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CULTURA

Agli albori del marketing: tra torrone, scimmiette e un megafono sempre acceso. I ricordi della ‘piccola Giovanna’, il brand più noto delle feste popolari

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“Una persona goliardica, raccoglieva sempre attorno a sé tanta gente. Gli bastava scendere in piazza e prendere la chitarra per ritrovarsi circondato da persone”. E’ la descrizione di Vincenzo Ficociello, maestro cupetaro. E’ lui l’autore della nostra storia domenicale, storia ambientata nel secondo dopoguerra. Autore, non protagonista. Protagonista è la figlia: in una Benevento ancora in bianco e nero, suo padre le fece lo stesso regalo pensato da James Matthew Barrie per Peter Pan: la rese bambina per sempre. Perché la clessidra scorre, le stagioni passano ma lei resta e resterà sempre ‘La piccola Giovanna’. Il suo torrone ha ingolosito generazioni e generazioni di sanniti, fino ad assurgere a simbolo di bontà, genuinità, autenticità. Un sinonimo alla voce ‘sapori di una volta’. Ma se è così – ed è così – allora questo non è soltanto un ricordo di famiglia, o di comunità. E’ anche il racconto di un’intuizione geniale. Di una strategia di marketing vincente. Perché le macerie fumavano ancora, non erano più le bombe ma la fame a fare paura e per sfangarla qualcosa bisognava inventarsi: “Avevo solo tre anni e mio padre mi portava fuori con lui per il lavoro. Aveva una bancarella del torrone e girava per le feste. Per attirare l’attenzione della gente, dunque, mi faceva ballare sulla macchina. Ecco perché il torrone della Piccola Giovanna”.

E funzionava?

“Funzionava, altroché se funzionava. Le persone si avvicinavano per vedere la bambina che ballava e mio padre faceva assaggiare loro il torrone, le nocciole, le mandorle. E loro compravano”.

Quanto è durata la ‘piccola Giovanna’?

“Ho iniziato che avevo tre anni, ho proseguito fino alla quinta elementare. Poi non potevo più ballare ma ho continuato a lavorare per l’azienda di famiglia fino a che sono andata via. ‘La piccola Giovanna’ però è andata avanti. Il marchio funzionava e funziona considerato che alcuni miei fratelli ancora oggi in qualche festa lo presentano e non rimane mai invenduto”.

Giravate il Sannio con la vostra bancarella

“E mica solo il Sannio, andavamo dappertutto: mi vengono in mente la festa a Foggia, quella di Avellino. Eppure muoversi era complicato, a quei tempi. Ma dove si poteva andare si andava. Pure perché dopo un po’ si iniziò a creare l’attesa. La gente ci aspettava, voleva il torrone della ‘Piccola Giovanna’. Che era buonissimo, solo prodotti di qualità: dal miele, alle mandorle allo zucchero. Mai addensanti. E poi tutta la lavorazione a mano. Mio padre ci teneva e non si concedeva distrazioni: “Se non è buono la gente non torna” – ci ripeteva sempre. E aveva ragione”.

Anche se costava tanta fatica

“Tantissima. E poi i giorni di festa degli altri erano quelli di maggior lavoro per noi. Eravamo otto figli, tutti impegnati nella produzione. E anche quando ci ritrovavamo in casa, finiva sempre che si lavorava. Con mia madre, mia nonna. Ore e ore a incartare. Ed è sempre stato così, pure dopo, con l’arrivo dei nipoti: 18! Tutti mobilitati per il torrone, in fila indiana intorno a questa enorme tavola di marmo, dove veniva riversato il torrone ancora liquido, per incartare a mano dietro la promessa di un giocattolo o di una bambola”.

Ricorda ancora come facevate il torrone?

“Certamente: come dicevo prima l’intera lavorazione era eseguita a mano. Lo zucchero si scioglieva in questi enormi pentoloni in rame dove si impastava per diverse ore, con delle pale di legno. Poi si gettavano dentro le mandorle o quello che serviva e infine il tutto veniva riversato in forme di legno coperte da ostie per farlo raffreddare. Poi con la coltella si tagliava e sempre a mano veniva incartato. Infine, la prova bontà”.

Ovvero?

 “Si spezza ma non si piega” – ripeteva mio padre. Se si piegava allora non era cotto bene”.

Dobbiamo tornare un attimo indietro, però: anche per sostituirla suo padre ebbe un’intuizione particolare.

“E sì, una scimmietta”.

E anche questa funzionò

“A Benevento non avevano mai visto una bambina ballare su una macchina per fare pubblicità: erano sorpresi. Figuriamoci con una scimmietta sul furgone, faceva tanto di quel casino”.

Finita la festa dove andava?

“La tenevamo nella nostra fabbrica, in piazza San Modesto, al rione Libertà. La prima si chiamava Gina, dispettosa assai. Metteva paura ai clienti, gli gettava i vestiti addosso. Era la guardiana dell’edificio. Dopo la sua morte arrivò Pasqualino, altra scimmietta ma decisamente più buona, più tranquilla”.

Una fabbrica di torrone proprio al centro del rione Libertà: difficile resistere al profumo…

“Quando il torrone si faceva caldo, l’odore delle mandorle si espandeva per la piazza. E ovviamente la gente arrivava a frotte. Mio padre prendeva tutto il torrone che non era rientrato nell’incartamento e lo regalava. Magari è anche per questo che la gente è rimasta sempre legata a noi, alla nostra famiglia”.

C’è un altro legame, però, che nessuno ha mai dimenticato: riguarda tutti voi e la festa della Madonna delle Grazie

“Era diventata un po’ la nostra festa. “Veniamo per voi” – ci dicevano in tanti. Anche lì mio padre si faceva notare… penso che i Beneventani ancora lo ricordino“.

Perché?

“Per tutti i venditori ambulanti vigeva il divieto di utilizzare microfoni e altoparlanti. L’unico a non rispettarlo era lui. Al suo megafono non rinunciava mai. E quando i vigili provavano a sequestrarglielo lui lo legava al collo: “Mi serve per far chiamare la gente!”. La sua voce arrivava così dalla Madonna delle Grazie fino al Duomo. Quante multe prese! In continuazione. “Fate come volete, io devo lavorare”. E così è riuscito a non far mancare nulla alla sua famiglia, facendo studiare tutti i suoi otto figli”.

Abbiamo cominciato questa conversazione con il torrone della ‘Piccola Giovanna’ ma ci sono anche altre produzioni che hanno segnato la vostra attività

“Sicuramente il torrone del Papa, noi i primi a farlo a Benevento: era talmente buono che ce lo chiedevano pure da Roma. Anche qui ricordo viaggi complicatissimi per trasportarlo. E ancora ‘la croccante’ di Benevento, rigorosamente al femminile: zucchero sciolto e mandorle a formare un unico pezzo. E quante altre ricette ancora potrei citare. Molti se ne sono appropriati, anche marchi importanti”.

Da quel primo balletto un po’ di tempo è trascorso: c’è ancora chi la ricorda come la ‘Piccola Giovanna’?

“In famiglia certamente. Ma anche ai miei fratelli, quando escono per qualche festa, qualcuno la domanda la pone: “Ma è cresciuta ora?”.

E lei cosa risponderebbe se fosse al loro posto?

“Che resto sempre la Piccola Giovanna”.

 

 

 

 

 

 

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