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CULTURA

Il contributo delle donne nella formazione dell’Italia moderna

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Presentato e moderato da Danila De Lucia, giornalista e responsabile della Casa Editrice Edimedia, si è svolto il Seminario di studi sul tema: “Tra eroine ed antieroine, immagini e ruoli di genere nel Risorgimento", promosso, presso l’Auditorium “Gianni Vergineo” del Museo del Sannio nell’ambito delle celebrazioni dei 150 anni della Provincia di Benevento, dalla Società Italiana delle Storiche.
Proprio il presidente della Provincia, Aniello Cimitile, ha introdotto i lavori, dedicando l’intervento l’apporto delle donne al movimento risorgimentale unitario e alla “riconquista” della “patria” o meglio della Provincia sannita, antica capitale longobarda.

Partendo da Eleonora Pimentel Fonseca, Cimitile ha ricordato il ruolo delle donne della formazione dell’Italia moderna e dello stesso Sannio. Il presidente ha ricordato la "staffetta" garibaldina Maria Pacifico, prima moglie di Salvatore Rampone, liberatore di Benevento da 800 anni di potere papale, ed il ruolo delle sorelle Palmieri che cucirono la bandiera tricolore che sventolò sulla Rocca dei Rettori sostituendo quella pontificia.
Ha preso quindi la parola proprio una discendente delle Palmieri, l’assessore provinciale Annachiara Palmieri, la quale ha ricordato che l’iniziativa del Seminario fu sollecitata dalla Commissione delle Pari opportunità.

Dopo un intermezzo musicale con il tenore Davide Luciano e il mezzo soprano Angela Giovio, anche voce recitante, accompagnati dal pianista Federico De Lauro, formati nel Conservatorio Musicale "Nicola Sala" di Benevento, la prima relazione è stata quella della docente dell’Università del Sannio Rossella Del Prete. A suo giudizio, il dibattito sui diritti delle donne ha radici lontane e i suoi testi fondativi possono essere considerati quelli di Olympe de Gouches, Déclaration des Droit de la Citoyenne, 1791, e di Mary Wollstonecraft, Vindication of the rights of woman, 1792, senza dimenticare l’operato di Eleonora Pimentel Fonseca (1752-1799). Nel Risorgimento italiano la discussione sui diritti delle donne, sulla loro educazione ed emancipazione assunse, secondo la Del Prete, un carattere assai provinciale. Gioberti, Rosmini, Filangieri e molti altri illustri pensatori dell’Ottocento italiano, espressero i loro giudizi sul tema, limitandosi a ribadire il ruolo di inferiorità e soggezione della donna. Il Codice di Famiglia del 1865 (che sarà riformato soltanto nel 1975) vietava, ha ricordato la docente, alle donne il diritto di esercitare la tutela sui figli legittimi ed impediva loro l’ammissione ai pubblici uffici. Le donne furono a lungo sottoposte all’autorizzazione maritale, senza la quale non potevano disporre liberamente neanche della propria dote e soprattutto non potevano stare in giudizio, né testimoniare in pubblico. In questo contesto, non certo incoraggiante, la paladina dei diritti delle donne nel Risorgimento italiano fu, ha detto la Del Prete, la fondatrice della Lega promotrice degli interessi femminili, Anna Maria Mozzoni. Nata nel 1879, la Lega si batté con energia non solo per il diritto di voto, ma anche per salvaguardare quella che secondo la Mozzoni erano una serie di questioni sociali che coinvolgevano più o meno direttamente le donne: il lavoro e le disparità salariali e di trattamento in genere, la tutela della maternità, l’istruzione ed il successivo riconoscimento dei titoli di studio e delle competenze professionali.

Con il Risorgimento venne anche il diritto all’istruzione ed alle professioni. Nel 1871, ha ricordato la Del Prete, il Consiglio provinciale di Benevento discusse, per la prima volta, la proposta di impiantare una scuola magistrale femminile in città. Nacque così la Scuola Normale «G. Guacci» che, insieme al liceo cittadino, al convitto domenicano di Cercemaggiore, al Seminario di Sant’Agata de’ Goti e alle nascenti scuole tecniche comunali caratterizzò l’istruzione scolastica superiore della Provincia di Benevento. Ma la strada dell’emancipazione era ancora lunga, ha ricordato la Del Prete: soltanto nel 1874 fu consentito l’accesso delle donne ai licei e alle università italiane e la possibilità di vedersi riconoscere i titoli di studio conseguiti venne molto più tardi.
La storia delle donne ha un grande limite – ha sottolineato la Del Prete: essa, infatti,è costretta a misurarsi con il cosiddetto «effetto maschera» della documentazione. Spesso le fonti, ha spiegato al Del Prete, offrono una base informativa distorta perché influenzate dalla posizione che via via è stata assegnata loro nei processi produttivi e nella vita civile dalle culture dominanti. Eppure in certe aree, entro certi rapporti di produzione, in determinate epoche storiche, il contributo delle donne alle giuste cause civili e al lavoro extra-domestico ha richiesto loro un tempo ed una dedizione di gran lunga superiore a quello domestico e, in alcuni casi, persino superiore a quello degli uomini. Monache, nobildonne, principesse, popolane, anarchiche…eroine o antieroine?: si è dunque chiesta la docente. Secondo la Del Prete, l’identità femminile fatica ad essere associata alla costruzione di un’identità nazionale che nell’immaginario “eroico” le vuole essenzialmente madri della patria. Ciò nonostante, ha concluso la docente, il ruolo sociale, politico ed economico delle donne si è costruito nel tempo, conquistando uno spazio pubblico ormai indiscusso.

Maria Rosaria Pelizzari, docente di Storia contemporanea all’Università di Salerno, si è quindi chiesta: “Come e chi attribuisce la qualità di eroe e di antieroe? Fino a che punto questi due concetti hanno contribuito a costruire l’identità nazionale? Nel lungo periodo, dall’alba del Risorgimento all’Italia post-unitaria, fino al primo Novecento, la docente si è occupata della ricostruzione delle diverse figure femminili da Maria Sofia di Borbone alle brigantesse, non senza tuttavia confrontarle con la rappresentazione, nell’immaginario eroico, tra Nord e Sud, delle “donne virili” e delle madri della patria.

Maria Anna Noto, ricercatrice di Storia moderna all’Università di Salerno, ha ricordato che mentre i fermenti risorgimentali infiammano gli animi di alcuni audaci protagonisti della svolta unitaria nazionale, la vita quotidiana delle comunità continua a svolgersi attraverso ritmi e schemi consolidati. I destini familiari e l’educazione delle donne vengono investiti molto lentamente dalle trasformazioni culturali indotte dai repentini mutamenti politico-sociali, tendendo a lungo a conformarsi ad antichi modelli, ormai inadeguati ma difficili da sradicare. Nella Benevento ottocentesca, soggetta agli incisivi processi di rinnovamento del XIX secolo, le scelte delle famiglie benestanti in merito alla formazione delle fanciulle, ha ricordato la Noto, finiscono per orientarsi verso le tradizionali soluzioni del monastero e dell’educazione all’interno del chiostro, di cui, proprio in questo secolo, si rendono protagoniste le suore Orsoline, dedite all’istruzione delle giovinette della borghesia e all’ammaestramento dei ceti popolari nei lavori donneschi. Accanto a loro permane, ancora per poco, il plurisecolare cenobio delle religiose benedettine di S. Pietro, cui si rivolgono gli interessi dei nobili casati cittadini per la collocazione delle proprie figlie non destinate al matrimonio. Le leggi di soppressione post-unitarie . Ha quindi ricordato la Noto – condanneranno all’estinzione le congregazioni religiose ritenute improduttive e prospetteranno per Benevento – novella provincia italiana del Mezzogiorno – un’incalzante proliferazione di nuove istituzioni di suore, non vincolate alla clausura, che si dedicheranno specificamente all’educazione femminile, ampliando l’accesso all’istruzione di nuovi ceti sociali e venendo incontro alla pressante esigenza di formazione delle ragazze che numerosi e avveduti patrioti risorgimentali avevano più volte indicato come un impellente bisogno sociale per la crescita globale dei cittadini. Il tutto, ha risposto la Noto, si svolge nella parabola ottocentesca, densa di accelerazioni del tempo storico ma anche di pertinaci sacche di resistenza al cambiamento, in cui la mentalità delle popolazioni va incontro a inarrestabili trasformazioni dinanzi alle desolate considerazioni di un clero per la maggior parte reticente, che si sente attaccato e violato rispetto alle sue tradizionali prerogative e solo gradualmente si adegua e si integra nel nuovo corso degli eventi, puntando alla promozione e alla valorizzazione delle iniziative religiose nel campo dell’istruzione.

Intervenendo quindi nei lavori, Teresa Mori, Firenze, del Direttivo Sis – oltre a tirare le conclusioni, ha ricordato il tema del salotto e delle poesie civili di Giuseppina Guacci e altre poetesse italiane. Il salotto di conversazione costituisce nell’Italia del Risorgimento uno dei luoghi in cui si diffonde l’opinione e si forma il gruppo dirigente che guida il processo di unificazione. Collocato a metà tra pubblico e privato, ha detto la Mori, esso si caratterizza per la presenza femminile (la padrona di casa) e un folto pubblico formato soprattutto da giovani intellettuali, che qui trovano occasione di visibilita’ e di confronto ed appartenenza politica. nel salotto, dunque, sono presenti valori “femminili” (la politesse, l’arte della conversazione, la galanteria) ma vi si costruiscono orientamenti politici e carriere intellettuali. esso e’ anche uno spazio di definizione dell’identità di genere: quella maschile, indirizzata all’azione nel pubblico, e quella femminile, modellata su caratteristiche che rimandano al ruolo materno (disponibilità, intrattenimento, protezione).

 
 
 

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