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Scuola

I genitori replicano alla Gilda: ‘Funzione educativa resta anche nella refezione’

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Alcuni genitori degli alunni delle scuole di Benevento hanno replicato, attraverso un comunicato stampa, alla comunicazione sindacale della Gilda in merito al ruolo dei docenti durante il momento della ricreazione.

I genitori ricorrenti, riprendendo la sentenza della Corte di Appello di Torino n. 1049/16 e l’art. 21 del CCNL del comparto scuola, si pongono l’obiettivo di “ristabilire alcune verità incontrovertibili” e ribadiscono il ruolo dell’assistenza educativa degli insegnanti nel tempo della mensa.

Di seguito il comunicato dei genitori:

“Con il comunicato sindacale a firma di Colomba Donnarumma, la Federazione Gilda-Unams di Benevento ha voluto sottolineare che l’attività di insegnamento è contrattualmente una prestazione “d’opera intellettuale infungibile” che si esplica attraverso una “funzione docente” ed una “attività di insegnamento” (artt. 26, 28 e 29 CCNL) e che solo sul restante personale scolastico incombe lo svolgimento di “compiti” e di “mansioni”.

Il comunicato precisa che nel tempo mensa, a fronte della fruizione (gratuita, aggiungiamo noi) del pasto, sugli insegnanti graverebbe unicamente l’obbligo della assistenza educativa (art. 21 c.3), mentre nel comma 10 dell’art. 28 si parla genericamente di “ assistenza “ durante il servizio mensa.

Il comunicato, al fine di evitare qualsiasi tipo di responsabilità, mette in guardia il corpo docente, avvertendo che sulla base di un’interpretazione quanto mai estensiva, verrebbe fatta ricadere sugli insegnanti anche … “l’assistenza materiale ai discenti presenti nel refettorio”, fatto che, ad avviso di Gilda-Unams, farebbe venire meno “l’infungibilità dell’attività di insegnamento e quindi il nesso sinallagmatico della prestazione contrattuale del docente”.

Ora, fermo restando che al corpo docente, per effetto dell’introduzione in refettorio dei pasti domestici, non si chiede l’espletamento di alcuna attività di somministrazione di cibi e bevande, non possiamo che stigmatizzare il contenuto del comunicato per i seguenti motivi.

Prima ancora della sentenza della Corte di Appello di Torino n. 1049/16, l’art. 21 del CCNL del comparto scuola prevede che “gli insegnanti assegnati a classi funzionanti a tempo pieno e a classi che svolgano un orario settimanale delle attività didattiche che prevede rientri pomeridiani” sono “tenuti ad effettuare l’assistenza educativa alla mensa nell’ambito dell’orario di insegnamento”.

Ci permettiamo di ricordare che il tempo mensa è tempo scuola e non solo una pausa mensa durante la quale si consuma un pasto, chi pagando, chi gratuitamente.

La stessa Corte di Appello, con espresso richiamo alla circolare MIUR n. 29/04 ha testualmente sancito che “Coerentemente con tale impostazione al punto 2.3 della Circolare viene, poi, precisato (v. “p.11.) che i servizi di mensa sono necessari a garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche e vengono erogati utilizzando l’assistenza “educativa” (N.B.: e non una mera attività di “sorveglianza”) del personale docente che si intende riferita anche al tempo riservato al dopo mensa”.

L’art. 26 del CCNL , relativo alla funzione del docente, stabilisce al suo primo comma che “La funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni, sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell’istruzione.

Il Tribunale di Torino, con le molteplici ordinanze dell’estate 2016, aveva chiaramente statuito quanto segue: “2.3 Sulla prima questione, questo giudice condivide pienamente l’impostazione contenuta nella sentenza della Corte d’Appello di Torino del 21.6.16, laddove evidenzia che il contenuto del diritto allo studio si è modificato nel corso del tempo e non può essere ricondotto al solo impartire (da parte dei docenti) e ricevere (da parte degli studenti) nozioni e cognizioni.

La netta evoluzione di questo diritto si coglie – prima ancora che nella Circolare del Ministero dell’Istruzione del 5 marzo 2004 (richiamata dalla Corte d’Appello e dall’odierno ricorrente) – nel d.lgs. 19 febbraio 2004 n. 59, a cui si riferiscono le istruzioni e definizioni della Circolare ministeriale.

L’art. 5 del decreto definisce in questi ampi termini le finalità della scuola primaria: “La scuola primaria, accogliendo e valorizzando le diversità individuali, ivi comprese quelle derivanti dalle disabilita’, promuove, nel rispetto delle diversità individuali, lo sviluppo della personalità, ed ha il fine di far acquisire e sviluppare le conoscenze e le abilità di base, … di valorizzare le capacità relazionali e di orientamento nello spazio e nel tempo, di educare ai principi fondamentali della convivenza civile.”

… omissis …

Si sono sottolineati, nel riportare il testo normativo, i passaggi da cui più chiaramente si evince la irriducibilità dell’istruzione (e della funzione scolastica) al mero ruolo di trasmissione di nozioni, e da cui si trae, per converso, la promozione dell’attività educativa attraverso la valorizzazione delle diversità individuali, l’attenzione ai momenti relazionali, l’importanza di educare al rispetto dei principi di convivenza civile.

Se è vero che (anche) questi sono i contenuti dell’istruzione inferiore, ben si comprende la ragione per cui la Circolare del Ministero dell’Istruzione del 5 marzo 2004 ha sottolineato che i tre segmenti orari del “monte ore obbligatorio”, del “monte ore facoltativo” e dell’ “orario riservato all’erogazione del servizio di mensa e di dopo mensa” “rappresentano il tempo complessivo di erogazione del servizio scolastico. Essi non vanno considerati e progettati separatamente, ma concorrono a costituire un modello unitario del processo educativo, da definire nel Piano dell’offerta formativa”.

Il c.d. “tempo mensa” rappresenta infatti un essenziale momento di condivisione, di socializzazione, di emersione e valorizzazione delle personalità individuali, oltre che di confronto degli studenti con i limiti e le regole che derivano dal rispetto degli altri e dalla civile convivenza.

In piena coerenza con questa impostazione, il d.lgs. 59/2004 prevede che l’organico degli istituti scolastici debba essere determinato non solo per garantire le attività educative e didattiche di cui ai commi 1° e 2° degli art. 7 e 9 (rispettivamente dettati per la scuola primaria e per quella secondaria di primo grado); ma anche “per garantire l’assistenza educativa del personale docente nel tempo eventualmente dedicato alla mensa e al dopo mensa”.

E la già ricordata Circolare del Ministero dell’Istruzione ribadisce (ulteriormente rendendo palese la finalità istruttivo-educativa del tempo mensa) che “I servizi di mensa, necessari per garantire lo svolgimento delle attività educative e didattiche … vengono erogati utilizzando l’assistenza educativa del personale docente, che si intende riferita anche al tempo riservato al dopo mensa”.

Ci permettiamo di sottolineare che l’interpretazione delle norme di legge, giudicate dal Gilda-Unams “quanto mai estensiva”, proviene da organi dello Stato che si pronunciano “in nome del popolo italiano”, senza alcuna vocazione eversiva o intenzione di danneggiare la categoria professionale degli insegnanti.

Ciò detto, leggiamo con amaro disappunto che il corpo docente viene presumibilmente invitato a disattendere le proprie mansioni di assistenza educativa ai minori a loro affidati, compresi tra i 6 ed i 10 anni, e che, presumibilmente si asterranno dal prestare quello che comunemente si chiama “aiuto” ai loro studenti.

Saranno, quindi, i bambini più grandi e forzuti delle classi quinte ad aiutare i compagni più piccoli ad aprire contenitori che non si aprono, svitare il tappo di una bottiglia, a prestare una forchetta o a detergere con un tovagliolo il viso di un bambino senza paura di sporcarsi le manine, anche per sottrarli al digiuno e per trasmettere ai compagni di scuola i più elementari principi di convivenza civile, prestando in questo modo quella “assistenza materiale ai discenti presenti nel refettorio” che, evidentemente sembra non competere al personale docente.

Al di là della rilevanza e della qualificazione giuridica di simili comportamenti, che i genitori si riservano di valutare ed approfondire, non passerà certamente inosservato agli occhi dei piccoli studenti l’insegnamento, l’esempio che riceveranno dai propri insegnanti, così manifestamente esposti al rischio di assumere chissà quali responsabilità.

Ovviamente …. cum grano salis.”

I genitori ricorrenti di Benevento

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