POLITICA
Zaia è la Lega, De Luca non è il Pd: ecco spiegato il capolavoro di Schlein
Giorgia Meloni è caduta nella trappola del Nazareno, il Veneto il centrodestra rischia di implodere con conseguenze devastanti sulla tenuta del governo e della coalizione sul piano nazionale. La mediazione tra Santa Lucia e il Nazareno è invece già in essere e De Luca, in qualche modo, lo ha già confermato. La logica e il tempo sono suoi nemici
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Due anni fa, appena eletta alla guida del Partito democratico, Elly Schlein chiarì al mondo che tra le sue priorità ci sarebbe stata quella di liberare il partito dal giogo dei signori delle tessere e dei cacicchi, che il suo Pd non avrebbe ceduto ai ricatti di nessuno, che per nessuno dei governatori in procinto di concludere il secondo mandato ci sarebbe stata la possibilità di correre anche per il terzo. Tutti s’interrogarono sul senso di quelle dichiarazioni, sulla logica di quel veto, sulle ragioni per le quali il Pd avrebbe dovuto tagliare le gambe a personalità del calibro e del peso di Bonaccini, De Luca ed Emiliano, perché avrebbe dovuto mettere in discussione sistemi di potere tanto radicati nel nome del cambiamento. La risposta è arrivata pochi giorni fa per bocca di Luca Zaia.
Per Elly Schlein il nodo del terzo mandato per i presidenti di Regione ha sempre rappresentato la chiave strategica per minare la tenuta e la prospettiva del centrodestra di governo. Il veto sul terzo mandato dei governatori è la mela avvelenata che la segretaria del Pd ha offerto a Giorgia Meloni nella consapevolezza che la Presidente del Consiglio non avrebbe potuto rifiutarla. La mela avvelenata, ovvero la grande opportunità di mettere in discussione i rapporti di forza del centrodestra sui territori, di dare forza e sostanza all’opa sulle roccaforti leghiste del Nord profondo a partire, manco a dirlo, dal Veneto di Luca Zaia.
Ha sempre saputo, la segretaria nazionale del Pd, che la premier non avrebbe potuto rinunciare all’ambizione di far valere l’egemonia patriota nell’ambito della coalizione di governo anche sui territori e che sul futuro del Veneto si sarebbero determinate le condizioni per l’implosione della maggioranza. Ottenuto il passo indietro di Stefano Bonaccini e di Michele Emiliano, il veto su De Luca le è servito per spingere Giorgia Meloni ad uscire allo scoperto, dando per scontato che lo sceriffo avrebbe fatto approvare una nuova legge elettorale costringendo il governo a ricorrere davanti alla Corte Costituzionale. È quello che è accaduto: il ricorso è arrivato e Zaia ha rotto gli indugi chiarendo che prima vengono i veneti, poi viene la Lega e infine viene il centrodestra. Ragione per la quale al di là di quello che deciderà la Corte la Lega, ovvero la Liga, avrà il suo candidato in Veneto, con o senza il lascia passare di Matteo Salvini, sul presupposto che o Fratelli d’Italia farà un passo indietro o le strade si divideranno. Non solo in Veneto.
Le parole di Zaia, per dirla in altri termini, certificano un fatto politico dirimente: se per il Pd e per il centrosinistra la posta in palio è la Campania, il centrodestra, sul Veneto, rischia seriamente di implodere. Zaia è la Lega. De Luca, invece, non è il Pd nemmeno a queste latitudini ed è questa la ragione per la quale attacca a testa bassa il governo ma evita di attaccare il Nazareno e di nominare la segretaria.
La strategia di De Luca è chiara, chiarissima e trova riscontro nelle parole che il governatore ha pronunciato giovedì nel vertice convocato a Santa Lucia con i capigruppo della sua maggioranza. De Luca sa che i consiglieri regionali hanno tutto l’interesse a muoversi alla sua ombra per continuare a gestire e a coltivare consenso sui territori e, dunque, il suo obiettivo, in questa fase, è quello di tenere i ranghi ben serrati. Ecco perché, dopo essersi detto certo del fatto che Mattarella costringerà la Corte a pronunziarsi entro la primavera, e che al 99 per cento smantellerà il ricorso del governo, ha chiarito ai capigruppo che qualora le cose dovessero andare diversamente toccherà comunque a loro decidere del futuro della Campania, a patto che la maggioranza resti unita attorno alla sua persona.
In politica la variabile decisiva è il tempo.
È il tempo che determina la strategia, il tempo che definisce la dimensione del possibile, del probabile, del ragionevole. Il tempo che c’è e quello che non c’è. De Luca lo sa bene e sa che stavolta il tempo è suo nemico. Perché in questo momento la Corte Costituzionale è costretta all’immobilismo in attesa che le forze politiche trovino l’accordo sui quattro membri che mancano all’appello, perché prima di potersi pronunziare sul ricorso del governo sul terzo mandato dovrà pronunziarsi sui quesiti referendari e su molti altri dossier, al di là del fatto che il Capo dello Stato potrebbe agire in senso diametralmente opposto a quello auspicato, muovendo proprio dal convincimento che il tetto del doppio mandato è funzionale a scongiurare i rischio di una eccessiva concentrazione di potere nelle mani di un sol uomo.
E perché più tempo passa più sarà complesso tenere i ranghi serrati, posto il centrosinistra affronterà le regionali sulla base di un accordo unitario e vincolante che non lascerà spazio a distinguo sui territori, per cui riferimenti e consiglieri uscenti saranno chiamati a scegliere da che parte stare prima della pronunzia della Corte. La verità è che la mediazione tra il Nazareno e Santa Lucia è già in essere, i pontieri sono a lavoro e se De Luca evita di attaccare il suo partito la segretaria non perde occasione per ribadire il veto sul terzo mandato chiarendo che in Campania è stato fatto un ottimo lavoro.