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Protesta al Carcere, interviene il presidente della Camera Penale

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“Il 2 settembre, giorno della pretesa “rivolta” al Carcere di Benevento-Capodimonte, negli stessi orari in cui essa si sarebbe svolta, il nostro responsabile dell’Osservatorio Carcere era lì, per un lungo confronto richiesto al direttore dell’istituto sulle condizioni di detenzione nella fase Covid e in relazione al recente accaduto del drammatico suicidio del giovane marocchino di 34 anni, oltre che per riavviare un progetto trattamentale condiviso, sospeso a causa della pandemia. Confronto franco, che si è sviluppato nel tempo e che ha consentito proficue forme di collaborazione reciproca, nell’interesse primario dei detenuti e della difesa dei loro diritti, ponendo altresì sempre la giusta attenzione alla essenziale opera svolta dai soggetti (agenti e personale civile) protagonisti della vita carceraria.

Appare, pertanto, opportuno – scrive Domenico Russo, presidente della Camera Penale di Benevento – fare un po’ di chiarezza, detto innanzitutto che va la massima solidarietà agli agenti feriti in occasione dell’ultimo episodio occorso.

Spiace notare come le vicende relative al carcere vengano strumentalizzate e molto spesso ciò avviene da parte di chi non conosce a fondo la vastità e problematicità della tematica penitenziaria, nonché la complessità delle questioni che, ormai da anni, interessano l’esperienza detentiva nel nostro Paese.

Dal confronto con il direttore dell’istituto penitenziario emergeva che in relazione alla rimodulazione della gestione del reparto Alta Sicurezza, avvenuta sulla base di precise indicazioni legislative e del DAP, i detenuti fossero stati messi al corrente delle ragioni che avevano condotto a tale scelta e che alcuna forma di rivolta ne era scaturita. La protesta civile manifestata con la lettera del detenuto degli inizi del mese di agosto incanalava la legittima rivendicazione sui binari della politica, con l’indirizzamento della stessa ad un esponente dei Radicali, sempre attenti a raccogliere tale tipo di richieste e a farne leva per proposte di riforma che sono essenziali in un Paese che voglia dirsi compiutamente democratico.

Emergeva altresì la problematica contingente dei due detenuti che praticavano forme di autolesionismo e che erano tenuti in costante osservazione da parte dei sanitari della struttura e degli operatori giuridico-pedagogici. Episodio totalmente sganciato era stato quello del suicidio del giovane detenuto marocchino, rispetto al quale non erano emersi particolari segni di allarme nelle giornate che avevano preceduto il tragico gesto; drammatico episodio che concerne una serie nota e ben più ampia di problemi collegati alla vita nelle carceri.

L’ultimo episodio dell’incendio della cella da parte di due detenuti, con il conseguente ferimento di alcuni agenti di polizia penitenziaria, sarebbe stato determinato – a quanto pare – da un trasferimento interno di cella che avrebbe condotto alla protesta violenta, su cui naturalmente farà luce, come dovuto, l’autorità giudiziaria. Le informazioni raccolte dall’amministrazione della struttura penitenziaria dicono, pertanto, di disordini esclusivamente legati a due detenuti sottoposti a trasferimento interno, peraltro (parrebbe) dagli stessi inizialmente accettato.

Al di là delle specifiche evenienze e contingenze, su cui come detto farà chiarezza l’autorità giudiziaria, in questa sede tale evento, e quello che mediaticamente ne è scaturito, deve interrogarci e pungolarci sotto un duplice profilo.

In nessun campo dell’attività umana – prosegue Russo nella nota – è sano e utile porsi al capo di “guerre di religione”, e tantomeno ciò è consigliabile quando ci si avvicina ai temi della detenzione inframuraria. Il disagio della condizione carceraria nel ns. Paese non può e non deve diventare il grimaldello della rivendicazione populista e della politica delle urne: è questo il miglior modo per non affrontare il problema, per non occuparsene, dissimulando, invece, attenzione e impegno.

D’altro canto, va prestata la massima attenzione agli accadimenti di questi giorni per supportare gli operatori del settore e rappresentare le giuste rivendicazioni dei detenuti, a patto però di non trasformare ordinari disordini in una rivolta, che la storia lontana e recente delle carceri italiane ci insegna essere ben altro. Ce lo dice, inoltre, la logica, l’esperienza e la conoscenza dei problemi carcerari; ce lo dicono il buon senso e la ragione, non accecata dal fondamentalismo.

Eventi circoscritti e contingenti come quello accaduto a Benevento dimostrano certamente un disagio e un allarme che non devono essere sottovalutati, ma oggettivamente non assumono le dimensioni abnormi che paiono emergere da alcuni comunicati stampa e dal clamore mediatico di questi giorni.  Permane di certo, a Benevento, così come nel resto del territorio nazionale, l’atavica questione della scarsità di risorse e personale di polizia penitenziaria, che svolge un ruolo essenziale nella vicenda inframuraria, aggravata in questo momento storico dall’emergenza Covid con tutte le sue implicazioni sul piano organizzativo e lavorativo. Tuttavia, la struttura residenziale sannita mantiene – soprattutto in rapporto ad altre situazioni penitenziarie – un suo equilibrio ed una consolidata situazione di buona organizzazione e assenza di criticità allarmanti.

La Camera Penale è impegnata da tempo nel fornire sostegno alle legittime rivendicazioni dei detenuti e al contempo a garantire una proficua collaborazione tra le parti per una migliore gestione del fenomeno carcere e in tal senso intende proseguire, sottovoce e con costanza, e – come adesso – con una presa di posizione pubblica che appare quanto mai opportuna e necessaria.

Condividiamo, pertanto, il recente invito del Garante Ciambriello ad andare più a fondo nella lettura dei fenomeni che caratterizzano il mondo carcere, senza dimenticare le legittime richieste degli agenti della polizia penitenziaria, ma evitando ogni strumentalizzazione tesa a far prevalere interessi esclusivi di parte. 

Crediamo che il tema della condizione carceraria e della organizzazione penitenziaria – conclude Russo – vada trattato con equilibrio e serietà, consapevoli che solo un giusto bilanciamento degli interessi in gioco e delle rispettive rivendicazioni possa condurre alla auspicata risposta alle diverse domande che lo contraddistinguono”.

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