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POLITICA

Come Silvio comanda: la rivoluzione liberale di Marina passa (anche) per una sconfitta alle regionali

La prediletta del Cavaliere, nel giorno del secondo anniversario della morte del padre, ha reso noti i suoi ultimi appunti, messi nero su bianco a poche ore dalla fine: rifiuto della retorica sovranista, un nuovo patriottismo europeo, la battaglia per una giustizia giusta. Un manifesto liberale che va letto in continuità con l’apertura sui diritti della stessa Marina e del neo segretario dei giovani azzurri Simone Leoni. L’obiettivo è il grande centro, l’orizzonte è rappresentato dalle politiche. In mezzo le regionali

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La prova definitiva è arrivata nel giorno più opportuno, quello del secondo anniversario della dipartita di Silvio Berlusconi attraverso le parole di sua figlia Marina.

L’intervista pubblicata giovedì da Il Giornale, a firma di Alessandro Sallusti, non lascia margini a dubbi. La prediletta del Cavaliere ha voluto rendere pubbliche le ultime parole messe nero su bianco dal padre poche ore prima della morte, nella suite del San Raffaele. Pochi appunti, messi nero su bianco con una calligrafia incerta, che rappresentano l’eredità ideale di Silvio Berlusconi: un manifesto liberale che Marina definisce «potente, soprattutto guardando a ciò che accade nel mondo».

Innanzitutto il rifiuto della retorica sovranista e l’impegno per un nuovo patriottismo europeo. Berlusconi, ha ricordato la sua prima genita, «è stato uno dei più convinti sostenitori di una maggiore unione tra i Paesi europei e già nel ’94 auspicava una politica estera comune e una difesa comune». E se oggi molti, a destra, considerano una maggiore integrazione europea come perdita di sovranità nazionale, il Cavaliere la penserebbe in maniera diametralmente opposta: «E’ stato tra coloro che hanno anticipato quella che si potrebbe definire una nuova forma di patriottismo – di cui c’è tanto bisogno – un patriottismo europeo, sempre ovviamente nel quadro di un legame di ferro tra le due sponde dell’Atlantico. Sono le stesse idee che hanno ispirato e continuano a ispirare Forza Italia».

Questo nuovo patriottismo europeo, negli ultimi appunti del grande leader, viene descritto come l’antidoto alla guerra, «la follia delle follie».

Quindi la lotta per «una giustizia giusta», un riferimento che se letto con gli occhiali del passato rischia di risultare ingannevole, che non va considerato come l’ultimo attacco al potere giudiziario, come l’ultimo atto della guerra condotta dal Cavaliere contro le toghe rosse. C’è anche questo, certo. Ma c’è anche, e forse soprattutto, il richiamo ad una oggettiva necessità, quella di riformare il sistema giudiziario di questo Paese, di intervenire sui tempi della giustizia, sulle tutele e sì, anche sulla responsabilità civile dei magistrati. Si può essere d’accordo o meno ma è indiscutibilmente vero che «un Paese in cui la giustizia non funziona è un Paese destinato a fallire».E ci pare di poter dire che se Silvio Berlusconi continua a parlarci, se è ancora vivo, se la sua leadership è forse oggi più forte che mai, la sua assenza terrena rende possibile ciò che non è stato possibile fintanto che era in vita.

Il Cavaliere metteva giù questi appunti nella consapevolezza di essere prossimo alla fine, al riparo dalla necessità di calibrare le ricadute di quelle parole, mosso dalla volontà di lasciare l’ultimo segno, di concedere ai posteri la sua visione della politica in purezza, depurata dai tanti errori, dalle tante contraddizioni che hanno caratterizzato la sua lunga traversata nella vicenda politica di questo Paese. E quegli appunti ci riportano a quel discorso, pronunciato forse un anno prima, con il quale volle ricordare ai suoi le origini liberali di Forza Italia, prendendo le distanze dal sovranismo, rivendicando il merito storico di aver ricondotto la destra post fascista nell’alveo democratico e costituzionale. Noi siamo un’altra cosa, disse.

Pubblicando quei quattro fogli scritti a penna, nel giorno del secondo anniversario dalla morte del Cavaliere, Marina Berlusconi ha voluto chiudere il cerchio, ha voluto lanciare un chiaro messaggio al Paese. Non il primo, perché quest’intervista va letta in continuità con quelle rilasciate prima al Correre e poi al Foglio, a distanza di diversi mesi l’una dall’altra, per rivendicare una visione antitetica alla destra di Meloni e Salvini sul tema dei diritti sociali e civili, molto più vicina a quella della «sinistra di buonsenso».

E in questa prospettiva assumono un senso ancora più chiaro le parole del giovane Simone Leoni, eletto quindici giorni fa alla guida del movimento giovanile azzurro, indirizzate al Generale Vannacci e a quanti, a destra, si rifugiano in una visione antistorica del mondo, blaterano di Patria e di italianità, di presunta normalità.

Forza Italia è un’altra cosa, deve essere un’altra cosa se vuole sopravvivere, se vuole recuperare la propria funzione politica. Un processo già in essere, che va alimentato nel conflitto interno alla maggioranza, ma soprattutto, nel medio periodo, con il coraggio del cambiamento. L’orizzonte è quello delle prossime elezioni politiche, l’obiettivo è quello di costruire il nuovo grande centro, di aggregare in una nuova casa comune tutte le forze di ispirazione liberale e popolare, di recuperare il consenso del grande bacino moderato. Il nuovo grande centro, alternativo alla sinistra su temi cruciali come fisco, giustizia e lavoro, ma del tutto incompatibile con la destra sovranista, antieuropeista, illiberale.

Anche lo scontro in essere sul terzo mandato, dopo l’inversione a U tentata da Giorgia Meloni, va letto in questa prospettiva. Ogni linea di conflitto è utile per marcare la distanza, per rivendicare le radici liberali, per preparare il terreno al cambiamento necessario. L’orizzonte è quello delle politiche, una sconfitta alle regionali, a partire dalla Campania, è funzionale al raggiungimento dell’obiettivo. 

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