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POLITICA

Nardone tra lotte, conquiste e delusioni romane: ‘Il futuro del Sannio? Idrogeno, riuso e cibo’

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Poche settimane fa a rendergli omaggio è stato il Consiglio d’Europa, organizzazione che ha sede a Strasburgo e che riunisce 46 nazioni europee. Una citazione in “Landscape mosaics”, volume sui mosaici paesaggistici, per il suo “The Manifesto for the beauty of rural landscapes in Campania”.

Per il suo lavoro di una vita, per il suo impegno nelle istituzioni e per l’attività che va avanti con Futuridea – riporta la rivista InfinitimondiCarmine Nardone è stato individuato dal Consiglio d’Europa come riferimento fondamentale nel nostro Paese per ogni discorso sul paesaggio, sulla sua tutela e valorizzazione. Un riconoscimento alla carriera, si direbbe in altri contesti. Ma di appendere le passioni al chiodo l’ex presidente della Provincia sannita proprio non ne ha voglia. Quando lo incontriamo, il suo pensiero è al prossimo appuntamento: “Domani al Musa verranno gli allievi dell’istituto professionale Luigi Palmieri, istituto che mi è caro perché sono un diplomato meccanico-agrario di quella scuola. Parleremo di innovazione, di visione del futuro da praticare nel presente. E’ una citazione di Aldo Moro, questa”.

Lei è stato tra i primi a parlare di innovazione, qui nel Sannio. Nessuna strada spianata, però: se ricordiamo anche la politica mostrava un certo scetticismo, sbaglio?

“Assolutamente no. Ho trovato diversi ostacoli, in alcuni casi evidenti, espliciti. La realtà è che le istituzioni sovranazionali erano già sul punto, i partiti meno. Le faccio un esempio: il riuso – del cemento inutilizzato, dei capannoni, degli spazi abbandonati – era un auspicio dell’Agenzia Europea per il Paesaggio ma poco presente tra gli amministratori. Ma è così che sono nati il Musa, il Geobiolab e via dicendo. Non erano invenzioni del sottoscritto ma un riferimento ai temi della sostenibilità. Probabilmente avevo una maggiore sensibilità: la prima pubblicazione in Italia di James O’Connor è stata nel 1981 su ‘Agricoltura e Società’, rivista trimestrale che dirigevo. La politica era e resta in ritardo. Ancora oggi manca la giusta consapevolezza della fase epocale che stiamo attraversando”.

Perché?

“Continua a correre un virus dell’irrazionalità che non è casuale ma è indotto. Un rapporto del Censis ci dice che in Italia esistono 4 milioni di terrapiattisti. Nel paese di Galileo Galilei? C’è una cultura antiscientifica che fa spavento. Posso fare una considerazione sui negazionisti dei cambiamenti climatici?”.

Prego

“Esistono piattaforme e algoritmi che ti consentono di capire cosa sta succedendo. Bene: soltanto dal primo gennaio di quest’anno sono 4 milioni e mezzo gli ettari di terra diventati non più fertili. Una cifra simile riguarda l’erosione del suolo e poi ci sono foreste andate distrutte. In neanche sei mesi, nel Mondo è andata persa una superficie agraria pari a quella dell’Italia. Il risultato è una corsa sfrenata ad accaparrarsi i terreni: li compra anche Bill Gates, oltre a multinazionali e fondi di investimento. Il tutto avviene con lo sradicamento delle comunità rurali preesistenti e il conseguente aumento dei flussi migratori. Ecco, questi sono gli effetti dei cambiamenti climatici. Se la temperatura media aumenta di 1 o 2 gradi inizia l’evaporazione delle acque in maniera più violenta e ti ritrovi contemporaneamente siccità e temporali. Cambia tutto. La consapevolezza tecnologica per affrontare questa sfida c’è, manca quella politica”.

Prima parlava di riuso e riqualificazione degli spazi abbandonati, mi sono venute in mente le immagini degli atti vandalici a Villa dei Papi. A lei che effetto hanno fatto?

“Villa dei Papi è la testimonianza di ciò che significa cultura istituzionale. Con il protocollo di legalità che avevamo in Provincia, riuscimmo – insieme al Prefetto dell’epoca – a farci un’idea dei soggetti interessati all’acquisto della Villa, messa in vendita dalla Banca di Novara. Si trattava di imprenditori “grigi”, diciamola così. E allora, nonostante il diverso colore politico di Provincia, guidata dal centrosinistra e Comune, dove governava il centrodestra, decidemmo di utilizzare il diritto di prelazione. Dopodiché Viespoli, allora Sottosegretario, riuscì a far insediare l’Isfol e noi la sede del Marsec, la cui antenna – realizzata dall’artista Salvatore Paladino – suscitò l’interesse della Nasa che la utilizzò sulla propria homepage perché primo esempio del connubio tra arte e tecnologia. Questo per dire: non solo gli atti vandalici, anche saperla abbandonata e incustodita faceva male. Ma proprio l’altro giorno ho incontrato il sindaco Mastella, mi ha detto che ci sono dei finanziamenti. Bene, ma il tema non è solo riqualificarla, il punto è destinarla a una funzione”.

L’impegno sui temi dell’innovazione e dello sviluppo sostenibile è stata una naturale evoluzione del suo impegno politico, ci manca il passaggio precedente: come e quando lo studioso dell’agricoltura è diventato un politico?

“La mia prima candidatura è stata a Ottaviano, contro quel ‘sistema’. Conducemmo allora una battaglia per l’acqua e ricordo che la sera prima delle elezioni passò un carretto: “Loro vi offrono l’acqua, noi vi diamo il vino” – gridavano. Non prendemmo neanche un voto. Ma ricordo anche eventi tragici, come l’uccisione del segretario della sezione del Pci, il suo cognome era Beneventano. Poi ho sempre rifiutato proposte di candidature: non ci tenevo a entrare in politica, volevo portare avanti il mio percorso di studio in agricoltura. Fu Costantino Boffa, nel 1987,  a insistere per una mia candidatura alle politiche. Ma accettai solo dopo una telefonata di Marcello Stefanini, che mi garantì che mi sarei occupato di agricoltura”.

Dodici anni in Parlamento, dieci anni alla guida della Rocca: quale delle due esperienze ricorda con più piacere?

“Quella alla Rocca. Per la Provincia arrivai a litigare furiosamente con Giuliano Amato, al tempo ministro dell’Interno. Una vergogna il suo ostracismo verso il pubblico”.

Racconti

“Se un’azienda privata fa un brevetto può esercitare il suo diritto di esclusiva senza limiti, anche oltre i confini nazionali. Perché un ente pubblico no? Il Marsec è stato ucciso così, con l’articolo 13 di una legge del luglio 2006 voluta da gente di sinistra. Con quel provvedimento, una società in house non poteva più esercitare oltre i confini dell’ente proprietario: significava che l’operatività dei nostri satelliti doveva essere circoscritta alla provincia di Benevento. Una assurdità. Noi lavoravamo con la Nasa, con Israele. L’inizio della fine”.

La politica dà, la politica toglie. Passiamo alle occasioni perse: è stata maggiore la delusione per la mancata nomina a ministro o per la mancata elezione a sindaco?

“La candidatura a sindaco di Benevento fu un atto di ingenuità. L’estremo tentativo di tenere in vita il progetto Mib (Mediterranean Institute of Biotechnology), un polo di eccellenza internazionale per la ricerca di base, da applicare nella biotecnologia. Un progetto frutto di una grande collaborazione istituzionale ma la cui realizzazione necessitava di uno strumento, ovvero la costituzione di una fondazione partecipata da Provincia, Università e Comune. Ma non se ne faceva nulla e per salvare il progetto mi candidai a sindaco. Un atto di ingenuità, ripeto. Ne ho pagato le conseguenze. Ma non fu trasformismo, nessuno mi chiese di diventare di destra né chiesi io ad altri di diventare di sinistra. C’era la volontà di portare a palazzo Mosti una cultura istituzionale che qualcosa di buono pure aveva prodotto per il territorio”.

E la mancata nomina a ministro?

“Il rammarico non è per il fatto di non essere diventato ministro, ma per le motivazioni che determinarono quella scelta. Per chi fu a porre il veto sul mio nome”.

Ovvero?

“Verrà il tempo per parlarne. Ma pagai per due battaglie: quella sulla vicenda Federconsorzi e quella sulla truffa del latte. Diedero fastidio e qualcuno, alla vigilia della nascita del governo Prodi, fece pressioni per far depennare il mio nome dalla lista dei ministri. La scusa fu che toccava a un senatore, il ministero, e non a un deputato”.

L’iniziativa di cui è più orgoglioso?

“Una cosa minima. Quando fui eletto c’erano i giardini della Rocca abbandonati. Grazie anche alla solidarietà dell’Istituto Sperimentale della Frutticultura decidemmo di arricchire il giardino con le biodiversità e di affidarlo a una cooperativa di soggetti particolarmente vulnerabili. Un’esperienza formidabile. Negli anni tanti rapporti “politici” sono venuti meno, quello con quelle persone mai. Una di loro, Giovanni Repola, proprio di recente mi ha fatto un regalo bellissimo, un orologio. Lui e Robertina Zollo, a cui sono rimasto legatissimo”.

E il rammarico più grande?

“Lasciamo perdere”.

Qualcosa che proprio l’ha fatta infuriare?

“A me danno fastidio i finti innamorati del Sannio. Quelli che si riempiono la bocca a parlare di territorio e poi dinanzi a problematiche e disastri fanno finta di non vedere”.

Per tornare all’attualità, si parla di nuovo di Regione “matrigna” nei confronti del Sannio. Nei suoi dieci anni alla Provincia – a palazzo Santa Lucia c’era Bassolino – si è mai sentito “figliastro” e non figlio?

“Con Bassolino c’è stato un lungo rapporto di collaborazione e sinergia. Un momento di conflitto, però, c’è stato e probabilmente è stato anche il motivo per cui all’ultimo congresso dei Democratici di Sinistra mi ritrovai il gruppo dirigente del partito contro. Parliamo del progetto Più Europa: non so chi consigliò a Bassolino di dedicare i finanziamenti soltanto ai comuni con una popolazione superiore ai 50 mila abitanti. Una impostazione che tagliò fuori tutti i comuni del Sannio, fatta eccezione per la Città capoluogo. Per riequilibrare tentai – ma senza risultato – di inserire anche le Province. La realtà è che ha ragione chi parla di due Campanie”.

L’ipotesi “Molisannio”, però, non l’ha mai convinta: o ricordo male?

“Non ricorda che promossi l’accordo tra le quattro province della dorsale appenninica: Benevento, Avellino, Foggia e Campobasso. Ritenevo fondamentale adottare una strategia di sviluppo comune. Furono le tre Regioni interessate a non convergere, bloccando tutto. Resto della mia idea: non serve una nuova Regione ma occorre una visione unica per queste aree. Per fare cosa? Per la questione energetica, per dirne una. Non si può sopportare una produzione di energia che non produce vantaggi per il territorio”.

Chiudiamo con un consiglio per coloro che ricoprono responsabilità di governo nel Sannio: su cosa occorrerebbe puntare?

“Una domanda difficile, la risposta può sembrare un atto di superbia da parte mia. Perché resto convinto che il futuro sia l’idrogeno. E noi abbiamo le potenzialità per diventare la prima provincia d’Italia per produzione e distribuzione di idrogeno verde, in coerenza con gli obiettivi dell’Unione Europea. E poi punterei sul riuso di tutti gli spazi abbandonati, investendo su una cultura paesaggistica concreta e sulla produzione di cibo da coltivazioni in ambiente confinato”.

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