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Opinioni

Le primarie del centrosinistra nel day after. Il futuro dei renziani e le sfide di Bersani

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Il popolo del centrosinistra ha scelto. Pierluigi Bersani, il segretario del Partito Democratico, il pluriministro, l’usato sicuro, sarà il candidato premier della coalizione. Una partita chiusa 60-40 al ballottaggio con Matteo Renzi. La vittoria di Bersani sacrifica il rinnovamento radicale sull’altare della stabilità e chiude le porte ai nuovi potenziali elettori coinvolti dalla campagna del “rottamatore”. Una vittoria figlia del partito, che ha fatto testuggine a difesa del suo segretario. Con il 96% dei parlamentari contro e il 98% dei segretari provinciali pro Bersani, i voti guadagnati da Matteo Renzi sono stati in gran parte di opinione. A spingere la gente ai gazebo per votarlo è stata la voglia di cambiamento e la speranza in qualcosa di diverso, che il “ragazzetto” in maniche di camicia bianca sembrava poter incarnare. Ma anche la voglia di voltare pagina e chiudere il capitolo dei soliti noti della politica. Il sindaco di Firenze, in parte Vendola, e a tratti la Puppato, sono stati i tre candidati che hanno portato alle urne un bacino di elettori non controllato dai partiti.

Il futuro dei renziani
Nel day after resta da capire il futuro del 40% degli elettori che ha votato Renzi. Fonderà un nuovo partito? Ipotesi esclusa per il momento, dopo il discorso della sconfitta fatto da Renzi, che ha assicurato la sua lealtà e supporto al partito. Si rafforzerà la corrente renziana nel Pd? Molto probabilmente. Renzi avrà un ruolo di primo piano nel nuovo governo? Stando alle dichiarazioni da campagna elettorale del rottamatore dovrebbe ritornare sereno a Firenza a fare il sindaco. Ma con una percentuale di voti, che se non gli ha permesso di vincere, ha comunque rafforzato il suo peso politico, l’ipotesi di un suo coinvolgimento fattivo nella decisione delle candidature al Parlamento e, in caso di vittoria, nel nuovo governo di centrosinistra, non è ipotesi tanto peregrina. Poi, che già ci sia stato il cosiddetto inciucio, non è ancora dato sapere.

Il 40% e l’elettorato deluso di centrodestra
L’aspetto più spigoloso della questione però è che in quel 40% c’è una componente di elettori, che non solo non avevano mai votato alle primarie, ma che non avevano mai sostenuto il centrosinistra. E che di certo non lo faranno dopo la sconfitta di Renzi. Insomma elettori delusi da Berlusconi e dal centrodestra in generale che hanno visto in Renzi, non i colori del PD, ma il sogno del cambiamento, quel “yes, we can” made in Firenze. Un dato che denota una personalizzazione della politica anche a sinistra. Il voto di opinione, quello emerso dalle primarie, non ispirato più da una corrente di pensiero politico che si incarna nella struttura di un partito, ma dalla persona, dal leader, dalle sue idee e ancor di più dal modo in cui le comunica. Non si spiegherebbe altrimenti l’appeal di Renzi sull’elettorato di centrodestra. In termini strategici il vero vincitore è lui. Bersani in fordo ha convogliato su di sè i voti degli elettori di centrosinistra, con l’appoggio di Sel e dell’Api. Renzi invece è riuscito nella missione di ogni stratega politico: togliere voti all’avversario. Il fatto che sostenitori di centrodestra si siano recati ai gazebo delle primarie mostrano, non il poco essere “fedele alla linea” di Matteo Renzi, ma mettono a nudo la debolezza del Pdl e del centrodestra in generale, confermato anche dal calo nei sondaggi. Un movimento a sinistra dell’elettorato di centrodestra che si è verificato anche nel Sannio. Destando in effetti poco stupore, alla luce della catalessi in cui, a Benevento, è caduto il partito di Nunzia De Girolamo, impegnata più a presenziare nel talk sulle primarie del centrosinistra, che ad agire per contenere la fuoriuscita dei suo elettori. Un bacino di voti interessanti, quello dei delusi di centrodestra sanniti, che potrebbe attirare l’attenzione di qualche partito moderato di area centrista, equilibrando le sue fila svuotate da sostanziose fuoriuscite.

La sfida delle alleanze 
Vendola e Casini. Vendola e Monti. Vendola e Bindi. Accoppiate che, se ci basiamo sulle dichiarazioni rilasciate in campagna elettorale dal presidente di Sel e dal segretario del PD, sono altro che favole, ma fantascienza sfrenata. Prendiamo il ruolo di Mario Monti. “Nel nostro governo ruolo di primo piano per Monti”, ha annunciato il vice di Bersani, Enrico Letta al Teatro De Simone. “Io sarò sempre all’opposizione di Monti”, replica, a distanza di pochissime ore, Vendola dall’Hotel Italiano di Benevento. E poi c’è la questione dell’alleanza con l’Udc, che Bersani non ha mai scartato come opzione, anzi. Uno spauracchio che malgrado il supporto al segretario del pd di Vendola al ballottaggio, ha determinato la convergenza di alcuni voti dei vendoliani su Renzi. Con la vittoria di Bersani, vince anche il partito guidato dal governatore della Puglia. Nel centrosinistra non c’è spazio per Vendola e Casini insieme, un’insofferenza bifronte: Vendola non vuole Casini e il leader dell’Udc ha sempre detto: “Se c’è Vendola non ci siamo noi”. Per iniziare la partita sullo scacchiere delle alleanze bisognerà però aspettare di conoscere la nuove legge elettorale, se mai ci sarà. Infine c’è la questione della coabitazione all’interno dello stesso schieramento di due posizioni così diverse sui diritti civili e sociali. Prendiamo, per esempio, le unioni civili: Vendola vorrebbe aprire la strada ai matrimoni per le coppie gay. Ma a fare il don Rodrigo della situazione è la Bindi, che non va oltre la regolamentazione delle unioni civili, con i Dico. Un’acronimo troppo stretto per Vendola.

La sfida dell’antipolitica
La sfida di fermare l’antipolitca. La tendenza autunno-inverno 2012 sembra essere una: le primarie. Un outfit che va bene in ogni occasione e con qualsiasi colore politico. Concluso l’appassionante appuntamento con le primarie di centrosinistra, in attesa che il Pdl decida se osare o meno, anche il Movimento a 5 stelle di Beppe Grillo si lancia in questo esercizio di democrazia con le sue “parlamentarine”. Una selezione on line dei suoi candidati al Parlamento. Si sceglierà tra 1.400 militanti del M5S, con votazioni da lunedì 3 dicembre a giovedì 6 dicembre dalle 10.00 alle 17.00 di ogni giorno (con l’eccezione di martedì, quando si voterà fino alle 21 e giovedì, con ‘urne’ aperte fino alle 20). La scelta della vecchia politica, della conservazione dello status quo, anzi dell’arretramento secondo alcuni al 1994, potrebbe essere un assist per Grillo. Il rottamatore Renzi con il suo modo semplice di comunicare, esente da ogni volgarità e becero lessico grillino, la sua sfida ai dinosauri della politica e alla posizioni granitiche di potere, ha scaldato il cuore di molti delusi della politica. Un elettorato che, dopo la sconfitta del sindaco di Firenze, non voterà Bersani, né Berlusconi, né Casini, né Monti, ma che si orienterà sul “voto di protesta”, e che, a meno che il PD non metta in pratica concretamente il rinnovamento, contribuirà a far lievitare ancora di più il Movimento a 5 stelle nei sondaggi.

La sfida al futuro
La vera sfida che dovrà affrontare ora Bersani è quella di non lasciare andare sprecato l’effetto Renzi, quel ritrovato entusiasmo per la politica che il sindaco ha saputo canalizzare intorno a sé, e che ha riacceso un partito, il PD, a toni grigi. Per prima cosa bisogna soprattutto ricucire quel renziano “noi e voi” trapelato in monosillabi anche nelle prime battute, dedicate agli onori del vincitore, del discorso della sconfitta di Matteo Renzi: “Vorrei che qui da stasera tutti insieme potessimo fargli un imbocca al lupo, per la sfida che li…lo…ci attende.” Un noi democratico da rafforzare, prendendo coscienza che il vento del cambiamento, se non si può fermare con le mani, non si può fare neanche con il 60% di preferenze.

Erika Farese

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