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POLITICA

La ‘primavera’ dei sindaci è lontana da Benevento

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(C’è il Parlamento del 1948 e quello del 2011, dove pure siedono esponenti sanniti: alzi la mano chi non ne coglie la differenza).
***
C’è, l’8 giugno, l’insediamento di questo nuovo consiglio comunale di Benevento venuto fuori dalle amministrative di metà maggio 2011, consiglio da ritoccare in funzione dell’indicazione del nuovo Governo locale. C’è voluto quasi un mese per convocare l’assise a palazzo Mosti e il cittadino normalmente informato non riesce a capire perché.
Vista la consolidata stampa sulle indiscrezioni, tradotta poi nei fatti, la Giunta comunale praticamente era composta il giorno della conclusione del conteggio dei voti. Personali. Subito o quasi, quindi: vista la ‘regola’ pre-elettorale di un posto ogni due eletti in Consiglio, i conti tornavano in fretta. Con l’eccezione delle quote rosa, dove neppure tanto ci si è spesi in ardire, da parte del riconfermato sindaco: cooptata l’unica donna direttamente eletta, eccezione che si ripercuote su Lealtà per Benevento e che conferma un inspiegabile potere di interdizione di Italia dei Valori, che il nocchiero transfuga di varie esperienze (ma non è il solo) e brillante gestore di sé stesso guida in modo autocratico a dispetto di risultati non esaltanti. Misteri della fede.
 

Tirare in ballo Caligola e il desiderio solo espresso di far senatore il suo cavallo è fin troppo facile. Certo, però, che si comprende in tal modo il perché delle corse individuali sulle preferenze: avulsi da ogni contesto di coalizione, i grandi collettori di voti pensano da subito, prima che si aprano le urne, al loro destino politico successivo, forti dell’incredibile automatismo che s’innesca fra la nomina ad assessore e i numeri incasellati.
Ecco il limite della Giunta che s’insedia e la (prima) fotografia del secondo mandato di Pepe: manca il contenuto politico ed il guizzo amministrativo.
Il primo – che dovrebbe favorire il rinnovamento, anche delle idee – non può certo identificarsi nelle ascendenze familiari, nella ereditarietà delle cariche, negli studi professionali, nella mobilitazione associazionistica in genere, nella monetizzazione nell’urna di pregressi impegni istituzionali, nelle parentele dirette o acquisite, eccetera eccetera eccetera eccetera… che la designazione di Giunta avalla riconoscendo la sola valenza del bacino elettorale.
Il secondo, nella rinnovata aria di primavera dei sindaci respiratasi in giro per la penisola (leggere le loro dichiarazioni mette un po’ di smarrimento: ma noi, nel Sannio, dove siamo capitati?), consegna alla città di Benevento ancora una volta un sindaco-ostaggio: delle proprie paure di autonomia e dei partiti. Di un partito.
 

C’è voluto quasi un mese, allora, soltanto per comporre il puzzle delle deleghe, soprattutto, e degli incarichi cosiddetti di sottogoverno (presidenza del Consiglio comunale, presidente e composizioni delle Commissioni consiliari), nel silenzio tombale dei protagonisti – com’era ovvio, e salvo qualche disdicevole pavoneggiarsi – e dell’opposizione, che pure paga una rappresentatività non proprio eccelsa in termini di qualità. E soprattutto di incisività, che è poi quel verso della medaglia che permette un corretto funzionamento del meccanismo democratico.
Al di là delle belle parole che sicuramente saranno spese nell’aula consiliare, quei discorsi alati che toccherà sentire e decodificare alla luce dell’ovvietà dettata dalla circostanza, si apre un quinquennio:
con un sindaco nuovamente sotto tutela, come accaduto nella passata consiliatura, i cui effetti sono stati ben visibili a tutti;
con assessori delle cui capacità di settore è lecito in avvio dubitare dal momento che la loro risaputa bravura è stata per ora solo quella di raccattare consensi;
con un Consiglio che deve far dimenticare agli occhi dei cittadini il disvalore politico da tempio dei mercanti e recuperare una sua centralità.
Ma soprattutto si comincia a governare con un occhio rivolto non già ad un presente da riempire di contenuti, ma ad un futuro da arare: in pratica, per cinque anni si potrà scommettere sul tasso di litigiosità strisciante dovuto alla lotta per la successione a Pepe – che dunque nasce già vecchio – a palazzo Mosti. Partita che sarà disputata da quel ristretto lotto di pluripremiati dai numeri (almeno tre: altrimenti perché affannarsi tanto a mettere insieme preferenze su preferenze…). Partita già giocata in fase pre-elettorale e dichiarata chiusa solo per portare a casa una vittoria certa (Pepe) piuttosto che alimentare dubbi (Iadanza, Del Vecchio).

 

 

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