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Auser-Uselte, incontro con l’Architetto Francesco Morante

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Una serata bellissima è stato definito l’incontro con Francesco Morante ieri pomeriggio all’Auser-Uselte. Bellissima perché sempre, quando si scava nella memoria, accade di emozionarsi recuperando frammenti di storia, non quella che leggiamo nei libri, ma quella di cui è intessuta la vita quotidiana con i mille accadimenti di cui è costellata. Storia continua di storie particolari, uno storytelling di ciò che siamo oggi come cittadini di una città che non vanta solo un patrimonio monumentale eccezionale, ma un luogo dove si sono svolte in passato tante prestigiose attività di cui non poche sono le testimonianze; anzi sono talmente significative che potrebbero costituire l’inizio di un percorso culturale e l’attrattiva di un processo turistico che spesso proprio nel particolare trova il terreno che alimenta l’interesse perfino degli studiosi.

E proprio da studioso è stato l’approccio di Morante con tanti aspetti della nostra Benevento passata, riportando alla ribalta della memoria degli astanti l’esistenza di attività sedimentate ormai nella memoria storica. Attraverso la proiezioni di diapositive veramente suggestive e una narrazione partecipe e ricca di dettagli sono state “raccontare” le fabbriche di liquori, tra cui quella della famiglia Grasso, a via Francesco Paga, ma meglio conosciuta ab antiquo come via Valfortore, capace di produrre una infinità varietà di liquori tra cui il famoso crema di caffè recante sulla bottiglia un’etichetta raffigurante un cammello, segno della permanenza di Vincenzo Grasso nella città di Harrar, in Etiopia. Il Corso Garibaldi tra fine 800 e per buona metà del 900 era costeggiato da numerosi torronifici che forse fanno impallidire le mostre di torroni di oggi.

Nomi quali Ferrannini, Del Cogliano, Pastore, Imperlini, Profeta e Fabbriche Riunite producevano i famosi torroni avviando la produzione dei torroni in carta e in astucci e in grado di competere con quelli di Cremona, forse anche per quanto riguarda l’attribuzione dell’origine del prodotto la cui arte fu trasferita probabilmente da Benevento nella città lombarda da Francesco Sforza dopo un periodo di permanenza nella nostra città. Nella versione della tradizione cremonese, il torrone venne servito per la prima volta al banchetto per le nozze tra Bianca Visconti e Francesco Sforza. Il torrone, sempre secondo la tradizione, prese tale nome forse per la forma che richiamava quella della torre campanaria della città, denominata Torrazzo.

A prescindere dalla veridicità storica, questo episodio viene rievocato ogni anno con una Festa del torrone con figuranti in costume d’epoca. Infine famoso era anche il torronificio di Arcangelo Rossi trasferitosi dal centro città successivamente al viale Principe di Napoli nei pressi della stazione centrale con un laboratorio e un negozio dove si andava, negli anni ’60, a comprare, noi piccoli, i confetti chiamati cannellini dalla nota “vedova Rossi”, una Signora alquanto anziana vestita sempre di nero. Di tutto ciò ora rimane, a Benevento, l’attività dolciaria di Alberti e quella della famiglia Rosa sotto il nome ancora di Fabbriche riunite con i propri prodotti tipici.
Poi è stata la volta del connubio streghe e Strega, argomento quanto mai oggetto di discussione e di diverse interpretazioni. Fatto sta che Giuseppe Alberti, di origini lucane e proveniente da Caserta, gestiva un bar ristorante a piazza Orsini, in un fabbricato al cui piano superiore lavorava il dott. Sorda, botanico di professione. Sembrerebbe plausibile -stando all’opinione di Morante- che all’Alberti sia venuta l’idea di produrre il famoso liquore proprio dall’essere venuto a conoscenza, frequentando il laboratorio botanico, delle erbe e spezie la cui commistione ancora oggi rimane ignota. Un particolare curioso e culturalmente degno di nota è il fatto che sembra che l’etichetta originale della bottiglia Strega riproduca un acquerello del noto artista di origini beneventane ma di adozione veneziana Raffaele Mainella, precisamente la danza attorno al noce, liberamente utilizzato da Alberti stesso e solo minimamente ammodernato sulle etichette odierne.

Tante altre interessanti curiosità sono state dispensate dal nostro Morante. Un’ultima, per non tediare: sembra che una reliquia di san Bartolomeo si trovi nella cittadina francese di Bénévent-l’Abbaye, dove accanto al culto per il santo veniva prodotto un liquore il cui nome “liqueur Bénéventine” richiama evidentemente il luogo di origine di questa traslazione. Diversi gli interventi dal folto pubblico tra cui quello del Prof. Elio Galasso, già direttore del Museo del Sannio, che ha esortato l’appassionato ricercatore a non darsi per vinto e continuare a reperire documenti e reperti che possano far luce sulla vita passata della nostra città.

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