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Opinioni

In morte delle aree interne

La ratio che ha portato il governo, con il plauso dell’ANCI, ad eliminare il tetto di mandati nei comuni al di sotto dei 5mila abitanti è chiara. Se nei nostri desolati paesi il gioco della rappresentanza democratica è compromesso, se le assisi dei nostri municipi sono presidiate da gruppi di potere che si rigenerano spesso per legami di sangue, se la partita della contendibilità si risolve sistematicamente nel corpo a corpo tra consorterie che si combattono da decenni, se di qui ai al 2050 molti di questi paesi spariranno, perché non sarà rimasto più nessuno, tanto vale prenderne atto e accompagnare l’agonia senza cedere all’accanimento terapeutico

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D’ora in avanti, come certamente saprete, il sindaco di un comune al di sotto dei cinquemila abitanti potrà ambire a vestire la fascia tricolore a vita, a condizione, evidentemente, che venga rieletto. I sindaci dei comuni con una popolazione compresa tra i cinquemila e i quindicimila abitanti, invece, potranno vestirla per tre lustri consecutivi.

Il governo Meloni ha accolto le richieste pressanti degli amministratori e dell’ANCI nazionale che da anni combatte per eliminare il tetto dei tre mandati per far fronte ad un problema oggettivo, rappresentato dalla crescente difficoltà di individuare, soprattutto nei piccoli comuni, cittadini disposti ad impegnarsi nell’arena della rappresentanza municipale. Il punto è che se il problema è oggettivo quella individuata è una finta soluzione, che in realtà si risolve in una resa, nella rinunzia all’ambizione di invertire il processo di desertificazione dei piccoli paesi e, dunque, innanzitutto delle aree interne. Pensiamo al Sannio e all’Irpinia, dove sono solo 4 i comuni superiori ai 15mila abitanti, ovvero i due capoluoghi a cui si aggiungono le città di Montoro e di Ariano Irpino, dove la stragrande maggioranza dei paesi si ferma ben al di sotto della soglia dei cinquemila.

In fin dei conti è lo stesso principio su cui si regge l’autonomia differenziata appena approvata in Senato. Si sceglie di far fronte all’anoressia democratica delle nostre comunità dando il via libera al mandato a vita, ovvero trasformando le fasce tricolore in potenziali podestà. Come per la sanità, per la scuola e per i trasporti s’individua una soluzione “differenziata”, cucita su di uno status quo sul quale non si vuole nemmeno tentare di intervenire, muovendo, dunque, dal presupposto che non ci sarà verso, negli anni e nei decenni a venire, di salvare i piccoli comuni dallo spopolamento, dall’estinzione. Così come non ci sarà verso, evidentemente, di colmare il divario tra Nord e Sud.

Se nei nostri desolati paesi il gioco della rappresentanza democratica è compromesso, se le assisi dei nostri municipi sono presidiate da gruppi di potere che si rigenerano spesso per legami di sangue, se la partita della contendibilità si risolve sistematicamente nel corpo a corpo tra consorterie che si combattono da decenni, se di qui ai al 2050 molti di questi paesi spariranno, perché non sarà rimasto più nessuno, tanto vale prenderne atto e accompagnare l’agonia senza cedere all’accanimento terapeutico.

L’alternativa, eccoci al punto, sarebbe quella di ripensare i territori, di ridefinire l’architettura del governo locale muovendo dal presupposto che non potrà esserci rilancio delle aree interne e marginali se non attraverso un profondo processo di rigenerazione democratica, dunque, innanzitutto, della cittadinanza. La sfida è dunque quella delle fusioni tra comuni ma è una sfida che purtroppo non potrà essere vinta dal basso, come la storia di questi anni dimostra. D’altro canto le consorterie che esercitano la propria egemonia comune per comune, presidiando ogni spazio di gestione in ragione di un consenso militarizzato, non hanno alcun interesse a percorrere quella via.

Dunque sarebbe necessario un grande progetto riformatore, volto a ridisegnare l’architettura del governo dei territori, favorendo aggregazioni coerenti e razionalizzando funzioni per superare la parcellizzazione municipale, occorrerebbe il coraggio di sfidare le spinte conservative degli apparati, la ribellione dei cacicchi e anche il peso della storia.
Non converrebbe a nessuno.

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