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CULTURA

Le notti del Kronos, la dance su Rds, l’Umbria Jazz. Salvatore Stallone e i suoi cinquant’anni alla consolle: “Il clubbing di oggi? Il fantasma di quello di ieri”

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L’anno è il 1969. I Led Zeppelin pubblicano il loro secondo album, un capolavoro che troverete in tutte le classifiche delle migliori produzioni del secolo. Contiene brani indimenticabili come Whole Lotta Love, Heartbreaker, Thank You. Pezzi sublimati dalla voce unica e irripetibile di Robert Plant. Ma c’è pure una traccia strumentale, dominata dai colpi alla batteria di John Bonham. Si intitola Moby Dick, è molto più di una canzone. Non per niente è ispirata a un romanzo uscito cento anni prima dalla penna di uno scrittore di New York, Herman Melville. Ma Moby Dick è anche il punto di partenza della nostra storia della domenica. Perchè pochi mesi dopo la sua pubblicazione, come un meteorite colpì un bambino di otto anni, trasformandolo in uno dei talenti musicali più apprezzati e riconosciuti in Italia e non soltanto in Italia. E noi sanniti possiamo vantarcene perché le selezioni di Dj Salvatore Stallone hanno fatto da colonna sonore alle nostre notti più belle. Ma una canzone va ascoltata sin dalle prime note. E questa – lo dicevamo – comincia con l’inverno del 1969. Era una domenica soleggiata di dicembre, ero in cameretta a giocare con il Meccano. Dal soggiorno proveniva una musica che aveva qualcosa di magico. L’effetto fu quello della fiaba del pifferaio… Devo ringraziare mio padre perché era lui ad ascoltarla. E il lunedì, di ritorno da scuola, cominciai ad ascoltare tutti i suoi vinili – circa cinquecento – per cercare quella magia. La trovai: Moby Dick, avevo 8 anni e cambiò tutto”.

Dalla musica alla consolle: la scelta di diventare Dj?

Non c’è stato un momento in cui ho dovuto scegliere. Anche perché non sapevo di essere un Dj: ero un ragazzino che sapeva manovrare l’attrezzatura utile ad ascoltare la musica. E questo a Montesarchio, in un piccolo paesino di provincia, nell’Appennino. Parliamo del 1974, tempi in cui non c’erano le informazioni che ci sono oggi. La mia tecnica era istintiva, andavo avanti senza guide o riferimento. Nessuno mi ha mai spiegato come fare, cosa fare. Facevo e basta”.

La tua prima serata?

Involontariamente fui coinvolto dalla vicina di casa, Eva, che doveva festeggiare i suoi 18 anni. Chiese a mio padre, in prestito, l’impianto suono per la musica. Mio padre acconsentì, ma ad una sola condizione: che fossi io a utilizzare l’impianto. Una cosa tipo jukebox: loro chiedevano la canzone e io li accontentavo. Poi finalmente, annoiati, smisero. E cominciai a scegliere io quale musica fargli ascoltare. Iniziai con Smoke on the water dei Deep Purple e me li ritrovai tutti a ballare. E il party iniziò per davvero”.

Nel Sannio, invece, abbiamo cominciato a conoscerti con il locale di Franco Bellini, a Montesarchio

Sì, in effetti il disco club, inizialmente, era di Franco C e Franco B, il Dj era Carlo Fedele. Mi contattarono una prima volta per una consulenza sull’impianto – all’epoca penso fossi il solo ad avere accesso a un impianto suono decente -. Poi, dopo qualche anno, Franco B – rimasto il solo proprietario – chiese a mio padre (ero ancora minorenne) il permesso di farmi lavorare come Dj. Dopo un po’, arriviamo agli inizi degli anni Ottanta, fondai il Manhattan, locale con oltre ottocento posti”.

Sblocchiamo altri due ricordi collettivi indelebili: le serate al Kronos e la tua esperienza con Rds

Il Kronos per anni è stato il centro della dance in Campania. E forse anche di più. Lo stesso incontro con Rds nasce lì. Avevano organizzato al Kronos una serata per festeggiare l’accensione di nuove frequenze radio in zona. Antonio D, uno dei proprietari del locale, diede a Rds la possibilità di gestire così la serata: le prime due ore con i personaggi Rds e il resto con noi della struttura e dunque la programmazione ordinaria. E dunque io in console: c’era Dr Felix, mi ascoltò e rimase favorevolmente colpito. Diventammo subito molto amici e anche con il supporto di Marco M si aprirono per me le porte di un programma dance. Sempre in quel periodo, tra l’altro, fui contattato da un altro network di Milano: mi volevano con Dj per le serate di Fiorello. Ma non mi interessava”.

Il momento in cui hai compreso che la tua passione sarebbe diventata la tua professione?

Un episodio mi fece capire quanto fosse importante e apprezzata la mia opera. Una mia grandissima amica, ballerina e artista di fama internazionale, Nicoletta, mi chiese di editare e mixare un brano per adattarlo alla scena di un suo spettacolo. Ci lavorai tantissimo, riuscendo a trasformare la durata e l’intensità del brano scelto. Guardando lo spettacolo, poi, mi resi conto del grande supporto all’evento dato da quella mia opera”.

Sei considerato un riferimento assoluto nella scena underground italiana, dovessi chiederti le tre tappe fondamentali della tua carriera?

La cosa più difficile per un Dj, in particolar modo negli anni ’70 e ’80, era procurarsi buona musica. Scegliere di andare a Londra per procurarmi la musica da proporre è stata la prima tappa fondamentale per il mio lavoro. La seconda fu l’iscrizione a un corso di campionamento dei suoni, sempre agli inizi degli anni Ottanta: a tenere quel corso era Giulio Clementi dell’Akai. Terza tappa fondamentale fu andare ad ascoltare e a conoscere il Maestro Antonio Infantino, a Solopaca per la Festa dell’Uva. Da quel momento è nato un nuovo approccio al dancefloor nella mia mente. E questo grazie al modo in cui Antonio Infantino collocava la ritmica e armonizzava la sua musica”.

Cinquant’anni di carriera: la serata più bella?

Quella per i diciotto anni di Silvia Stallone”.

Il festival a Perugia, il Polyritmia: quando si pensa a un dj difficilmente immagini il jazz, come sei riuscito a coniugare anime così diverse?

Il jazz è la musica più completa e libera che esista. E il sogno di qualsiasi Dj è far ballare alla gente la musica che lui ama. In qualsiasi posto, con una o mille persone nel dancefloor, sarò sempre musicalmente me stesso. E’ stato così che mi sono guadagnato l’Umbria Jazz: ero vicino Perugia, a un parti intitolato ‘Souldrop’, ad ascoltarmi un grande musicista e organizzatore del Festival. La mia musica gli piacque così tanto che mi volle al party privato per i 40 anni dell’Umbria Jazz”.

La collaborazione di cui vai più fiero?

Con Antonio Infantino. ‘La danza delle Api’ per la Biennale di Venezia ‘Fare Mondi’.

Lo stato di salute della scena musicale sannita?

Non saprei dirti. Non sono uno che ama le uscite serali, fatta eccezione per qualche buon ristorante. Ma penso che rispecchi quella del mondo della notte di oggi a livello globale. Un mondo abitato, per lo più, da esibizionisti che grazie alla tecnologia riescono a sembrare dei Dj ma senza esserlo. Il clubbing di oggi è solo un fantasma di quello che era ieri. La pista da ballo si riempie a prescindere da ciò che suoni, tanto la gente non è lì per la musica ma per filmarsi a vicenda. Una realtà imbarazzante”.

E i tuoi progetti futuri?

Proprio per i motivi che ti esponevo prima voglio continuare con il Party Itinerante che da tre anni porto avanti con il mio amico Jean. Si chiama ‘Blindato’ proprio perché centrale è la musica e l’utilizzo dei telefonini per riprendere la situazione in dancefloor è vietato. La verità? Sono molto soddisfatto per come sta andando. Un nuovo inizio”.

Come li festeggiamo i 50 anni di carriera?
“Sicuramente in consolle. E con qualche uscita discografica che sto terminando con il mio gruppo 6 L 6 & Co”.

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