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Limatola, biblioteca e palestra della scuola media intitolate al preside Aragosa

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Con voto unanime il consiglio comunale di Limatola ha dedicato la biblioteca e la palestra della scuola media al preside Giuseppe Aragosa. Era la fine dello scorso mese di agosto quando lo storico è deceduto. Al termine della cerimonia funebre un gruppo di suoi amici ed estimatori lanciò la proposta di dedicare una strada, una piazza, un luogo pubblico alla sua memoria.

Sui social – scrive il consigliere comunale Pietro Di Lorenzo – i primi riverberi di un’iniziativa che apparve subito doverosa  nei confronti di una personalità da sempre impegnata alla ricerca di una vera identità per Limatola e la sua Biancano. Dopo la sottoscrizione, con la partecipazione di tantissimi cittadini, c’è stata l’iniziativa dei consiglieri di minoranza e stamani  il consiglio comunale all’unanimità ha stabilito di dedicare alla memoria di Giuseppe Aragosa la biblioteca e la palestra della scuola media di Limatola.

Giuseppe Aragosa, nato a Limatola il 9 gennaio del 1941 da Raffaela Fusco e Aragosa Luigi è morto a Caserta il 28 agosto 2016. Fin da piccolo rivelava di possedere doti non comuni anche per l’impegno e la serietà negli studi, tanto che il parroco del tempo e gli insegnanti indussero i genitori a fargli frequentare la quinta elementare nella frazione Casale (Ave Gratia Plena) – a quel tempo non c’era questa classe nella sua frazione -, per il successivo prosieguo degli studi in seminario.

Frequentava, infatti, le scuole elementari quando, alienandosi talvolta dalla compagnia dei suoi coetanei, il piccolo Giuseppe si ritirava in disparte e giocava a modellare la creta, raccolta sugli argini del ruscello che scorreva ai margini del paese. In un solo punto preciso del piccolo corso d’acqua, che convogliava le sue acque nel Volturno, la siepe presentava strati di argilla dal colore tipico che andava dal marrone chiaro al rosso bruno.

I ragazzi ne raccoglievano in quantità e, mescolandola con l’acqua godevano ad imbrattarsi le mani con il suo impasto. Giuseppe sapeva ricavare da essa piccoli oggetti, forme umane in miniatura, animali, fiori dai petali scuri. Per la sua famiglia e il vicinato modellava bugie da candela, fornite anche di manico per la presa, che venivano usate normalmente, perchè il piccolo paese era sprovvisto di elettricità.

Biancano, il paesino frazione di Limatola, in cui Giuseppe trascorse i primi anni di vita, era allora un’agglomerato di case agricole e soprattutto isolato dal contesto. “A Biancano finisce il mondo”, si diceva all’epoca e ciò perché bisognava tornare indietro una volta giunti nella piccola frazione. La strada che conduceva a Limatola capoluogo era sterrata, grosse buche la lastricavano. Durante l’inverno queste erano piene di acqua e fango e nelle stagioni secche mostravano tutta la loro profondità, scoraggiando anche il passaggio dell’unico mezzo di trasporto allora esistente, il carro trainato dai buoi. La bicicletta e il calesse erano posseduti solo da alcune famiglie più agiate.

Mons. Salvatore Carrese, parroco del posto, in quegli anni, nel suo testamento spirituale dice che aveva trovato ivi “una popolazione quasi primitiva, dove mancava ogni struttura sociale”. In questo luogo, apparentemente senza stimoli o modelli da seguire, senza alcuna esperienza di uomini e cose, segnato dai bombardamenti americani, dalle mani del piccolo Giuseppe nascevano, come per magia (ma in realtà c’era l’impegno, la passione, il lavoro), oggetti e forme. Quando dal seminario, dove andò a undici anni per seguire gli studi classici, faceva rientro a casa durante le vacanze estive, si riaccendeva la sua passione rimasta inespressa, ma i genitori cercavano di dissuaderlo dal seguire la sua naturale propensione per le arti e lo spingevano verso una attività che gli garantisse un futuro più solido. Giuseppe era inarrestabile nelle sue passioni, forgiò nel tufo una statua di Gesù alta circa sessanta centimetri, tanto espressiva e somigliante alle icone tradizionali che il vicinato si inchinava davanti a Cristo, segnandosi col segno della croce. Poi la testa di un fauno, forse ricordando che Michelangelo sedusse con quella sua prima espressione artistica il grande Lorenzo dei Medici, colui che lo sostenne e gli diede modo di diventare l’irraggiungibile e irripetibile genio.

A diciannove anni Giuseppe realizzò il suo più importante lavoro scultoreo, unico rimasto della sua forzatamente limitata produzione, il San Pancrazio, che ancora si erge nella piazza di Biancano, alla sinistra dell’ingresso della chiesa, dove un generoso concittadino lo ricollocò, dopo un periodo di abbandono in un garage, essendo stato involontariamente frantumato da un mezzo meccanico. Da un blocco di tufo bianco, preso da una cava di S. Agata dei Goti, modellò una testa piena di riccioli, che ricordavano quelli del Davide di piazza della Signoria, forme corporee robuste e ben tornite, sguardo fiero e mite nello stesso tempo, braccio con evidenti turgide vene reggenti la fiaccola della fede, abito di guerriero romano. Il santo, patrono dell’Azione Cattolica,martire sotto Diocleziano, era già venerato nella vecchia locale chiesa di Santocummavo del V, VI secolo d.C., insieme ai santi Cosma e Damiano.

Nel giro di alcuni mesi, il tempo di una vacanza estiva, la statua, alta m. 1,60, era pronta, stuccata e verniciata. Non era di marmo ma fatta di un materiale povero, come poveri erano i tempi.

In seminario Giuseppe consolidò e sviluppò l’amore per la cultura classica, ma sentì che la sua non era una vera vocazione al sacerdozio, pertanto conseguì il diploma di maturità da esterno presso il Liceo Ginnasio “L. Sodo” di Cerreto Sannita.

Il giovane Giuseppe si cimentò anche nella pittura, partecipando a mostre collettive in provincia di Napoli e vendendo anche qualche quadro. Soggetto preferito, la natura, unica bellezza del suo paese natio, che neanche i folti bombardamenti tedeschi erano riusciti ad offuscare. Fece anche qualche tentativo di pittura più moderno con mucche a riposo, e infine un ritratto della propria moglie, naturalmente molto idealizzato. E’ suo anche il quadro, olio su tela, dello stemma di Limatola, esposto nella sala comunale, sul quale è riportata la scritta latina d’autore : sua servat qui salva esse vult communia.

La necessità di procurarsi uno stipendio che gli garantisse una vita agiata lo indusse a mettere da parte la sua vena artistica, in favore di attività più concrete e remunerative, che non gli negarono comunque la possibilità di far emergere altre virtù personali.

Si iscrisse alla facoltà di Lettere Classiche presso l’Università di Napoli e per mantenersi agli studi dava lezioni di latino e di greco. Si distinse per la sua capacità di studio e di approfondimento e divenne per un periodo assistente del professore di Glottologia Aniello Gentile. Si laureò e insegnò Materie Letterarie nella Scuola Media di Limatola.

Nell’anno 1974 superò il concorso a cattedra in Materie letterarie per la Scuola media. Conseguì successivamente l’abilitazione in Italiano, Latino e Greco per gli Istituti Superiori di secondo grado; vinse il Concorso a preside nel 1985. Partecipò al corso biennale per Dirigenti Scolastici negli anni 1999-2000 per la relativa qualifica.

Costantemente impegnato in studi e ricerche storiche, divenne esperto di Storia Romana e cultura classica, conoscitore dei testi antichi e traduttore esperto della lingua latina. Nei classici rintracciò notizie relative all’origine del suo paese, alla vicende storiche di cui il territorio era stato teatro nel corso dei secoli, ai popoli che lo avevano abitato, ai loro costumi e alle loro abitudini di vita, i cui retaggi ancora erano presenti nella popolazione locale. Curò con attenzione e scrupolosità le sue ricerche e, sempre giovandosi delle fonti, ricostruì gli avvenimenti di cui gli antichi abitanti della sua Limatola erano stati protagonisti, avvenimenti e fatti fino a quel momento nascosti sotto la storia ufficiale, dando prestigio alla sua terra e creando identità nella popolazione, impresa mai affrontata da alcuno. La sua produzione storica sempre suffragata da documenti, testi di autori classici, ritrovamenti archeologici, toponomastica locale, gli conferisce il merito, riconosciuto unanimemente da tutti i concittadini, di aver condotto studi meritevoli, di aver dato risalto e prestigio al suo paese natale e di aver dimostrato per esso amore incondizionato.

Pubblicazioni – Ha pubblicato diversi articoli sia di storia romana che medievale sul periodico Moifà, tipolitografia Trullo Roma, e sul settimanale Il Resto. Ha collaborato con il periodico Le Province e con l’Associazione Civitas casertana, attraverso i Quaderni della Biblioteca del Seminario di Caserta. Ha pubblicato numerosi testi sia scolastici che di storia locale tra cui si ricordano: Proposte per lo svolgimento della prova scritta del concorso a preside, Ferraro, Napoli, 1990; Novelle per un anno scolastico, Ediz. Kat, 1995; Un antico centro del Medio Volturno. Limatola e il suo casale Biancano, Kat Ediz., 1994; Storia di Limatola, Dugenta e Durazzano in “Viaggio nel Sannio”- guida a cura di Bruno Menna, Ediz. Lascarana, BN 2002; Limatola e il suo castello medievale, Caserta 1997, Dizionario biografico delle terre dei Gambacorta, Dugenta, Frasso, Limatola, Melizzano, (a cura di A. Gisondi, V. Di Cerbo, G. Aragosa), Ediz. Il Chiostro BN 2006;  Il Vino nell’antichità. Quaderno n.1 Associazione Terre dei Gambacorta. Ediz. Il Chiostro, BN 2008;  Il Volturno, via del Mediterraneo nella Koinè campana, Ediz Il Chiostro BN 2009; L’Ara di Tito Severinio Vittore nel castello di Limatola, 2012 ; Da Saticula alle terre dei Gambacorta, quaderno n.7 Associazione Terre dei Gambacorta, pubblicato nel 2015.

Nel suo ultimo libro lo storico Aragosa descrive le vicende che hanno vissuto le nostre terre da Saticula, protagonista delle guerre sannitiche, a quelle che vengono oggi individuate come “Terre dei Gambacorta”, dal nome dei signori che le possedettero per oltre duecento anni, facendo del Castello di Limatola la loro residenza e distinguendosi per il loro mecenatismo, il loro amore per la cultura e le arti. Ne è testimonianza, tra l’altro, la pala d’altare dell’A.G.P., dipinta dal Tolentino, attualmente, per motivi di sicurezza, conservata nel Castello. I romani nella loro opera espansionistica rasero al suolo Saticula, suddividendo il territorio in centurie e affidando ai latini ivi dedotti, la colonizzazione del luogo, con l’introduzione delle loro norme, dei loro costumi, delle loro già avanzate capacità di coltivare la terra. L’area della centuriazione, dunque, ricade in gran parte nel territorio di Limatola e di essa ancora oggi si rinvengono le tracce. Anche con questo libro il Prof. Aragosa ha dato un contributo e forse il più importante alla storia del suo paese, lasciando il lettore pieno di orgoglio per essere erede di tanta storia, raccontata con fluidità di linguaggio, con passione, con tono accattivante. In esso la lettura dotta si sposa con quella amena, rendendo anche il contenuto tecnico leggero, avvincente e quindi alla portata anche di quei suoi concittadini che, non avvezzi alla lettura, asseriscono di aver divorato solo i suoi libri, alla ricerca di una parte di sé importante, alla ricerca delle proprie radici.

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