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Opinioni

Acqua e rifiuti, il medioevo delle aree interne

Il caso Alto Calore ci costringe ad un’amara riflessione rispetto alla gestione dei servizi primari nel Sannio e in Irpinia, in primis sul ciclo integrato delle acque e dei rifiuti. Su entrambi i fronti abbiamo accumulato ritardi drammatici, le criticità di oggi sono le medesime di venti anni fa. Eppure proprio sulla gestione dei servizi si misura la prospettiva di crescita e di progresso dei territori.

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Come certamente saprete, Michelangelo Ciarcia ha rassegnato le dimissioni da amministratore unico dell’Alto Calore. Lo scorso febbraio, il tribunale di Avellino aveva deciso una misura interdittiva di un anno nei confronti del manager coinvolto nell’inchiesta sui corsi “fantasma” di formazione professionale presso l’ente, insieme ad altri quattordici indagati tra cui alcuni dipendenti e rappresentanti legali delle ditte fornitrici.

Si tratterebbe, in buona sostanza, di corsi di formazione professionale per i quali la società Alto Calore Servizi ha goduto, mediante compensazione tributaria, dei crediti di imposta previsti dalla legge del 27 dicembre 2017 n. 205 (“Formazione 4.0”), per un ammontare complessivo di 632.000 euro.

L’attività di indagine, partita all’indomani delle denunce di dipendenti della società che informavano l’autorità giudiziaria della loro mancata partecipazione a detti corsi, pur comparendo negli elenchi dei discenti, avrebbe consentito di accertare l’effettiva inesistenza dei corsi. Le accuse contestate dalla Procura sono di peculato, emissione e l’utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti, indebita compensazione tributaria aggravata per inesistenza dei crediti compensati e falso in bilancio, accuse aggravate per l’abuso e la violazione dei doveri inerenti al pubblico servizio.

Il prossimo 21 marzo si riunirà l’assemblea dei sindaci soci di Alto Calore per individuare il successore di Ciarcia e non sarà affatto facile trovare la quadra, non solo e non tanto per una questione di equilibri politici ma perché, come noto, sulla testa di Alto Calore Servizi s.p.a. pende attualmente una procedura di concordato preventivo innanzi al Tribunale di Avellino, incardinata dopo l’istanza di fallimento avanzata dalla Procura della Repubblica del capoluogo irpino, a seguito dell’accertamento di un’esposizione debitoria di circa 150 milioni di euro nell’anno 2021.
In attesa di capire quel che potrà accadere in assemblea, la vicenda Alto Calore quasi ci costringe ad una riflessione, purtroppo amara, rispetto alla gestione complessiva dei servizi primari nelle nostre aree interne, in particolare del ciclo integrato delle acque e dei rifiuti.

La condizione drammatica in cui versa Alto Calore ormai da tempo immemore è figlia di decenni di sprechi e clientele che hanno portato l’azienda al collasso. E a volerla dire tutta va dato atto a Michelangelo Ciarcia di aver operato con coraggio e determinazione per invertire la rotta, per strappare quel piano di rientro a condizioni tutt’altro che scontate, anche sulla scorta della disponibilità ricevuta dal governo regionale rispetto all’organizzazione del ciclo. Ma il punto non è Alto Calore, che tuttavia offre un servizio tutt’altro che efficiente. Il punto è che la provincia di Avellino, da sola, disseta larga parte del Mezzogiorno. Le sorgenti che nascono in Irpinia garantiscono acqua a quasi tutta la Campania e alla Puglia intera e tuttavia, nonostante gli sforzi in punto legislativo, nonostante gli investimenti promessi, le nostre reti idriche continuano a perdere almeno il 70 per cento della risorsa.

Insomma, ci misuriamo oggi con gli stessi drammatici problemi strutturali con i quali ci misuravamo venti anni fa, e per quanto il servizio offerto da altri soggetti gestori sia probabilmente migliore di quello che garantisce il carrozzone Alto Calore, resta il vuoto assoluto di investimenti e di programmazione per la salvaguardia della risorsa, per la tutela delle sorgenti. Nulla, o poco più di nulla, è stato fatto in tal senso. Troppo deboli i comuni, troppo complessa la sfida della programmazione.

Allo stesso modo, per quel che concerne il ciclo integrato dei rifiuti, continuiamo a pagare un prezzo altissimo per la carenza di impianti e per la miopia delle nostre classi dirigenti. La nuova legge regionale, che tanto nuova non è più, è stata completamente tradita. Basti considerare che tanto la città di Benevento quanto quella di Avellino gestiscono il servizio in autonomia, con conseguenze devastanti per i territori. Per i rifiuti più che per qualsiasi altro settore è determinante la logica dell’economia di scala, soprattutto in contesti territoriali caratterizzati da una estrema parcellizzazione demografica, da una orografia tutt’altro che vantaggiosa.

Se il capoluogo fa da sé i comuni più piccoli soffocano, per i costi insostenibili. E questo la dice lunga anche sulla capacità di Benevento e di Avellino di essere davvero traino ed epicentro dei territori, di esercitare fino in fondo la funzione di capoluogo.

Anche per questa mancanza abbiamo accumulato ritardi drammatici che rappresentano una condanna. Perché se il capoluogo non fa il capoluogo, se si rintana nell’isolamento, nella sterile rivendicazione del proprio peso sul piano della gestione, se non afferma la propria funzione a servizio dei territori, se non allarga gli orizzonti della propria visione di futuro al di là dei perimetri amministrativi, nessuna pianificazione strategica è possibile, nessuna programmazione è nemmeno ipotizzabile.

E c’è poco da fare, la prospettiva di progresso di un dato sistema territoriale si misura in primo luogo sulla qualità dei servizi primari, la cui buona gestione rappresenta una formidabile leva di crescita. Sannio e Irpinia, le aree interne della Campania, avrebbero tutte le condizioni per ripensarsi attorno ad un nuovo modello di gestione dei servizi essenziali, pubblico o misto poco importa, attraverso la costituzione di aziende multiservizi che proprio come accade nelle regioni più avanzate del Paese producono utili, lavoro, economie.

Ma dove questo accade la politica si limita a dare l’indirizzo e a definire le regole, poi conta il merito, contano le competenze, conta la qualità del servizio e contano i numeri. E se lo fa è perché è forte, dunque si affida ai migliori. La politica debole, invece, si affida ai fedeli.

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