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Il documento dell’associazione culturale ‘Generoso Simeone’

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La storia della Provincia di Benevento è colma di tradizioni, di cultura, ma anche di difficile convivenza tra le varie etnie che la compongono.

La nostra Provincia nasce nel 1860 dalla volontà di mazziniani capeggiati da Salvatore Rampone, facilitati e rincuorati da un sentimento di appartenenza al territorio vivo da secoli nelle nostre terre. L’arrivo dal centro Italia delle tribù sannitiche,nel IV secolo a.C., consegna un’identità precisa al territorio, caricandolo di significati, simboli e valori che resteranno quasi inalterati nel corso dei secoli. Un ruolo essenziale, per l’evoluzione storica dell’identità provinciale, è senz’altro il lungo periodo (dal 349 a.C. al 290 a.C.) delle guerre sannitiche contro le legioni romane.
La perdita della libertà e la colonizzazione romana (dopo la rivolta contro Silla) mutano anche il ruolo della città, che da centro politico autonomo, diviene quasi caposaldo di un lungo percorso che congiunge Roma alle Puglie(La Via Appia).

L’altra svolta epocale vissuta dal territorio sannita è il periodo longobardo che, distinto in Ducato prima e Principato poi, si protrae per circa 500 anni (dal 570 al 1077): questo è uno dei periodi di più alta tensione politica, spirituale e culturale che il territorio abbia vissuto nel corso della sua storia. La cosiddetta "Longobardia minore", di cui ovviamente Benevento è capitale, abbraccia l’intera Italia centro meridionale.

Ma ciò che è più significativo è il formidabile peso diplomatico che la città si appresta ad assumere nell’agone delle superpotenze dell’epoca (Chiesa, Bisanzio, Longobardia maggiore). I Longobardi fanno di Benevento una città perno per la nuova civiltà, basti ricordare le grandi opere che ancora oggi si conservano, come per esempio la Rocca dei Rettori, utilizzata per tenere sotto costante controllo le strade per il Tirreno e l’Adriatico.

L’avvenimento più dirompente e devastante per l’unità territoriale e la saldezza dell’identità dei sanniti è l’annessione nel 1077 della sola città di Benevento al papato: la decadenza dei Longobardi, l’ascesa dei Normanni ed il sempre più forte potere della Chiesa devastano il Sannio ,contribuendo non poco ad isolare la città dal contesto territoriale ed ai cittadini della provincia di guardare con una certa diffidenza ai beneventani. Il periodo migliore per Benevento sotto la Chiesa è senz’altro quello tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII allorché la guida dell’episcopato è assegnata a Vincenzo Maria Orsini d’Aragona, un domenicano che in tarda età divenne Papa con il nome di Benedetto XIII.

L’ultima e decisiva svolta per comprendere la realtà del Sannio odierno si ha con l’Unità d’Italia e la fine del potere pontificio in città, così si aprì, con il 1860-1, un periodo storico determinante. Benevento con la sua Provincia costituisce agli albori dell’unità d’Italia un caso del tutto unico e singolare. Qualche rappresentante isolato della nobiltà con interessi politici ed economici e un ristretto gruppo di borghesi legati per tradizione familiare all’esperienza del decennio francese o formatisi agli ideali mazziniani e giobertiani, capeggiati da Salvatore Rampone avanzano alla Rocca Pontificia e, occupatala, ne intima lo sfratto al delegato stesso presieduto. Il primo atto ufficiale è l’emanazione di un decreto, recante la data del 4 settembre, con cui "in nome di Vittorio Emanuele re d’Italia" e del "dittatore Garibaldi" si dichiara formalmente "decaduto il Governo Pontificio".

E nell’intitolazione dello stesso decreto compare per la prima volta la menzione di "Provincia di Benevento”, promessa al Rampone dal Comitato unitario di Napoli sin dal precedente 15 agosto. Si pone adesso il problema di creare dal nulla una nuova provincia, in un clima di pura incertezza data la presunta assimilazione di territori già appartenenti alle province dell’ex Regno di Napoli.

La riprova d’una simile incertezza ci viene da una lettera del 1l settembre, con cui il Rampone sollecita Domenico Mutarelli a fargli avere nel più breve tempo possibile una carta topografica del territorio beneventano e dei limitrofi circondari di Vitulano, Montesarchio, Cervinara, Altavilla, Montefusco, S.Giorgio la Montagna, Paduli, Pescolamazza, ricalcando così evidentemente i limiti – ma solo in parte – dell’antica struttura ecclesiastica della diocesi di Benevento.

A tale richiesta segue subito la realizzazione d’una "mappa corografica" (ancor oggi conservata presso il Museo del Sannio) da parte del geometra Francesco Mozzilli. Avvalendosi di questo progetto, che il 27 settembre era stato fatto proprio dal neo governatore Carlo Torre (capo del partito moderato, che proprio in quel giorno era stato insediato), in data 25 ottobre 1860 il prodittatore Giorgio Pallavicino emana da Napoli il decreto costitutivo della provincia di Benevento, di cui tuttavia riserva ad una futura ”apposita legge” la determinazione della ”nuova circoscrizione, nel fine di ampliarne il territorio proporzionatamente alle altre Province".

In tal obiettivo si avvia, sin dal 14 ottobre, apposite consultazioni nei comuni, di cui si ipotizza l’aggregazione. Il progetto prevede in aggiunta all’elenco del 27 settembre l’ulteriore aggregazione di altri circondari:

Piedimonte, Caiazzo, Cusano, Riccia, Baselice, S. Croce di Morcone, Montecalvo, Flumeri e Castelbaronia, in modo da ottenersi una popolazione complessiva di 326.108. La novella circoscrizione è realizzata ovviamente a spese delle province di Principato Ultra, Terra di Lavoro, Molise e Capitanata e comprese 20 circondari con 74 comuni (per una popolazione globale di 244.275 abitanti), ripartiti nei tre distretti di Benevento, Cerreto e S. Bartolomeo in Galdo: Benevento, Arpaise, Ceppaloni, S. Leucio, S. Angelo a Cupolo; Montesarchio, Apollosa, Bonea, Pannarano; Paduli, Apice, Buonalbergo; Pescolamazza, Fragneto l’Abate, Fragneto Monforte, Pago, Pietrelcina; S. Giorgio la Montagna, S. Martino Ave Gratia Plena, S. Nazzaro – Calvi, S. Nicola Manfredi; Vitulano, Campoli, Castelpoto, Cautano, Foglianise, Paupisi, Tocco Caudio, Torrecuso; Airola, Arpaia, Bucciano, Forchia, Moiano, Paolise; Cerreto, Faicchio, S. Lorenzo Minore; Cusano, Civitella, Pietraroia; Guardia Sanframondi, Amorosi, Castelvenere, S. Lorenzo Maggiore, S. Salvatore; Sant’Agata dei Goti, Durazzano, Limatola; Solopaca, Frasso, Melizzano – Dugenta; Baselice, Castelvetere, Foiano; Colle, Circello, Reino; Morcone, Campolattaro, Sassinoro; Pontelandolfo, Casalduni – Ponte, S. Lupo; S. Giorgio la Molara, Molinara, S. Marco dei Cavoti; S. Croce di Morcone, Castelpagano, Cercemaggiore; Castelfranco, Ginestra, Montefalcone; S. Bartolomeo in Galdo. La provincia di Benevento in tal modo è una concreta realtà. Il decreto luogotenenziale lascia insoddisfatte non poche comunità locali: se da una parte infatti vanifica la volontà di aggregazione di comuni come Gambatesa o Tufara Valfortore e soprattutto Cervinara, Rotondi, S. Martino V.C., Roccabascerana, Chianche, Casalbore e Montemale (l’odierna S. Arcangelo Trimonte, che vedrà realizzata quella sua aspirazione a distanza di più d’un secolo), dall’altra suscita invece un vivo dissenso in altri comuni e circondari, che preferiscono continuare a far parte delle originarie province di appartenenza: Airola, Sant’Agata, Solopaca, Faicchio, Guardia, Pannarano, Sassinoro, Santa Croce, Cercemaggiore (unico comune, questo, di cui nel dicembre 1861 il Consiglio provinciale di Benevento riconobbe – riconoscimento veramente formale per allora! – la legittimità delle doglianze).

La decisione parlamentare del 15 maggio 1861 conclude un percorso arduo e faticoso per la nascita della Provincia di Benevento, consentendo di passare all’elezione e insediamento degli organismi rappresentativi. Il 19 maggio, si proclamano le votazioni generali, da cui vengono eletti i quaranta componenti del primo Consiglio provinciale di Benevento, con a capo come presidente il cerretese Michele Ungaro.
 

ANALISI: LA PROVINCIA COME ENTE AMMINISTRATIVO
La Provincia è un ente autonomo deputato a curare gli interessi di un territorio e di una comunità, cooperando con i Comuni.

In ottemperanza alla legge n. 142 del 1990 la Provincia ha l’obbligo di esercitare funzioni di difesa e valorizzazione del suolo, viabilità provinciale, ciclo rifiuti, valorizzazione dei beni culturali, gestione caccia e pesca in zone interne, raccolta ed elaborazione dati con assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, a questo va aggiunta la funzione di coordinamento, in materia di programmazione, delle proposte presentate dai Comuni alle Regioni.

Negli anni abbiamo assistito al depauperamento funzionale dell’ente Provincia a vantaggio della Regione, salvo talvolta trovarsi dinanzi una fastidiosa sovrapposizione di procedimenti burocratici, che non hanno provveduto nient’altro che a rendere debole e lento il principio di progettualità e crescita territoriale.

E’ chiaro il legame che la Provincia, per espletare al meglio il suo ruolo, deve avere con il territorio, al quale deve garantire possibilità di produttività e di legami sociali ed economici, sempre tenendo presente la legge 142 del 1990.
Una modifica dell’assetto provinciale, seppur possibile, non può e non deve prescindere dalle esigenze della popolazione e dalla funzionalità dei servizi (142-1990) e deve avvalersi del consenso Regionale, in base all’art. 133 della Costituzione Italiana e della richiesta dei Comuni.

Tutto questo non sembra previsto dalla manovra finanziaria 2011 e dalla promessa, che suona un po’ come una minaccia, di abolire l’Ente quanto prima.

Lo stesso dicasi per l’accorpamento dei Comuni al di sotto dei 1000 abitanti, i quali sembra ora, almeno dalle ultime voci degli emendamenti approvati, non saranno più accorpati, ma dovranno gestire confederalmente la parte economica.

Se deve esserci una economicizzazione dei costi della politica essa non deve andare ad inficiare le funzionalità della stessa, bensì colpire gli sprechi, assegnati ai privilegi di cui godono spesso e volentieri gli organi dello Stato, primo fra tutti l’ente Regione, dal 1972 ad oggi arricchitosi di poteri piuttosto che di oneri.

In base ad una raccolta dati consegnata in sede di dibattimento dal Presidente Cimitile lo scorso 19 agosto 2011, possiamo affermare che la Provincia costa allo stato l’1,5% del totale dei costi della politica, meno di Comune e Regione, una vittoria di Pirro risulterebbe eliminarle.

Ma è poi così necessario entro il 2014 andare ad ossequiare ulteriormente la politica dei soliti banchieri, affamatori di stati con il pretesto del debito pubblico? Il debito pubblico è per la maggior parte debito che lo Stato ha con le banche, ragion per cui il nostro Stato potrebbe benissimo, seguendo esempi esteri, nazionalizzare le banche e liberarsi del debito, invece di continuare a pesare sull’Italia, sulla sua storia, sulla sua identità, sulla sua popolazione.
La questione del debito pubblico deve continuare a rimanere tabù, così è stato deciso dai “camerieri” delle banche e dai loro vassalli definiti pubblici informatori.

Non voleva questo essere un exursus privo di senso né uno sfogo, solamente un modo per entrare nel vivo della vera questione e non aggirarla per quieto vivere.

Non possiamo banalizzare il dibattito politico sull’attuale finanziaria preoccupandoci soltanto di dati numerici o di reminiscenze identitarie, del resto omesse e dimenticate, da chi oggi ne fa sfoggio durante i tg nazionali, ogni qual volta la politica doveva divenire affare.

Noi avemmo un’opportunità più di venti anni fa, una delle tante occasioni sprecate.

Abbiamo forse a mente la seduta provinciale che ci fu nel 1993 durante la quale si è discusso per la prima volta del riassetto provinciale, in seguito alle sollecitazioni che Salvatore Colatruglio, ispirato dalla fondazione Agnelli, che voleva le macro-regioni, espresse in una lettera indirizzata ai colleghi consiglieri della Provincia di Benevento nel 1991, due anni prima?

Salvatore Colatruglio lanciò un dibattito pungente, accolto, con la dovuta serietà dal presidente Panza, vicino all’area Mastelliana, che volle inserire il riassetto della Provincia di Benevento e il distaccamento dalla Regione Campania come punto all’ordine del giorno del consiglio Provinciale del settembre 1993; ordine del giorno approvato all’unanimità da un consiglio, che sicuramente diviso e talvolta restio a dare risalto alla questione del distaccamento, alla fine ha votato – riporto le testuali parole – “la necessità che il territorio della provincia di Benevento sia inserito in un nuovo contesto regionale per dare le giuste risposte alle attese del Sannio, di essere protagonista con pari dignità del proprio sviluppo”. E’ stato un primo passo storico compiuto dalla Provincia di Benevento, che purtroppo non ebbe il risalto che meritava, dal momento che, ancora una volta, la deriva populista – identitaria per non guardare negli occhi il vero problema espresso nella lettera di Colatruglio, lasciò correre e rinunciò a prendersi una rivincita nei riguardi di una Regione che continuava a snobbare l’entroterra.

Oggi ritorna la questione di un riassetto provinciale e i venti anni di esperienza, di sconfitte e perdite del nostro Sannio non devono forviarci né spaventarci nell’affrontare il vero dramma.

Approfittiamo piuttosto del momento per pretendere dalla tanto colpevole Regione Campania un riassetto provinciale che sia dignitoso per la nostra idea di sviluppo. La Provincia di Benevento non è ben articolata dal punto di vista geografico, per cui non può gestire in modo omogeneo le problematiche e lo sviluppo, che vanno poi a perdersi nel calderone della questione di risanamento propria delle zone “basse” o costiere che dir si voglia, mi riferisco in modo particolare a Napoli, Caserta e dintorni, il ventre molle della nostra regione Campania.

Allora ci fu la richiesta di passare al Molise, prima da parte dei comuni del Fortore poi da parte della Provincia intera, in modo da cercare maggior rappresentanza politica e più adeguata omogeneità territoriale. Sono passati più di venti anni e nulla si è mosso, soltanto ora in risposta ad una finanziaria provocatoria c’è qualcuno che ricorda la teoria del Molisannio e la rispolvera sperando fosse la volta buona o soltanto per dare un tono di qualunquismo al suo dire.
La questione non è tanto Molisannio o Campania.
Il Molisannio va comunque a tagliare una parte di Sannio, che non include la sola zona di Benevento, Isernia e Campobasso, ma anche Avellino e territori altri, oggi amministrati da altre Province: Sannio Aliano in provincia di Caserta, la valle del Liri in provincia di Frosinone, e la terra dei Sanniti Carecini, cioè l’Abruzzo meridionale. Sarebbe sicuramente un nobile tentativo della classe politica di confrontarsi con interlocutori assillati da identiche problematiche, in quanto operanti su un territorio ed un tessuto socio-economico del tutto omologhi ai nostri e di rendere l’amministrazione locale più vivibile. Per questo sarebbe stato un passo corretto allora, oggi vediamo diversamente la questione, dal momento che l’Europa e l’Italia stessa sta andando a gran velocità verso la configurazione di un territorio gestito da Macro – Regioni ed il Mezzogiorno costituisce una siffatta realtà, per cui dal punto di vista politico poco cambierebbe, dal punto di vista amministrativo probabilmente sarebbe lo stesso. Puntare quindi su un riassetto provinciale omogeneo potrebbe invece preservare il nostro territorio da futuri rischi.
Vogliamo provare ad essere forza trainante della nazione tutta? Affrontando il dramma che ci sta affliggendo con profondità argomentativa e con dignità politica, dimenticando per un attimo gli schieramenti e i tornaconto?
 

PROPOSTA: PER UNA RIFLESSIONE NECESSARIA SUL FUTURO DEL NOSTRO TERRITORIO
La nostra associazione tenendo conto delle analisi della manovra finanziaria, i dibattiti nazionali e territoriali e rivalutando le conclusione dei dibattimenti del 1993 in sede provinciale territoriale, considerando infine il passo indietro fatto dalla politica Nazionale, nella speranza di dare almeno un contributo di riflessione espone tali proposte.
Il movimento popolare sannita dovrebbe essere indirizzato nella ricerca di assetti di maggior equilibrio a livello regionale e provinciale e comunale.

Partendo dai comuni, piccole realtà autonome, talvolta distanti molti Km uno dall’altro, raramente limitrofi, è impensabile che possano andare a coordinarsi per la risoluzione di proprie problematiche obbedendo ad una considerazione puramente numerica o economica, ma devono continuare ad esistere autonomamente per salvaguardare il proprio territorio, salvo il caso in cui, essendo zone limitrofe possano creare una sorta di coordinamento di gestione, il quale continui ad operare nell’interesse e per conto di una problematicità territoriale peculiare. Non si deve prescindere in breve dal dato geografico – identitario.

La Provincia è un ente dalla storia importante, lo abbiamo a lungo chiarito nei cenni storici, in generale, oggi, privo di competenze che le permettano realmente di funzionare in base a quanto previsto dalla legge 142 del 1990; per questo negli anni ha assunto il ruolo di “carrozzone pubblico” e per questo va potenziata, invece di essere eliminata. Va potenziata ma ridisegnata geograficamente, accettando la volontà popolare dei comuni che vorranno essere annessi o che vorranno separarsi da essa. Chiediamo per le Province deleghe amministrative, necessarie a svolgere funzione di espressione della propria collettività, soprattutto nei tempi in cui stiamo vivendo, nei quali si registra l’assenza di ogni altro soggetto capace di rapportarsi davvero alle comunità. Anche in termini di programmazione, considerata l’inefficienza regionale sarebbe opportuno un potenziamento provinciale capace di gestire un reale sviluppo del nostro Sannio, fermo restando la volontà della nostra classe politica di fare scelte e di non continuare a subire le proprie non scelte.

Non meno importante è la questione della sovrapposizione burocratica, tra comune, provincia e regione delle autorizzazioni o degli iter che fino ad oggi non hanno fatto altro che eludere controlli efficaci e immobilizzare l’imprenditoria locale. La drammaticità della disoccupazione e della moria imprenditoriale trova la sua ragion di esistere in questo stallo voluto dal governo centrale.
Passiamo infine alla considerazione sull’ente REGIONE.
Inutile citare le malefatte negli anni di questa realtà a cui il governo ha affidato tanta credibilità amministrativa e tanto danaro da gestire.

Ci piacerebbe credere che la battaglia per il Molisannio oggi possa risolvere i nostri drammi e il nostro mancato sviluppo, ma forse è trascorso il tempo della sua efficacia; è tempo di nuove soluzioni; ci piacerebbe credere che l’eliminazione delle province possa rappresentare la risposta agli sprechi della politica, ma ne dubitiamo.
Se la provincia va potenziata, pensiamo che le regioni vadano depotenziate, anche accorpate nel caso, sempre considerando i fattori geografici ed identitari, neppure citati all’indomani della affermazione topografica dei confini della stessa. Le Regioni avendo alle porte il federalismo, soprattutto fiscale, non possono essere debellate, cosa che ci favorirebbe sicuramente, ma possono essere educate tramite l’eliminazione del libertinaggio cui vanno soggette.

La programmazione per lo sviluppo per il Sannio e la zona appenninica interna sarebbe salvifica e metterebbe fine a questo depauperamento dei piccoli centri a vantaggio delle metropoli oramai asfittiche. La regione non ha saputo offrirci questa possibilità, pur avendo all’interno quelli che consideravamo nostri rappresentanti, i quali ci hanno obbligato a rispondere a tributi di solidarietà senza alcun ritorno. In anni di malgoverno regionale si è creato uno squilibro nello sviluppo delle zone interne e uno strangolamento demografico e urbano delle zone costiere. Incapacità o malgoverno?

E’ il momento di far sentire la nostra voce, quella che viene dal popolo, dal popolo che pensa e che cerca di indirizzare una classe politica in balia di indecisione e deviazione.
Non dobbiamo perdere questa occasione né far sopire il dissenso credendo alla rassicurante affermazione degli emendamenti agli articoli scomodi della finanziaria 2011. E’ una resa momentanea che prepara il collasso del sistema Comune – Provincia – Regione. Il dibattito va indirizzato ora e reso più forte dalle istituzione che non possono rimanere indifferenti.

Il Federalismo deve essere raggiunto solo a patto che si rivedano gli ambiti regionali e provinciali, creando quindi entità territoriali che sappiano gestire e amministrare, tenendo in conto debito il presupposto della sussidiarietà.
L’Italia è terra di fiumi, di monti, di valli, di fauna e di flora, l’Italia è terra di popoli e una manovra finanziaria efficiente e profonda è di questo innanzitutto che deve tener conto.

 

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