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Migranti nel Sannio, la nota della Rete Commons: “Basta disinformazione sui richiedenti asilo”

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“’Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente’ diceva Mao Tse Tung. Altri tempi, altre storie. Oggi nella confusione imperante, nella disinformazione, nell’era delle bufale da social network, ci sguazzano in molti per trarre vantaggio e politicizzare situazioni molto serie e delicate”. Così gli attivisti della Rete Commons – Scuola di italiano Oltreconfine, Atletico Brigrante e del CSA Depistaggio – in merito alla questione dei richiedenti asilo in provincia di Benevento.

“Per esempio sulla questione migranti – spiega la nota – nella grande confusione che c’è in giro, politici e opinionisti di ogni risma fanno a gara a chi la spara più grossa per riuscire a ricevere consenso e notorietà alimentando una guerra tra poveri francamente disgustosa. Noi in quanto attivisti antirazzisti della città e della provincia vogliamo prendere parola per chiarire alcuni aspetti una volta per tutte. Noi, a differenza di qualcun altro, con i migranti residenti sul nostro territorio abbiamo rapporti giornalieri di amicizia e collaborazione da tempo. Sono quasi due anni che, tramite una squadra di calcio e una scuola d’italiano per migranti, abbiamo incontrato e conosciuto questi ragazzi. Sappiamo come vivono e cosa fanno e, visto che qualcuno ci prova sempre ad alimentare falsità e pregiudizi, adesso ve lo diciamo noi chi sono e cosa fanno.

Quasi tutti i ragazzi che vedete da un po’ di tempo in giro per Benevento e nella provincia – prosegue la nota – sono richiedenti protezione internazionale (più comunemente richiedenti asilo). Chi è il richiedente protezione internazionale (richiedente asilo)? Richiedente protezione internazionale è la persona che, fuori dal proprio Paese d’origine, presenta in un altro Stato domanda per il riconoscimento della protezione internazionale. Il richiedente rimane tale, finché le autorità competenti (in Italia le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale) non decidono in merito alla stessa domanda di protezione. In attesa della risposta della commissione, alla quale può seguire un eventuale ricorso nel caso di diniego, queste persone entrano a far parte del sistema d’accoglienza, nel quale restano una volta che gli viene riconosciuto lo status di rifugiato, o la protezione sussidiaria o la protezione umanitaria.

Tutti i richiedenti asilo che vivono qui – precisano dalla Rete Commons – sono persone che hanno raggiunto le coste italiane con i barconi della morte, non propriamente i viaggi comodi in prima classe che fa chi specula sulle loro storie e le loro vite. Ma una volta arrivati in Sicilia che succede? Tutte le imbarcazioni di questo tipo vengono scortate nei vari porti siciliani dalla guardia costiera. Una volta fatte scendere le persone vengono trasportate nei Cpsa. Che cosa è un Cpsa? 
In questi Centri di primo soccorso e accoglienza (è il caso di Lampedusa) i migranti appena sbarcati ricevono le prime cure mediche necessarie, vengono fotosegnalati, possono richiedere la protezione internazionale. Successivamente, a seconda della loro condizione, vengono trasferiti nelle altre tipologie di centri (Cda, Cara, Cas).

I Cda e i Cara in Italia sono 14. Ovviamente – aggiungono gli attivisti – visto il numero di persone arrivate negli ultimi anni questi centri non erano sufficienti per accogliere tutte le persone che hanno presentato richiesta d’asilo. Cosa si è pensato di fare allora? Come al solito si è pensato di gestire la situazione creando l’ennesimo stato di emergenza di cui approfittano affaristi e predatori di ogni sorta. In Italia oggi ci sono 1.861 strutture temporanee ( i cosiddetti Cas ovvero centri di accoglienza straordinaria). Ecco, la maggior parte dei ragazzi che vivono qui stanno in queste strutture temporanee gestite da cooperative che vincono bandi che fanno capo alla prefettura. Ora visto che mediamente per ogni richiedente asilo queste cooperative o società che gestiscono le strutture prendono 35 euro al giorno (chi gestisce le strutture non i richiedenti asilo), potete ben immaginare che in tanti hanno fiutato l’affare (come il sistema mafia capitale insegna). Teoricamente per vincere questi bandi le cooperative o società devono specificare tutti i servizi garantiti e il costo di essi. Nella maggior parte dei casi, nemmeno la metà di questi viene realmente garantito.

Essenzialmente ai ragazzi – raccontano gli attivisti – vengono forniti i pasti giornalieri e un tetto sopra la testa. Le condizioni di sovraffollamento delle strutture e le ubicazioni, in molti casi distanti dai centri abitati, rendono la permanenza dei migranti precaria. Oltre ai pasti e al tetto, gli ospiti delle strutture ricevono anche soldi? Si, ma parliamo di cifre davvero irrisorie. I richiedenti asilo hanno diritto ad un pocket money giornaliero di 2,50 euro. Molte volte vengono dati direttamente a fine mese, arrivando ad un totale mensile dell’astronomica cifra di 75 euro. Questi soldi non sempre vengono dati con regolarità.

Ora, ultimamente, succede – chiarisce la Rete Commons – che qualche acuto osservatore inizi a notare molti ragazzi che sostano nelle piazze o davanti ai supermercati per chiedere un obolo ai passanti. Questa cosa, innocua e che non crea alcun problema, nella grande confusione che c’è in giro, può suscitare considerazioni o commenti che dire fuori luogo è un eufemismo. Ripetiamo i ragazzi prendono, quando glieli danno 75 euro al mese. Con questo magro sussidio può capitare che un ragazzo, senza tra l’altro essere inserito, nella maggior parte dei casi, in nessun percorso formativo o lavorativo possa andare a chiedere l’elemosina per avere qualche soldo in più in tasca.

Non c’è – conclude la nota – nessuna associazione a delinquere dietro o chissà quale trama occulta come qualcuno prova a dire fingendosi ingenuo o peggio ancora giornalista d’assalto alla ricerca dell’inchiesta da premio Pulitzer. Magari, se proprio ci sono domande da fare, e se si vuole denunciare qualcosa che non va, sarebbe più opportuno andare a vedere quali sono le cooperative responsabili dei centri di accoglienza sparsi sul nostro territorio, come lavorano, in che condizioni vivono realmente gli ospiti, e magari, una volta verificato tutto questo andare a chiedere informazioni al prefetto riguardo la gestione del sistema accoglienza in città e provincia. Forse si scoprirebbe chi davvero ci guadagna, legalmente e stando al calduccio in qualche villa e non per strada, su questo sistema e sulla pelle dei migranti”.

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