marzo 2004 e confermato la Congregazione per la Dottrina della Fede l’1 agosto 2007 con una dichiarazione firmata dal Prefetto Card. William Levada. Il termine eutanasia come “buona morte” è una menzogna. L’egoismo dell’uomo è assai antico: il monte Taigeto a Sparta e la Rupe Tarpea a Roma ce lo ricordano. L’eutanasia attiva procura intenzionalmente la morte di un individuo con la somministrazione di un farmaco letale. L’eutanasia passiva, mediante un’omissione. L’humus culturale in cui si sviluppa questo fenomeno ha diverse cause: cultura di morte, assenza di Dio nell’orizzonte esistenziale, falsa concezione della “qualità della vita” che per alcuni merita di essere vissuta solo se può essere goduta, legittimazione dell’aborto che contribuisce a creare consenso intorno alla legalizzazione dell’eutanasia, crescente invecchiamento della popolazione e peso economico-sociale degli anziani improduttivi, esasperato individualismo, scarsa solidarietà, società del benessere che tiene segregato il malato fuori casa nell’anonimato di strutture sanitarie, consumismo senza freni che rende tutti fiacchi, occultamento della morte perché priva di senso, umanesimo chiuso al trascendente, appello filosofico e ideologico all’autonomia assoluta dell’uomo quasi egli fosse l’autore della propria vita e strombazzamento del principio dell’autodeterminazione, invadenza tecnologica che non coinvolge la famiglia, etica utilitaristica dove vale solo chi produce ed è efficiente alla luce del calcolo costi-benefici.

Per queste ragioni la cultura occidentale dominante favorisce l’eutanasia e la legittima con arroganza. In nome di una “falsa pietà” si uccide per nascondere egoismo, individualismo radicale e liberatorio, dentro un’antropologia immanentista, nel groviglio di una storia senza Cielo. La sofferenza è un valore. La morte è un passaggio alla pienezza della vita. Rimane il dramma. Rimane il mistero. Socrate canta bevendo la cicuta. Cristo trema nell’ora del Getsemani. E’ anticristiano voler stabilire autonomamente il momento della propria morte: Momentum a quo pendet aeternitas. In questa ora ci si gioca la felicità o la disperazione eterna. Il buon ladrone del Vangelo si è salvato nell’ultima ora. A presidio e difesa dell’inviolabilità della vita umana grida con forza la legge naturale dell’ ”istinto di conservazione” e la legge divina del quinto comandamento del Decalogo “Non uccidere” che condanna ogni forma di omicidio e di suicidio, tortura o pena di morte, eutanasia ed energia atomica, inquinamento ambientale o droga, alcool e fumo, a partire dall’aborto.

Nessuno può passare impunemente dalla logica del delitto alla logica del diritto perché “a Sua immagine Dio ha fatto l’uomo” (Genesi 9,6). Tra tanta confusione e parole false occorrono parole chiare annunciate con amore e per amore dell’uomo. E’ quasi sempre un’invocazione di aiuto, un messaggio cifrato per implorare vicinanza e tenerezza, il grido del malato che domanda la morte. Occorre fargli avvertire che la sua vita è ancora un valore assai prezioso.

E’ voce di grande attualità e profezia, quella di Fiorella Mannoia che a Sanremo 2017 ha cantato un commovente e solenne inno alla vita: «E se è vero che c’è un Dio e non ci abbandona / che sia fatta adesso la sua volontà… / Che sia benedetta / per quanto assurda e complessa ci sembri la vita è perfetta…/ dovremmo imparare a tenercela stretta»”. (Mons. Pasquale Maria Mainolfi)

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