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CULTURA

Umberto Russo e le sue zeppoline: 60 anni di sacrifici e successo. E un finale speciale: la sua arte tramandata a giovani stranieri

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Vox populi, vox Dei. Esistono brand che non necessitano del timbro di una commissione ‘ad hoc’ per acquisire valore. Ma sono casi eccezionali. Per riconoscerli devi cercare in quel cassetto segnato dalla scritta “immaginario collettivo”. E in Città in questi giorni sono in tanti a cercarlo, ad aprirlo. Perché si avvicina la festa di San Giuseppe e allora serve la zeppola. E per fortuna da queste parti la possibilità di scelta non manca: l’arte della pasticceria è da sempre di casa nel capoluogo sannita. Ma la beneventanità vuole anche altro: vuole la ‘Zeppolina di Russo’. Una storia di sacrificio e successo, quella di Umberto. Con un finale dolce perché capace di valorizzare due ingredienti che in troppi, solitamente, tendono a porre in contrapposizione, come se l’uno escludesse l’altro. E invece qui tradizione e integrazione si sposano e vissero tutti felici e contenti. Ma questo, dicevamo, è soltanto l’atto conclusivo. Ci arriveremo ma prima occorre salire sulla DeLorean e tornare al 1958. “Ero un bambino quando ho iniziato: avevo soltanto dieci anni. Andai ad imparare il mestiere alla pasticceria Bianchini, al rione Libertà. E ci sono rimasto fino al 1962”.

Poi?

“Poi passai alla D’Auria, altra pasticceria beneventana. Ci rimasi per diversi anni, fino alla partenza per il militare. Partenza accompagnata da una promessa”.

Da parte di chi?

“Del proprietario: “Umberto non ti preoccupare che ti aspetto, e quando sarà il momento di andare in pensione l’attività la lascerò a te”.

E’ andata così?

“Mentre ero via per la leva purtroppo morì. E la signora D’Auria non se la sentì, subito dopo aver perso il marito, di lasciare l’attività. Compresi la sua scelta, il mio momento sarebbe arrivato. Nel frattempo tornai a lavorare, anche una bella esperienza alle Fabbriche Riunite. Fino a quando arrivò la chiamata della signora: “Ora tocca a te”.

Che anno siamo?

“Siamo nel 1973. La Pasticceria Russo l’inauguro il primo aprile. In via Gaetano Rummo, dove poi è sempre rimasta”.

I ricordi dei primi tempi?

“Mia moglie al mio fianco, come sempre è stato nel mio percorso. E tanti dolci, molti in relazione al periodo dell’anno: pizzo panaro, raffaiuoli, panettone. E poi confetti e tanta produzione per le cerimonie. E ovviamente le zeppole di San Giuseppe, nella loro versione classica, almeno nella prima fase”.

Fino ad arrivare alle zeppoline di Russo

“Dopo un po’ iniziai a cambiare qualcosa della ricetta tradizionale, inserendo la crema nel mezzo, come fosse un panino imbottito. Una novità per Benevento: piacque da subito. Le ordinazioni crescevano. E non si esaurivano più nel periodo a cavallo della festa di San Giuseppe. E così, su richiesta dei clienti, cominciai a produrle sempre, tutto l’anno”.

Poi è diventata quella la tradizione

“Con gli anni sì. Una bella soddisfazione. Anche perché non è stato affatto semplice. Ci sono stati momenti belli e altri più complicati. Sempre al lavoro, io e mia moglie. Con tre figlie da crescere. Ma ce l’abbiamo fatta ed è stato bello vederle studiare e laurearsi. Poi hanno preso la propria strada, qualcuna è anche andata via: Bologna e Roma”.

Cinquant’anni di sacrifici

“Cinquant’anni per la Pasticceria Russo. Se contiamo anche la gavetta gli anni di lavoro diventano sessanta”.

Con le figlie laureate e gli anni trascorsi si è trovato anche lei nella condizione di non sapere a chi cedere l’attività

“A un certo punto è subentrata la stanchezza. La cessione è avvenuta nel 2018 ma erano almeno dieci anni che pensavamo di chiudere. Ma l’idea che tutto andasse perduto mi rattristava”.

E così anche la sua chiusura è diventata una storia da raccontare

“E’ andata così: senza neanche troppa convinzione misi il solito cartello, “Cedesi Attività”, sulla vetrina del negozio. Ma senza risultati. Fino a quando mi fermò don Nicola De Blasio: “Ma che stai dicendo? Non esiste! Che vuol dire che chiudi? Un’attività storica come la tua non può finire”.

E quindi?

“Dopo un po’ mi disse “levalo quel cartello, mi è venuta un’idea”.

Entrare a far parte del consorzio “Sale della Terra”: ha insegnato la sua arte a una cooperativa con tanti ragazzi stranieri

“Una bella sfida. E’ stato bello rapportarmi con culture diverse. I ragazzi partivano da zero ma avevano tanta voglia di imparare. E tanta disponibilità al sacrificio: in questo mestiere non può mancare. Ora sono diventati bravi. Ma spesso sono lì, a dare consigli. Soprattutto sulla crema: dalla crema dipende buona parte della riuscita della zeppola”.

E ora che il 19 marzo è prossimo quante volte torna al negozio?

“Praticamente tutti i giorni. Diciamo che un giro me lo faccio sempre. Ci tengo tanto. Ma devo dire che sono bravi, stanno facendo davvero bene”.

Sono arrivati fino a Papa Francesco?

“Sì, in occasione della sua visita a Pietrelcina, qualche anno fa. Gli abbiamo consegnato un cesto con le zeppoline. Un momento molto emozionante”.

Benevento ha una tradizione importante nel campo della pasticceria e del torrone, tanto che si parla di ‘scuola’: oggi la situazione com’è?

“La tradizione sta andando un po’ a perdersi. In particolare il torrone vive delle difficoltà dovute alla nascita e alla diffusione di grandi industrie che finiscono con il penalizzare la creazione artigianale. Per i dolci è un po’ diverso: la zeppolina è un prodotto fresco, va consumato subito, se anche la metti in frigo il giorno dopo ha perso sapore. E poi ci sono delle evidenti difficoltà a trovare giovani desiderosi di percorrere questa via”.

Come lo spiega?

“Coi sacrifici che comporta questo mestiere. Succede ancora che un ragazzo ti chiede di insegnargli l’arte della pasticceria o del torrone. Ma quando comprende che il sabato e la domenica sono giorni di lavori, e anche i più importanti e faticosi allora si ferma. Ma è così: più è festa per gli altri più è lavoro per noi”.

Ne è valsa la pena

“Ma sì. Fa piacere, per strada, essere fermati: “Zì Umbe’, vogliamo la zeppolina”. E pure i miei nipoti, quando scendono a Benevento, la prima cosa che chiedono è “la zeppolina?”. E così quando salgo io: senza il cesto neanche mi fanno entrare. Tutti momenti che posso godermi grazie al lavoro portato avanti per cinquant’anni con mia moglie”.

 

 

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