CRONACA
Caso Emanuela Orlandi. Il fratello Pietro: ‘La banda della Magliana ha avuto solo un ruolo di manovalanza’
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“Emanuela è stata messa sulla bilancia di interessi politici ed economici. Molto probabilmente, la vicenda può riguardare tutti i soldi della mafia che sono andati a finire nelle casse del Banco Ambrosiano dei Calvi e di lì andare a Solidarnosc in Polonia. La banda della Magliana ha avuto solo un ruolo di manovalanza nella vicenda”. E’ quanto afferma Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, la quindicenne scomparsa a Roma in circostanze misteriose il 22 giugno 1983.
Ospite a Palazzo Mosti per la presentazione del libro “Mia sorella Emanuela”, scritto con il giornalista del “Corriere della Sera” Fabrizio Peronaci, Pietro Orlandi aggiunge nuovi particolari agli ultimi sviluppi dell’indagine che ha portato la Procura di Roma ad indagare mons. Pietro Vergani, ex rettore della Basilica di Sant’Apollinare, con l’accusa di concorso nel sequestro della giovane.
“Don Vergani – dice Pietro Orlandi – è l’unico testimone rimasto in vita. Ho detto spesso che bisognava indagare nel legame tra Stato, Chiesa e criminalità che girava intorno alla sepolutura di De Pedis”. "La direttrice della scuola di musica di Emanuela – continua – evitava di portare gli alunni in quella chiesa e li conduceva altrove, evitando che entrassero in contatto con don Vergani. Evidentemente, sapeva che c’era qualcosa che non andava all’interno di quella Basilica”.
“Indagare don Vergani per concorso nel sequestro – sottolinea il fratello della giovane scomparsa – è un primo passo, ma non significa aver capito cosa è accaduto. Emanuela potrebbe essere stata portata all’interno della Basilica e magari da lì, in un altro posto. Questo, purtroppo, non lo sappiamo. E’ un lavoro – conclude Orlandi – che fa la magistratura, ma che può fare anche il Vaticano, perché soltanto il Vaticano può capire dall’interno i rapporti che c’erano tra Vergani, il cardinal Poletti, allora presidente della Cei, De Pedis e la malavita”.