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CULTURA

Vittorio Marsiglia, dagli esordi beneventani a Corrado. I ricordi del re della ‘macchietta’: ‘Quei bagni al fiume non li scorderò mai’

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Musica, teatro, cinema, televisione. “Ho fatto tutto. Tutto quello che era possibile fare. Anche un film in Ungheria, con Franco Nero. Parlando in ungherese con l’interprete al mio fianco che mi scriveva su un fogliettino la giusta pronuncia delle parole”.  Ha fatto tutto, è vero. Ma la cosa straordinaria è che ha fatto tutto bene. Fino a meritarsi un riconoscimento unanime: “E’ il vero erede di Nino Taranto”. Un titolo di successione che Vittorio Marsiglia rivendica con orgoglio. E come dargli torto? Dalla Benevento disastrata dai bombardamenti e dall’alluvione è arrivato a lavorare con Nino Manfredi, Nanni Loy, Luciano De Crescenzo, Renzo Arbore, Gigi Reder, Marisa Laurito. Senza dimenticare Corrado, ma quella è tutta un’altra storia: di condivisione e di amicizia. Un capitolo a parte nel libro personale di Vittorio Marsiglia. E noi la lettura la cominciamo dalle prime pagine, da Benevento, dove tutto ebbe inizio: “Hula Hula il primo complesso, diretto dal maestro Raffaele Russo. Facevamo musica da ballo, musica alla moda. Suonavamo quello che si sentiva in giro”.

Dove vi esibivate?

“A quei tempi? Le uniche occasioni erano le cerimonie – matrimoni, battesimi, comunioni – e le feste di piazza. Tutto qua. A Benevento non c’erano locali, quelli sono arrivati un bel po’ dopo. Ma ci divertivamo. Io ho iniziato con musicisti bravissimi: Alfonso Guadagni, Luigi Gramazio che suonava il sax, Silvio Sorgente – altro sassofonista, Dante Rosiello, sax e batteria. Noi lo facevamo quasi per hobby ma in realtà tutti potevano farlo di professione perché il talento era evidente. Le occasioni però mancavano. In un’altra città, i miei compagni di viaggio di allora avrebbero vissuto di questo, della loro capacità artistica e musicale”.

Il ricordo di quella Benevento?

“Ho vissuto una giovinezza meravigliosa. Poi negli Anni Sessanta ci fu il boom economico del Paese, periodo fantastico. Se penso a Benevento mi vengono in mente i bagni e i giochi al fiume, anzi ai fiumi: che bellezza. Un anno, però, uno dei fiumi fu decisamente cattivo: ci fu l’alluvione, ero un ragazzino. Conservo ancora nella memoria le immagini catastrofiche di quella tragedia. L’acqua che supera i ponti… impressionante”.

Torniamo agli inizi del suo percorso artistico

“Gli Albatros, i Gufi Verdi e poi i Sanniti. Un nome, quest’ultimo, figlio del suggerimento di Aurelio Fierro, che faceva il discografico con la ‘King Universal’: “Tu sei il capo-orchestra e come omaggio chiamiamo il gruppo ‘I Sanniti’  ” – mi disse, e lo chiamammo così”.

Eravamo ancora nella fase del divertimento e basta o era già chiaro, per lei, che quello sarebbe stato il suo percorso?

“Avevo già deciso cosa sarei diventato. E infatti mi trasferii a Napoli, Città con locali, night, occasioni. Tante serate ma parliamo soltanto degli inizi. Poi ho fatto altro”.

Musica, teatro, cinema, televisione…

“Tutto il possibile che si poteva fare. Mi sono divertito”.

La soddisfazione più grande?

“Il giudizio di tanti grandi artisti che hanno sostenuto fossi io – dopo il grande Nino Taranto – il più capace a gestire la comicità musicale. La famosa “macchietta”, la canzone come forma di comicità, di cui sono poi diventato un capo-scuola”.

Come ci è riuscito?

“Personalizzando le cose che fanno tutti. Ho sempre sostenuto che la macchietta non si canta e non si recita: la macchietta si fa. Se canti un testo comico o leggi una poesia ironica fai ridere ma soltanto se ‘schizzi’ il personaggio e lo esasperi diventa una macchietta. Io questo ho fatto e ho avuto tante soddisfazioni”.

In qualche intervista, però, il merito del suo successo lo ha attribuito anche ai brufoli

“Eheh, sì è vero. Da ragazzo avevo una acne incredibile. E quindi mi nascondevo, arricciavo continuamente la fronte per non far vedere i brufoli. Al mare, ricordo ancora a Castellammare, c’era questo ragazzo con i brufoli che però suonava la chitarra e aveva successo. E allora imparai a suonare la chitarra anche io: per superare la timidezza”.

Beh, è andata bene

“Eh, ma mentre io suonavo la chitarra erano gli altri a ‘limonare’”

Sessant’anni di carriera e il merito – perché di merito si tratta e non di fortuna – di lavorare con tanti mostri sacri dello spettacolo e del cinema italiano

“Assolutamente, pensi che ho fatto addirittura televisione con Adolfo Celi, ho girato con Anthony Quinn, Manfredi, Giuffrè, Mimmo Caratenuto, De Crescenzo. Fino ad arrivare al Pierino di Alvaro Vitali”.

E poi la lunga parentesi con Corrado

“Ma Corrado per me non era un collega. Era un fratello. Negli ultimi venti anni della sua vita sono stato l’amico fedele, sincero. Eravamo sempre insieme sul lavoro e fuori dal lavoro”.

Un consiglio per i giovani che vogliono avvicinarsi al suo mondo?

“Oggi è più difficile. Le nuove generazioni sono più preparate,  hanno avuto davanti molti maestri e possono contare sui loro insegnamenti. Come bravura – sono sempre sincero nelle mie interviste – sono a un livello altissimo. Devono però personalizzare quello che hanno imparato. E poi serve fortuna. Sa cosa diceva Domenico Modugno?”

Lascio a lei

“Disse che alla base del successo ci sono tre cose: fortuna, fortuna, fortuna. Che vuol dire l’incontro giusto, la situazione favorevole. E poi essere combattivi, cosa che io non sono mai stato”.

Perché?

“Mi scocciavo. Molti lottavano per avere i ruoli, facevano determinate amicizie. Io me ne sono sempre fottuto, nel senso buono della parola eh. E’ questione di carattere: l’arrivismo non è per me, non mi appartiene.  Io stavo a casa e se mi chiamavano, bene. Forse è stato questo il mio non buonsenso: è che essendo pigro non mi andava di ‘lottare’. E quante occasioni ho perso. Una volta dissi di no a una compagnia che mi proponeva di far su e giù per l’Italia per un anno intero: ma siete pazzi, gli risposi, tre mesi pure si potrebbe fare…  ma un anno! Chissà, con un carattere diverso forse sarei diventato un big. Ma va bene così”.

E oggi?

“Quest’anno ho preso una decisione importante: mi riposo. Sono artisticamente in pensione”.

Un ultimo spettacolo a Benevento?

“L’ho fatto. Qualche anno fa, al San Marco. Una serata indimenticabile, con tanti miei amici in sala con i propri figli. Che bello! D’altronde il legame con Benevento non si è mai spezzato e mai si spezzerà: ci vivono sempre mia sorella, i miei pronipoti, i miei cugini. E’ una Città che sarà sempre nel mio cuore”:

 

 

 

 

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