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Futuro della città tra programmi e bisogni dei cittadini: torna puntuale il mantra della campagna elettorale

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Ritorna puntuale ad ogni appuntamento elettorale, nei discorsi di chi si appresta a costruire la fiducia finalizzata al consenso, il concetto di “progetto di città”, il programma con cui si tenta di capitalizzare lo sforzo profuso in vista delle urne.

Tutti lo invocano, tutti provano a redigerlo salvo poi non realizzarlo o realizzarlo solo in parte per chi ha il privilegio del governo della città. Quasi come un mantra, il progetto di città diventa, almeno sulla carta, la lettera di presentazione dei candidati agli elettori, la trama su cui tessere la campagna elettorale, la prospettiva di fiducia degli elettori stessi.

E questa tornata offre spunti formidabili per tracciare una direzione di quello che può essere il futuro di una città come Benevento, grazie alla concomitanza delle molteplici risorse economiche che arriveranno a partire da quelle del Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza fino a quelle della prossima programmazione europea.

Chi si troverà ad amministrare avrà a disposizione strumenti straordinari per dare quello slancio necessario alla crescita e allo sviluppo dei territori da tanto atteso.

Tutto sta nel come usarli, nel saper decidere quali priorità mettere sul tavolo, nel saper pianificare e progettare le risorse, avendo già un canovaccio da seguire stabilito dall’Europa in termini di piani strategici per la rinascita e di criteri da adottare. Ma sopra ogni cosa, tutto sta nell’idea di crescita e di sviluppo che si vuole per la città: un’idea che non può prescindere dalle sue caratteristiche ontologiche e antropologiche.

In via teorica per i prossimi cinque anni gli amministratori potrebbero avere vita più facile rispetto a quelli precedenti che, invece, hanno dovuto fare i conti con la progressiva riduzione della spesa, con la costante “spending rieview” susseguitasi nell’ultimo decennio e oltre.

Ma non basta adottare un paradigma spiccatamente contabile per definire il tipo di città che si vuole costruire a partire, chiaramente, da quello che la storia ha dato in eredità alla popolazione.

Perché la città è anche memoria, ovvero, come direbbe Calvino, “la città è fatta di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, nelle aste delle bandiere”: perché la città è fatta di segni e simboli che ripercorrono e riproducono costantemente l’identità dei suoi abitanti, nella doppia veste, e spesso separata, di chi la vive come casa e di chi la vive in maniera funzionale per motivi di lavoro. E’ luogo, però, soprattutto dell’abitare, inteso come complesso di relazioni tra gli uomini e tra gli uomini e lo spazio fisico.

La città intesa, cioè, come comunità vivente, con i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue ambizioni e le sue disperazioni, spesso diversi e divisivi e che richiedono, pertanto, uno sforzo importante affinché, invece, quelle necessità siano soddisfatte in maniera equa e quanto più inclusiva possibile.

Solo in questo modo può esserci un vero senso di appartenenza che diventa anche motore di azioni spontanee di buon governo da parte di tutti i cittadini e non soltanto da parte di chi ne ha ottenuto mandato.

E’, dunque, in virtù del significato antico del termine città come progetto di un’identità tra città e cittadino e del suo implicito riferimento all’inclusività, intesa come orizzonte prospettico per non lasciare indietro nessuno e nessun bisogno insoddisfatto, che va costruito un progetto di città che si traduca realmente poi in spazi fisici condivisi e di senso rispetto a quella comunità.

In un tempo in cui a predominare é la globalizzazione, che spesso si trasforma in iperindividualismo, anonimato, sfilacciamento relazionale, omologazione degli spazi, una città che si definisce media o medio-piccola, come è Benevento, può ancora sorreggersi sull’idea antica di città, può ancora vantare un raggio d’azione misurato sui bisogni e sui desideri di chi la abita, può ancora essere un microcosmo protettivo e rassicurante e può valorizzare le richieste che provengono dal contesto globalizzato in cui, pur tuttavia è inserita, senza il rischio di andare oltre misura.

A fronte di una costante e unanime invocazione a cambiare rotta rispetto al trend mortificante della desertificazione sociale, della disoccupazione, dell’isolamento territoriale, della carenza di servizi, servono competenza e responsabilità, classi dirigenti adeguate e una programmazione realistica. Servono spirito di servizio e abnegazione verso i cittadini che ripongono prospettive e speranze in chi viene chiamato a rappresentarli. 

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