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POLITICA

De Luca non si faceva capace, Gaetano Manfredi glielo ha spiegato. Facile facile…

L’ostinazione con la quale lo sceriffo ha provato ad utilizzare il figlio, e dunque il Pd, per imporre le sue condizioni a Fico, non poteva più essere tollerata. Occorreva presentargli il conto ed è toccato, ovviamente, al sindaco di Napoli. Chi meglio di lui?

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A Palazzo San Giacomo, venerdì scorso, si sono confrontati Piero De Luca, segretario regionale del Pd e primo genito dell’ex governatore, e il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, vero architetto del campo progressista, primo sponsor di Roberto Fico. Presente al vertice anche Teresa Armato, assessora alla cultura nella giunta Manfredi, Presidente del Pd campano, vicinissima a Dario Franceschini, dunque espressione di primissimo piano dell’area Schlein, pronta a trasferirsi a Palazzo Santa Lucia con la medesima delega.

A quanto pare la richiesta di Manfredi è stata perentoria: basta attacchi, il Pd deve farsi garante di una collaborazione leale nel nuovo scenario che si apre a Santa Lucia, accordi e intese non possono restare sulla carta, non sono accettabili ricatti e veti.

Detto in altri termini il sindaco di Napoli, affiancato dal più autorevole riferimento del Nazareno sui territori, ha fatto presente al segretario regionale del Pd che i giochi sono ormai chiusi, che non può continuare ad utilizzare il suo ruolo per legittimare le pretese del padre, così come ha provato a fare in queste settimane successive al voto, posto che questa non è solo la linea del Nazareno o dell’area Schlein, quindi di Fico e del Movimento Cinque Stelle, ma è la linea di Mario Casillo, la linea dei consiglieri regionali democratici, in primo luogo di quelli uscenti.

L’ex governatore ha provato, attraverso il figlio, ad imporre a Fico il nome di Fulvio Bonavitacola, il suo uomo più fedele, per il quale avrebbe voluto persino la vicepresidenza. Una richiesta fondata sul presupposto che Ettore Cinque, che Fico confermerà al bilancio, non può essere considerato un suo uomo ma un patrimonio di tutti, un tecnico a servizio della coalizione, ragione per la quale un altro assessore di peso gli spetta.

Per questa via si è isolato, in primo luogo nel suo Pd. Non solo perché Bonavitacola è stato il coordinatore della campagna elettorale di “A Testa Alta”, ragione per la quale non può rientrare in partito in quota Pd, ma perché il passaggio elettorale ha chiuso il decennio deluchiano e ha aperto una nuova fase, nell’ambito della quale De Luca non è più nelle condizioni di dettare condizioni, non è più nelle condizioni di disporre del partito. Anche se il segretario regionale porta il suo cognome, ovvero proprio per questo. Perché, come si ricorderà, ad imporre la candidatura unitaria di Piero De Luca fu proprio Schlein, a dispetto dei suoi riferimenti sui territori, nella consapevolezza che quel passaggio avrebbe incastrato lo sceriffo, lo avrebbe condannato al dovere della fedeltà alla causa del centrosinistra e di Fico.  Ora tutto si è compiuto, il campo progressista ha stravinto e dinanzi all’ostinazione dell’ex governatore, dinanzi all’insistenza del figlio, occorreva presentare il conto. E chi meglio di Gaetano Manfredi?

Il punto politico di fondo è che Fico è il primo governatore 5Stelle espressione del centrosinistra formato Schlein. Questo significa che la Campania, prima regione del Sud, è il laboratorio dove si misurerà la tenuta di questo schema di coalizione in vista delle politiche.

Se sulla carta la vittoria in Campania “imbullona” il Movimento Cinque Stelle al campo progressista e rafforza la prospettiva dell’alternativa per il governo del Paese, qualora dovessero emergere fratture, qualora Fico dovesse ritrovarsi nella palude dei ricatti e dei veti incrociati, tutto verrebbe messo in discussione. Sarebbe la prova che quello schema di coalizione può funzionare in termini algebrici ma non politici, la prova del fatto che questo campo progressista non è nelle condizioni di affrontare e vincere la sfida del governo. E questo non può e non deve accadere, ragione per la quale i conti vanno chiusi subito. Senza paura, senza tatticismi.

D’altro canto di De Luca oggi si può fare a meno. Perché non ha i numeri in aula, non ha più il potere, e perché la riconoscenza è sempre il sentimento del giorno prima. Dunque lo sceriffo non può più avanzare pretese, non può più minacciare ritorsioni, non può rivendicare nulla di più di quello che eventualmente gli sarà concesso. E non può nemmeno far valere il suo peso mediatico, perché nella nuova condizione che si è determinata ogni sua rivendicazione verrebbe interpretata come il patetico tentativo di rivalsa di uno sconfitto ossessionato dall’oblio.

Un grande comunista, Michele D’Ambrosio, amava ripetere che in politica la cosa più difficile è uscire di scena. Aveva ragione e Vincenzo De Luca, purtroppo, lo sta dimostrando.

 

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