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Scomparsa di Pasquale Casciello, il ricordo di Gianluca Aceto

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Ho scoperto attraverso internet della scomparsa di Pasquale Casciello, storico animalista di San Giorgio del Sannio. Evidentemente i social hanno anche una certa utilità, in tema di informazioni. Altrimenti chissà dopo quanto l’avrei saputo. Vi è, in questa constatazione, la decadente cifra di una sinistra che non solo non esiste più nel campo politico, ma che ha ormai abbandonato anche l’orizzonte dei valori. Perché anche la memoria, a sinistra, era un valore sacro, intendendosi qui una sacralità laica, civile, alta.

Sarebbe toccato infatti alla sinistra ricordare la biografia di un uomo che si è sempre speso perché si ostinava a vedere le cose del mondo da una certa angolatura. L’ultima candidatura, meno di cinque anni fa, al comune di Benevento. Prima ancora, alle provinciali del 2008: l’anno in cui fu palese la chiusura di un universo di discorso (in termini marcusiani), la definitiva afonìa di un campo politico autocondannatosi all’estinzione.

Credo che questa damnatio memoriae sia profondamente ingiusta, in generale. Lo è ancor di più nei confronti di un arzillo vecchietto che aveva già più di ottanta anni quando si candidò, con me e altri, alle provinciali. Il suo contributo fu per me uno spartiacque. Già da tempo mi interrogavo sul nesso tra la contraddizione classica (capitale-lavoro) e quelle che il modello dominante aveva alimentato, espungendole dall’anonimato sotto cui avevano attraversato la storia: parlo della dicotomia irrisolta tra maschile e femminile, o di quella tra ambiente e lavoro.

Fu solo la straordinaria testimonianza di un anziano signore, tuttavia, ad aprirmi un altro orizzonte. Pasquale Casciello insegnò, a me come ad altri, che gli animali sono esseri senzienti, e in quanto tali portatori di diritti. Soggetti giuridicamente rilevanti, dunque, e non solo oggetto di coccole e affetti. Ne nacque un percorso politico e istituzionale che provò ad aprire varchi lì dove c’erano solo muri di gomma. Ne sono uscito migliore. Ci scontrammo con il burocraticismo dei soggetti pubblici, con il crescente fastidio di individui sempre più attanagliati dalla crisi e dalla precarietà, con la disattenzione e – spesso – l’impreparazione degli amministratori locali.

Ottenemmo dei fondi straordinari per le sterilizzazioni dei cani randagi, girati dalla Regione all’Asl. Aprimmo un ufficio per i diritti degli animali, la cui attività sarebbe iniziata se le Province non fossero state sostanzialmente svuotate/abolite. Preparammo, insieme alle associazioni animaliste, le linee guida per la prevenzione e la riduzione del randagismo. Tenemmo vivo un dibattito su temi spesso assegnati al buon cuore di (pochi) volenterosi amministratori comunali; dando, a quel dibattito, una rilevanza provinciale.

Credo che questa sia politica, l’espressione migliore della politica: quella che guarda ai problemi per risolverne le cause, sottraendosi alla dittatura del consenso. I cani non votano, infatti, e le associazioni sono composte dalle più ampie sensibilità politiche, oltre che da un numero di volontari esiguo, in termini elettorali (benché molto qualificato).

Feci tesoro di quell’esperienza, tramutandola successivamente, da vicesindaco di Telese, nel Progetto Hachikō. Non avrei mai potuto ideare e realizzare quel percorso (anch’esso ucciso nella culla), se prima non avessi incontrato Pasquale Casciello.

Certo, lui non era un tipo facile, e spesso discuteva con le altri associazioni: si scontrava su questioni di principio e a me pareva di trovarmi in una plenaria della IV Internazionale. Ma era bello, quell’accapigliarsi: c’era la vita vera, dentro. E il disinteresse.

Sapevamo entrambi che la cosiddetta classe politico-amministrativa è inadeguata non solo a raccogliere certe sfide, ma finanche a comprenderne il reale contenuto di civiltà. Ancora nel 2014, infatti, nelle province di Benevento, Salerno, Caserta e Avellino, ogni cane rinchiuso in canile costava tre volte quanto il cane di quartiere reimmesso sul territorio del comune di Napoli. Aumentano i costi per la collettività e aumenta il numero di animali destinanti a vivere per sempre in una prigione. Una vergogna inutile e dispendiosa, le cui colpe ricadono esclusivamente sotto la responsabilità di amministratori e ASL, troppo pigri e incapaci per fare quello che la legge già prescrive.

Per questo, oggi Pasquale sarebbe contento di sapere che ci sono istituzioni pubbliche che, finalmente, provano ad affrontare per davvero il tema del randagismo. Il CRIUV, ad esempio, è la struttura pubblica di eccellenza cui è stata demandata la difficile questione. Essa nasce per volontà di Regione, Università Federico II e Istituto zooprofilattico di Portici, e mira ad estendere su base regionale gli ottimi risultati già raggiunti dall’ASL Napoli 1 Napoli Centro. Io spero che tra non molto l’Italia si accorga che in Campania, a Napoli, c’è una struttura di eccellenza che ha addirittura realizzato il cane di quartiere e sta eradicando il fenomeno del randagismo. Uno dei chiodi fissi di Pasquale Casciello, per il quale tanto ha battagliato qui nel Sannio. Io li ho visti all’opera: sono concreti e hanno le idee chiare. Hanno un ottimo dirigente e una grande squadra: sono l’esempio migliore di servizio pubblico.

A volte ci vuole tempo, perché tutti comprendano le cose buone. Il tempo che era necessario, a Pasquale, per parlare di tutto ciò che riteneva indispensabile, sempre nell’interesse degli amici animali, a partire da quelli che non hanno casa e hanno subìto la ferita (il crimine) dell’abbandono. Come il tempo che ci prendemmo alla volta di Castel Volturno, dove è lo studio di una veterinaria dal nome tedesco che ci accolse – a dire il vero – con poca grazia. Andammo con una vecchia cagnetta bisognosa di cure, e magari di essere accompagnata alla morte. Pasquale mi parlò di sindacato, politica, animali. E di tempo che passa, amore, vita. Mi disse che, davanti alle scelte difficili, non bisogna farsi vincere dalla paura o dalla logica del calcolo, e prendere la scelta della quale non ci sarebbe stata ragionevole possibilità di pentimento. Un consiglio di una devastante radicalità esistenziale, che volle dire la definitiva legittimazione a continuare su una strada battuta da pochissimi, perché troppo angusta, irta, pericolosa. Solitaria.

Seppi da allora di conoscerlo un po’ meglio. Fino a quando mi portò a Roma, a ritirare un riconoscimento nazionale, presso la protomoteca del Campidoglio. In una sala gremita, Pasquale, il decano nazionale, prese la parola mi parve il più lucido di tutti. Ci stupì ancora una volta. Un intervento di cinque minuti, efficace, appassionato e appassionante.

Io potevo ricordarlo per le mia esperienza diretta con lui. Spero che anche altri si sentano spronati e scrivano la loro. Sentivo di farlo: è il mio tardivo ringraziamento a uno di quegli uomini che ha cambiato davvero il mio modo di vedere le cose, e gli animali. (Gianluca Aceto)

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