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Provincia di Benevento

Festa della Repubblica, il discorso di Cimitile. Tra i temi affrontati crisi economica, lavoro e spending review

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In occasione della Festa della Repubblica, il commissario straordinario della Provincia di Benevento, Aniello Cimitile, ha pronunciato il seguente discorso nel corso della cerimonia davanti al Monumento ai Caduti in piazza IV Novembre di Benevento. Questo il testo:

“Care Italiane e cari Italiani del nostro Sannio,

credo che questo nostro stare qui riuniti tutti insieme intorno al Prefetto Blasco sia un segnale importante, da vivere davvero in modo non formale; è per questo che avverto intensamente un bisogno ed un sentimento di profonda unità con voi tutti, con le tante autorità religiose, militari, e civili che oggi sono qui.

Lasciatemi esprimere l’augurio di buon lavoro ai 13 sindaci appena eletti, ai sindaci di Montesarchio, Morcone, Arpaise, S. Leucio, Frasso Telesino, Vitulano, Castel Pagano, San Lupo, Ceppaloni, Puglianello, S.Salvatore Telesino, Bucciano e Pontelandolfo; a loro voglio rivolgere un ringraziamento speciale per aver voluto mettere le proprie forze e le loro intelligenze al servizio delle proprie comunità in questo momento durissimo e davvero difficile che richiede all’impegno politico ed amministrativo inediti livelli di lavoro e di rigore.

Il 2 Giugno dovrebbe essere una grande giornata di festa nazionale, ma credo che in nessuno di noi possano oggi prevalere la gioia e la spensieratezza che sempre accompagnano e caratterizzano le feste, anche quelle che trovano motivazione in grandi valori e straordinari ideali.

Il nostro Sannio, come ed anzi ancor più dell’intera Campania e dell’intera Italia, è nel pieno di una recessione profonda e cupa, che sta distruggendo lavoro ed imprese. E’ una crisi che sta colpendo con inaudita durezza e che da cinque anni imperversa con trend tali che ben saluteremmo un suo esaurirsi, come speriamo, nei tempi biblici dei sette anni di vacche magre; purtroppo, senza scomodare economisti come Keines, noi non abbiamo avuto, come nella Genesi, un Giuseppe capace di guidare il Faraone.

E sono i sindaci, i rappresentanti delle istituzioni territoriali, religiose, civili, militari, quelli che stanno qui che quotidianamente e direttamente incontrano quelle “ansie”, quelle “aspettative di persone, famiglie ed imprese in grave difficoltà” che il Presidente della Repubblica, proprio in questa occasione, ha così autorevolmente posto alla nostra attenzione.

E’ allora con questo scenario nel cuore e nella testa che dobbiamo guardare a quel 2 Giugno del 1946 in cui nasceva l’Italia democratica e repubblicana. Dobbiamo vivere questa giornata ritrovando la forza e la convinzione di un popolo che in un’Italia devastata da una guerra mondiale e dalla dittatura fascista seppe non solo trovare la strada della libertà e della democrazia, ma anche quella del proprio riscatto morale e politico, di uno sviluppo e di una crescita che ci portarono a essere uno dei paesi più progrediti del mondo.

Dobbiamo innanzitutto dirci che se ce la fecero i nostri padri partendo da un paese immerso in un cumulo di lutti e di macerie economiche e sociali, in una situazione ben più grave e drammatica di quella, pur difficile, che stiamo vivendo oggi, allora ce la possiamo e ce la dobbiamo fare anche noi. E ce la faremo se sapremo ritrovare anche i valori e i principi fondamentali che divennero pilastri della nostra repubblica, che furono scritti nella nostra costituzione e da cui troppo spesso ci siamo, con superficiale leggerezza, allontanati.

A partire da quell’insegnamento, tanto importante e prioritario da essere “scolpito” nel primo articolo della costituzione: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. E allora se il lavoro manca, se il lavoro viene svalutato ed offeso, duramente colpito e distrutto senza essere ricostruito, allora noi stiamo colpendo e picconando le fondamenta stesse della nostra Repubblica.

Un esercito di disoccupati sta crescendo a dismisura sotto i nostri occhi; e come non pensare ai nostri giovani che a percentuali ormai allarmanti non trovano lavoro, con intere generazioni che non lo hanno conosciuto o che lo hanno conosciuto in forme di insopportabile precariato senza sbocchi e che già corrono il rischio di essere definitivamente espulsi dal cosiddetto “mercato del lavoro”.

Siamo non solo di fronte ad una enorme ed intollerabile ingiustizia sociale, al tormento esistenziale di tanti italiani, all’ansia ed alla preoccupazione primaria di tante famiglie, ma corriamo il serio rischio di compromettere la coesione sociale ed il futuro stesso del nostro paese.

Raccogliamo con urgenza il monito che ci viene dalla nostra Costituzione, e, in queste ore, dal Presidente Napolitano: Mettere il Lavoro al primo posto! Tutto il paese, tutte le istituzioni, tutti noi, qualunque sia la posizione in cui ci troviamo ad operare dobbiamo, con ogni mezzo contrastare la distruzione di lavoro buono e soprattutto favorire e cercare lo sviluppo di nuovo e buon lavoro.

In questi giorni si è alzata alta e forte la documentata denuncia del Presidente della Corte dei Conti, dott. Giampaolino, su quanto sia stata devastante una politica economica fondata su una linea di severa austerità senza sviluppo, una politica che la corte ha additato senza mezzi termini come “una rilevante concausa dell’avvitamento verso la recessione”.

D’altra parte, lo stesso Fondo Monetario Internazionale, in uno studio di inizio anno, ha avvertito che : “la politica di austerità imposta dai creditori internazionali provoca disoccupazione e contrazione dell’economia, …, non solo è inefficace: è dannosa”.

Noi abbiamo sperimentato nei nostri comuni, nella nostra provincia, cosa significa una politica di taglio lineare ed indiscriminato di bilanci, di servizi, persino di riduzione della presenza dello stato sul territorio; non chiediamo, sia chiaro, di rinunciare alla lotta ai pozzi neri delle spese e delle inefficienze né ad una seria “spending review”; ma, questo non può essere accompagnato dalla paralisi degli investimenti in opere ed imprese, dall’impossibilità di far partire anche il più semplice ed indispensabile progetto, o addirittura dal blocco di progetti in corso e di pagamenti alle imprese per lavori già fatti.

Per dirla con Barack Obama, una politica di “recovery” che non sia contemporaneamente accompagnata da una politica e da un concreto programma di “reinvestment”, è un errore drammatico. Lasciatemi dire, ad esempio, che io trovo aberrante che al 31/12/2012, su 50 miliardi di euro messi a disposizione delle regioni meridionali dalla Unione Europea per la programmazione 2007/2013, ben 31,2 miliardi non solo non sono stati ancora spesi, ma nemmeno impegnati. Quanto buon lavoro, quante opere, quante imprese, quanta economia avremmo potuto e dovuto attivare.

Lasciatemi anche dire che di quello che si è impegnato e speso, solo un po’ di briciole sono arrivate nelle aree interne della Campania; eppure l’intervento europeo è innanzitutto rivolto alle aree in ritardo di sviluppo come la nostra; eppure basterebbe poco più di uno solo di quei 31,2 miliardi non spesi per innescare un serio e stabile processo di sviluppo del nostro Sannio.

Eccola l’Italia che dobbiamo cambiare, quella che sulla base delle richieste europee è pronta all’austerità ma che è contemporaneamente incapace di utilizzare le occasioni di investimento e produzione di lavoro che la stessa Europa ci offre.

Questo 2 Giugno del 2013, si apre anche con la speranza di ritrovare un po’ di quella forza e di quello spirito dell’Assemblea Costituente del 1946, quella di Enrico De Nicola, Alcide De Gasperi ed Umberto Terracini, e che possa aprirsi una stagione di seria riflessione e di riforme istituzionali e costituzionali; l’augurio è che governo e parlamento ci riescano.

Paolo Ricci, prestigioso docente della Facoltà di Economia della nostra Università del Sannio, in un breve ma intenso saggio dall’eloquente titolo di “Riformite”, ci ha recentemente messo in guardia da cambiamenti istituzionali e costituzionali dettati da retorica e spinte demagogiche, da subalternità alle contingenze di un mercato senza regole, dal primato dell’economia invece di quello della persona e del bene comune, da improvvisazioni avventate ed infondate; abbiamo bisogno di un moderno e serio Riformismo che cominci col debellare la patologica “Riformite”, una malattia che in questi anni è stata dilagante e che può produrre non positivi cambiamenti ma solo aggiramenti e manomissioni della nostra costituzione.

Quest’anno sono qui non più come Presidente ma quale Commissario straordinario della nostra Provincia; sono io stesso il prodotto esemplare di una “Riformite” che ieri ci ha messo in condizioni di non sapere cosa saranno le province, quali saranno, da chi saranno governate e come se ne faranno le elezioni; ed oggi, per completare il quadro, non sappiamo più se le Province stesse ci saranno.

Non c’è alcun dubbio che abbiamo bisogno di riorganizzare le nostre istituzioni, a partire da quelle nazionali; non c’è dubbio che non è possibile servire e salvaguardare le nostre comunità con istituzioni regionali alle quali sei anni non bastano per riuscire ad usare le risorse europee disponibili, e che invece di garantire quelle funzioni di coordinamento, programmazione e controllo a cui sono chiamate, affondano in una elefantiaca e paralizzante attività di gestione.

Ma tutte le Riforme, da quella della legge elettorale a quelle di un nuovo assetto dell’architettura istituzionale dello Stato, debbono partire non da bookmakers elettorali, ragionieri e operatori di mercato, o società internazionali di rating, ma dalle funzioni e dagli obiettivi che debbono garantire la nostra democrazia, il progresso ed il bene della nostra comunità nazionale.

E’ con questo spirito, con la certezza dei valori che ci ispirano e ci uniscono nella nostra comune Repubblica, con la consapevolezza delle dure sfide che abbiamo di fronte ma con la fiducia assoluta ed incondizionata nel popolo italiano e nei suoi giovani che diciamo

VIVA il 2 Giugno, VIVA la Repubblica, VIVA l’Italia, VIVA il Sannio”.

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