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CULTURA

Il mondo magico e discreto, visionario e crepuscolare di Antonio Maiella

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Timido, orgoglioso e schivo. Un orso con i familiari. Così si definisce Antonio Maiella, giornalista, autore teatrale, sindacalista, nato a Genova nel 1979. Un legame con la città di De Andrè durato pochissimo: dopo due mesi di vita Antonio era già un piccolo sannita. Proprio nella terra del Premio Strega e di Città Spettacolo, Maiella a soli tre anni già si cimentava nelle prove generali di creatività, che lo avrebbero portato a 30 anni ad essere uno dei giornalisti e dei giovani autori teatrali più apprezzati, non solo nei confini della bella dormiente, ma anche nella città eterna. “L’intellettuale bonsai”, come ama definirlo Gabriella Di Luzio, sua carissima amica e coautrice della piece “Attimi”, che ha segnato il debutto di Antonio come autore al teatro Petrolini di Roma, vanta nel suo ricco curriculum collaborazioni prestigiose con Puccio Corona, con Gianni Musy, che ha curato la messa in scena di “Attimi”, ed, ultima in ordine di tempo, con il maestro Ugo Gregoretti.
Da pochi giorni è calato il sipario sulla IV edizione del Landolfo d’Oro. Insieme a Puccio Corona, Antonio Maiella è stato autore e curatore dell’evento svoltosi a il 3 Agosto a Pontelandolfo. La regia affidata al grande maestro Ugo Gregoretti. Un successo ed un picco di presenze per certi versi inaspettati. Più di 700 persone in una sera di mezza estate hanno reso magico e decretato il successo dell’edizione 2011 del Premio Gregoretti – Landolfo d’Oro.

Ti aspettavi tutto questo successo?
“No, non mi aspettavo tutto questo entusiasmo da parte del pubblico e dei pontelandolfesi. E’ andata bene, molto bene. Anche il maestro Gregoretti era soddisfatto. E’ stato un lavoro faticoso, ma di cui siamo fieri. Devo ricordare che è stato anche grazie all’impegno di Chiara De Michele, Antonio Lese, Nicola Diglio, Nicola Perugini, ideatori dell’evento, se siamo riusciti nell’intento di rendere unica questa edizione del premio. Possiamo considerarlo inoltre come il numero zero di un progetto più ampio, che punta a fare di Pontelandolfo il salotto bene della cultura nel Sannio. Un progetto ambizioso, ma le potenzialità ci sono tutte”.

Per il Premio Gregoretti tu sei stato autore e curatore insieme a Puccio Corona. Una collaborazione ormai consolidata.
“Sono sei anni che collaboro con Puccio. Lui è un maestro vero. Mi ha insegnato l’umiltà e che le cose si studiano, si preparano, non si improvvisano. Diciamo che è una sorta di ossessione per la precisione. Fantastico. Nulla lasciato al caso. Per il Premio Gregoretti abbiamo scritto un vero e proprio format che inglobasse tutto, dalle luci alle entrate, alla divisione dei singoli compiti, è stato un work in progress interessante e un motivo di crescita anche per gli altri, che da neofiti sono stati coinvolti in quest’avventura”.

Oltre che con Puccio Corona, hai già avuto la fortuna di lavorare con grandi maestri, ricordiamo Gianni Musy e Ugo Gregoretti. Ci racconti la prima volta che li hai incontrati come è andata?
“Per l’ingresso nel mondo del teatro devo tutto a Gabriella Di Luzio. E’ stata lei che mi ha dato una grandissima opportunità. Io l’ho proprio ‘stonata’. Le dicevo ‘dai Gabry, leggi questo scritto, guarda questa cosa’. Lei mi ha preso a cuore con tanto affetto e ha fatto leggere al maestro Musy un pezzo che avevo scritto”.

Quando è avvenuto l’incontro con Gianny Musy, una voce indimenticabile per il grande pubblico, doppiatore di Gandalf nel film “il Signore degli Anelli”? Ti sei sentito un po’ come Frodo?
“E’ stato un incontro unico, una grande emozione. Essendo io timido e schivo, trovarmi di fronte ad un personaggio così forte, con quella voce poi, lui è un doppiatore eccezionale, che ti guarda e ti dice ‘bravo’ e ti incita ad andare avanti e ti propone di collaborare anche con lui…Io non ho detto nulla, sono rimasto zitto, qualsiasi parola mi sembrava inutile. L’autorevolezza di quest’uomo, ti schiacciava. Quando mi teneva le mani e mi diceva ‘bravo Antonio’ con quella voce da mago Gandalf, io, si, mi sentivo come Frodo, piccolo, piccolo e ripetevo sempre ‘grazie, grazie’. Allora lui: ‘Va beh…, scrivi che è meglio”.

Invece con il maestro Gregoretti?
“Con Gregoretti è stato un piacevolissimo incontro. E’ una persona che ha sempre avuto una grandissima ironia, e questo penso che sia stata e sarà sempre la sua grande forza. Una persona che parla poco, ma quando parla ti incanta, rende magica ogni cosa”.

Se dovessi descrivere ognuno di loro?
“Puccio Corona è il classico gentiluomo del sud che ama la sua terra, Catania. Gabriella sicuramente è il sole che al mattino fa brillare il mare. Musy con la sua voce dà l’impressione del mare in tempesta, è maestoso, è corposo. Gregoretti, restando sempre sul tema del mare, visto che mi sento un po’ un naufrago io, è il mare calmo della sera. Ti rassicura, ti coccola con il suo sguardo”.

Trentanni ma un nome già custodito a futura memoria. Nell’Antologia degli Artisti, edita dal Movimento Salvemini, si può trovare anche il nome di Antonio Maiella.
“Si. Cosmo (Salvemini ndr), un grande amico anche di Gabriella Di Luzio, venne a teatro e anche a lui piacque “Attimi”. Del resto in quest’opera c’è la grande mano di Gabriella, che già aveva collaborato con Musy e Tornatore. Lei è un’artista eccezionale. Io ho dato un contributo minimo. Infatti mi sentivo minimo”. Commenta con la sua contagiosa risata.

Che sensazione provi quando leggi il tuo nome sull’Antologia?
“Guarda una copia me l’hanno consegnata proprio ieri. Me l’ha portata Gabriella. Io ho sempre un po’ di caos nella testa, sono un disordinato atomico….Comunque è un qualcosa di intrigante, ti stimola ad andare oltre, a lavorare tantissimo e con la precisione che Puccio mi ha insegnato in questi anni. Però temi anche che un giorno tutto si possa dissolvere. Provi così un po’ ad estraniarti da queste cose”. Un attimo di pausa, i piedi sempre ben saldi in terra. “Scrivere è un po’ come una droga, una malattia. Quando vedi che il pubblico applaude è un’overdose di emozioni. Rischi di restarci sotto se la prossima opera non andrà bene o se non avrai la prossima opera. E quindi evito molto spesso anche le interviste, la televisione e tante altre cose che possano darti visibilità. Perchè tutto nasce, cresce e poi muore, anche il mio nome…”

Quando hai scoperto che la scrittura sarebbe stata la tua passione?
“Io ho sempre scritto da quando ero bimbo. Essendo timido, e ne vado orgoglioso di essere timido. Sono uno dei pochi che sa di essere timido, ma non gli importa niente! Così tutto quello che volevo dire, ma che per timidezza non riuscivo, lo appuntavo su un quaderno, dove prendevo nota di tutte le cose che facevo”

Dove trovi l’ispirazione per scrivere?
Ma io ho un modo strano di scrivere. Lo faccio solo sotto una forte spinta emozionale, di istinto e rabbia. Vedi c’è chi ha il demone della creatività che ti mangia e invece chi ha il soffio divino, che quando scrivi ti fa stare bene, ti riempie la vita. Io non so cosa ho. Però so che quando scrivo anche una pagina o due soffro, mi sento stanco. Un amico pratico di queste cose mi disse che ho una scrittura visionaria, e questo mi comporta una stress più ampio. Poi scrivo poco. C’è gente che riesce a scrivere fiumi di parole. Io no. Per me una pagina al giorno è bestiale. Ma alla fine è veramente piena. Un mio rigo è un mondo. Che sia bello o brutto non lo so, ma è talmente pieno di me stesso, che mi devasta…Inoltre non so perchè mai i miei personaggi muoiono sempre. Non riesco a scrivere di cose comiche. Anzi quando leggo cose comiche le trovo stupide, banali, mi sento triste e mi dico… ‘Azz, allora veramente sono proprio triste, crepuscolare”

Chi è stata la prima figura importante per il tuo percorso professionale?
“C’è stato un grandissimo incontro nella mia vita, quello con Carlo Panella al Quaderno. E’ stato il primo undici anni fa a credere che magari avevo anche io qualcosa di buono da raccontare. Non so se ho un dono oppure no, ma una cosa è certa, lui mi ha dato la tecnica, il rigore, la professionalità. Se io oggi sono arrivato fin qui come scrittore e tu mi intervisti, è perchè Carlo si è accollato questo guaio! Io all’inizio ero un mulo! Almeno rispetto a tutti gli altri colleghi con cui ho fatto i due anni di pratica. Ad esempio Francesco Cocco, che oggi fa scoop su Repubblica, era nato imparato, lui aveva il ‘dono’. Antonio Orafo aveva già all’epoca una grande tecnica. Loro con gli insegnamenti di Carlo Panella avevano una crescita costante, io no. Io mi ‘apparavo’ sempre. Quindi con me Carlo ha lavorato il doppio, il triplo anzi. Ad un certo punto, non so perchè, mi è partita la mano. E Carlo mi disse: ‘ora sei pronto’.
Un’altro incontro importante è stato con Enzo Spiezia a Il Sannio Quotidiano. Da lui ho imparato il rispetto per l’informazione e la devozione alla cronaca vera, quella nera. Mi ha insegnato che questo lavoro è un sacrificio enorme, che va fatto con passione e un pizzico di distacco da quello che ti accade attorno, perchè quando scrivi di incidenti, morti, in una città piccola dove ci conosciamo tutti, e quando vai sul luogo dell’incidente e vedi un tuo coetaneo a brandelli, ci vuole uno stomaco, anzi, pelo sullo stomaco, ed Enzo ha tanto pelo ed è un grande. Discretissimo e persona seria”.

Progetti futuri che vorresti realizzare come autore teatrale?
“Ad ottobre con Di Luzio vorremmo andare a teatro un’altra volta. Ne abbiamo iniziato a parlare nel backstage del premio. Forse vorremmo fare qualcosa di Pirandello. Il regista diciamo è ancora ignoto, ma chi accetterà sarà di sicuro veramente forte. Non mi voglio sbilanciare, ma se accadrà, sarà qualcosa di veramente forte, e allora si…chissà”

Antonio Maiella oltre ad essere autore e giornalista, è anche un sindacalista. E’ lui a curare la comunicazione per la UIL di Benevento. Autore, giornalista e sindacalista, chi rispecchia di più il vero Antonio?
“Non lo so nemmeno io. A volte chiamano a casa e chiedono se c’è Antonio. ‘Antonio chi?’, rispondo, Quello che scrive a Roma, quello che fa l’addetto stampa oppure il sindacalista. Un’altra passione insana, quella per il sindacato, perchè ti porta via tempo e ti carica di problemi altrui. Una malattia anche questa. Questo virus me lo ha passato Fioravante Bosco (segretario generale Uil Benevento, ndr), che svolge questo mestiere con una dedizione unica, una passione mai vista. Lui non ha pause. Lui è il sindacalista per eccellenza. Se ora chiami, lui è lì, al sindacato. Mi ha insegnato ad amare quello che si fa, ma ad amarlo tanto, perchè altrimenti non lo fai”.

Tre mestieri con alla base un comune denominatore, la passione?
Si, e la voglia di scrivere. Ma poi sai quando leggi le schede tecniche di Gregoretti, di Musy, di Gabriella trovi sempre che fanno migliaia di cose: regista, giornalista, autore, drammaturgo. Quindi anche io mi sono dato questo tono da giornalista, autore, sindacalista…Gabriella una volta disse ‘tu sei un intelletuale bonsai’.

Vale a dire?
“Che ero piccolo, piccolo, ma qualche cosa c’era. Detto da lei è fantastico”.

Mai pensato invece di intraprendere la strada della politica?
“No, no, non fa per me. Delego volentieri l’amico Marcellino (ndr Marcello Aversano, Assessore all’Urbanistica del Comune di Benevento). Lui è bravo e attento. E’ un grande, anche se mi chiama “don Fumino”, per via del mio carattere”.

L’amico di sempre, Marcello Aversano. E molto più. “E’ il fratello che tutti vorrebbero avere”, commenta Antonio con quel sorriso sincero che non lo ha mai abbandonato per tutta l’intervista. Un’ aria scanzonata, un po’ sognante, uno scrittore diviso tra il naif e il crepuscolare. Ma allo stesso tempo un linguaggio diretto nel parlare, schietto, senza orpelli inutili o manierismo. Caratteristiche che lo rendono terreno e intriso di umanità. Oltre al brillante autore teatrale, scopriamo così l’Antonio degli affetti. Conosciamo il “Magico Maiella”, come viene definito dai suoi amici su una pagina Facebook a lui dedicata. Quando gli chiedo il perchè di questa definizione, scoppia a ridere. Ci pensa su. “E’ stata Tina Coscia, una brava psicologa di Roma. Ha sempre sostenuto che io finga di fare il timido, ma in realtà abbia un ego che va ogni oltre muro. E quindi ha iniziato a sfottermi per quest’aria da ‘magico’. Mi dice sempre che tutto quello che faccio io, fosse anche una stupidaggine, penso di renderlo magico”. Si ferma e sorride. E il pensiero di Antonio va subito alle persone che sono parte della sua vita. “Come Marcellino, anche Vanina Santini, giovane e brillante medico, è un’amica carissima”, tiene a precisare. “Poi c’è Alessandro Fallarino e…”

Visto il carattere aperto, che nega quella timidezza annunciata, che solo a tratti esce fuori, e la conferma della sua amica psicologa, inizio a preoccuparmi per la possibile lunghezza della lista. Lo fisso. Recepisce il messaggio. “Va bene, non li citiamo tutti, ma ad ognuno di loro va il mio pensiero. Però non pensare che siano tanti, sono molto selettivo sulle amicizie”.

Ma Antonio è anche il figlio e il fratello, “attaccato alla famiglia come un siculo degli anni ’30”. La protegge non parlandone quasi mai. Uno strappo alla regola me lo concede. “Ho una sorella Roberta, che amo tantissimo. Non lo dico mai apertamente, tendo a scindere la vita pubblica da quella privata. E’ il mio modo di difenderli”.

Il giovane Antonio Maiella continua il suo cammino, lastricato di fatica e soddisfazioni, fatto di inchiostro e pagine bianche da riempire. Intriso di umiltà, perchè, come ripeteva sempre il suo maestro Puccio Corona: “Si può essere grandi solo restando umili”. Abbiamo conosciuto un po’ della sua storia e da dove tutto sia partito per iniziare la scalata di questa montagna e arrivare un giorno sulla cima, dove posano lo sguardo verso l’orizzonte i grandi autori teatrali.
Una frase di Marquez affiora nella mia mente.
Ho imparato così tanto da voi, Uomini…Ho imparato che ognuno vuole vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel come questa montagna è stata scalata”.

Erika Farese

 

 

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