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CULTURA

Premio Strega e la suggestione della finale a Benevento. Un sogno? Ma ci si può lavorare

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Calato da poco il sipario sull’incontro con i dodici finalisti del Premio Strega e sull’annessa proclamazione dei magnifici sette (per la prima volta nella storia del premio), appuntamento di indiscutibile fascinazione in grado di rievocare deliziose suggestioni artistiche celate tra le pieghe del tempo, è opportuno concedersi una parentesi contemplativa in merito alla portata, al prestigio e alle potenzialità offerte in dono dall’evento.

L’ultima edizione del principale riconoscimento letterario nazionale, capace, come noto, di annoverare tra le schiere dei propri vincitori le più note e autorevoli firme del panorama autoriale italiano, instaurando un indissolubile legame con il nostro territorio, ha ribadito a gran voce, semmai ce ne fosse stato bisogno, quanto Benevento abbia tutte le carte in regola per rivelarsi un palcoscenico di assoluto valore e, al contempo, quanto simili manifestazioni possano rappresentare il miglior veicolo promozionale per l’intera comunità.

Quante realtà della penisola, d’altronde, possono permettersi il lusso di declinare in maniera così sapiente e spontanea vena letteraria e patrimonio storico artistico? Chi altro può vantarsi di esaltare un tale connubio semplicemente sfoggiando le proprie vestigia e tendendo l’orecchio all’eco del passato? Quanti ancora, seppur per un ridotto intervallo di tempo, riescono a diventare la culla delle future colonne portanti della narrativa contemporanea ammiccando alla platea con la propria monumentale bellezza?

Il Premio Strega non potrà mai essere inteso solo come un’onorificenza, per quanto di assoluto spessore, ma anche come un inno alle nostre radici, al senso d’orgoglio, allo spirito di appartenenza e al bagaglio di tradizioni del popolo sannita, poiché capace di donare alla città quel prestigio, quella visibilità, quell’attenzione di cui necessita in ottica rilancio e valorizzazione, e che, tra l’altro, meriterebbe legittimamente, come dimostrato dai sinceri e appassionati complimenti ricevuti dagli special guest della serata. Tuttavia, affinché questo discorso non scada nella più stucchevole retorica, sarebbe opportuno andare oltre il mero evento fine a se stesso e vivo il tempo di una giornata, quasi come le rose di deandreiana memoria, dandogli seguito e continuità.

L’ideale, come auspicato dal primo cittadino Clemente Mastella e detto anche dal direttore di Rai nonché conduttore della kermesse Stefano Coletta, sarebbe poter trasferire la finale dalla classica location del ninfeo romano di Villa Giulia alla splendida cornice del Teatro Romano, un autentico sogno ad occhi aperti che calamiterebbe ulteriormente sul capoluogo sannita interesse, telecamere e luci della ribalta, con inestimabile ricaduta sotto ogni punto di vista. Certo, ad oggi si tratta per lo più di una suggestione, tutt’altro che accostabile ad una parvenza di ipotesi, ma chissà che anche un semplice sussurro non riesca a far breccia nella visione dei promotori della manifestazione, alimentando la tenue fiammella della speranza.

In tal senso, parrebbe doveroso non limitarsi ad implementare i rapporti con la macchina organizzativa del premio, che resta pur sempre un passaggio chiave, ma provare, in aggiunta, a creare ex novo una rete sinergica locale che si faccia carico di allestire una serie di iniziative parallele, magari coinvolgendo e richiamando tra le mura longobarde gli stessi protagonisti del movimento letterario italico, dando così vita ad un fervente dibattito culturale che allarghi mentalità e orizzonti e faccia da traino per una crescita collettiva, senza chiedersi più di tanto sei si tratti di pura utopia, ambiziose velleità o obiettivo concreto.

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