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ECONOMIA

Pmi campane, presentato il rapporto: “Imprese robuste ma preoccupano tassi e costo del credito”

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Il 2022 è stato un anno difficile, tanto per l’Italia e il Mezzogiorno quanto per la Campania, in particolare. La ripresa del 2021, dopo la drammatica caduta del 2020 causata dal lockdown, si è raffreddata bruscamente a causa di un cambiamento radicale dello scenario macroeconomico. Alle turbolenze del mercato energetico si sono infatti presto affiancati il drammatico conflitto in Ucraina che dura dal febbraio 2022 e la ripresa dell’inflazione, delineando quella tristemente nota metafora della “tempesta perfetta” di venti costanti e grandinate improvvise che le imprese stanno affrontando da tempo. E’ la sintesi del Rapporto Pmi Campania 2022 presentato ieri a Napoli da Pasquale Lampugnale, presidente regionale e vicepresidente nazionale di Piccola Industria Confindustria, alla presenza di Emanuele Orsini, vice presidente di Confindustia, Giovanni Sabatini, direttore generale Abi, e del presidente di Confindustria Campania, Luigi Traettino.

“Le PMI hanno dimostrato di essere più robuste del previsto ma con risultati economici molto volatili e fortemente legati all’andamento dell’economia”, ha commentato Lampugnale.

Lo scorso anno – spiega il rapporto – si è chiuso per la Campania con un Pil a +3% rispetto al 2021, meno del 4,4% previsto a inizio 2022 e meno dell’incoraggiante +6,4% raggiunto a fine 2021 rispetto al 2020. Il raffreddamento e la crescita limitata continuano anche nelle stime per il 2023, che lasciano intravvedere una fase di recessione per la Campania (-0,5% previsto a fine 2023) con il resto d’Italia che proverà̀ a galleggiare intorno allo zero. Nell’attuale scenario di crescita limitata è essenziale garantire misure che possano sostenere gli investimenti, l’accesso al credito e la sostenibilità del debito anche favorendo operazioni di rinegoziazione e allungamento.

Altro tema fondamentale per le imprese resta l’aumento dei tassi e del costo del credito che la Bce ha realizzato e che non ha precedenti. Una politica monetaria che potrebbe minare la stabilità delle imprese. “L’incremento del costo del denaro di 3,5 punti percentuali in appena nove mesi, rischia di avere effetti devastanti, specie su quelle meno patrimonializzate. Servono dunque interventi per controbilanciare questa tendenza, anche a livello locale”, ha concluso Traettino.

I DATI – Lo scorso anno si è chiuso per la Campania con un Pil a +3% rispetto al 2021, meno del 4,4% previsto a inizio 2022 e meno dell’incoraggiante +6,4% raggiunto a fine 2021 rispetto al 2020. Il raffreddamento e la crescita limitata continuano anche nelle stime per il 2023, che lasciano intravvedere una fase di recessione per la Campania (-0,5% previsto a fine 2023) con il resto d’Italia che proverà̀ a galleggiare intorno allo zero.

Le Pmi campane e del Sud in generale, data la loro ridotta dimensione e tipologia con scarso potere negoziale, non hanno potuto superare indenni questa “tempesta” aumentando le scorte, diversificando le fonti di approvvigionamento o scaricando l’aumento dei costi di produzione sui clienti, e hanno visto quindi allargarsi nuovamente la forbice rispetto alle regioni centro-settentrionali. E mentre prosegue in Parlamento il dibattito sull’autonomia differenziata, diventa quindi ancora più importante – evidenzia il Rapporto Pmi Campania – la capacità del Governo di impegnare le risorse disponibili, a cominciare da quelle del PNRR, per rafforzare il quadro macro-economico, sostenere investimenti e consumi, contrastare il calo demografico e l’impoverimento diffuso.

Il recupero del Pil nel 2021 e l’andamento positivo ma rallentato nel 2022, favorito dall’aumento dell’export, dell’industria manifatturiera e dei servizi, lascia comunque la Campania ferma a quota 66 su base 100=Italia. E anche se il reddito disponibile delle famiglie campane è cresciuto tornando sui valori pre-Covid del 2019, la nostra regione è ancora penultima in questa classifica, davanti alla sola Calabria. Il comparto servizi resta dominante (quasi l’80% del valore aggiunto regionale), mentre il manifatturiero pesa solo per il 13,3%, molto meno della media italiana (20,2%).

Sul fronte occupazione, la Campania ha recuperato i livelli pre-Covid del 2019. Il miglioramento è però anche effetto di un calo demografico ormai diventato strutturale fra minore propensione ad avere figli ed emigrazioni verso altre regioni o all’estero. Dopo il 2019, quando si erano cancellati dall’anagrafe quasi 40 mila campani, c’è stato un calo ulteriore di 31,5 mila unità.

Il 95,4% delle 383 mila unità locali campane ha meno di 10 addetti, e sono solo 161 le imprese con più di 250 addetti, di cui il 70% con sede in provincia di Napoli. I settori più rappresentati sono l’alimentare (20%), i prodotti in metallo, l’abbigliamento, la manutenzione e installazione di macchine, la produzione di borse e calzature. I dati Movimprese evidenziano il rallentamento della natalità̀ imprenditoriale: le nuove iscrizioni nel 2022 scendono per la prima volta sotto le 30 mila unità. In tutte le province si sono toccati i minimi storici. Ad Avellino e Benevento le cessazioni addirittura superano le iscrizioni. Una sezione del Rapporto Pmi Campania analizza le performance economico-finanziarie di un campione rappresentativo 22 mila imprese campane attraverso i bilanci 2019-2021. Una significativa ripresa ha riguardato nel 2021 il 17,1% delle imprese e l’intensità̀ del rimbalzo ha premiato in particolare i settori che più di altri avevano sofferto nel 2020 a causa della pandemia, e cioè i servizi di alloggio e ristorazione in primis (+34,6%). La crescita del 2021 ha coinvolto tutte le 5 province campane, dal valore massimo in Irpinia (+ 21,2%) a quello più contenuto di Benevento (+12%).

Crescono tanto il grado di patrimonializzazione delle aziende campane in relazione al totale delle risorse investite quanto i debiti verso le banche e il costo del debito. L’indebitamento a breve rappresenta la principale forma di finanziamento. Resta la predominanza delle immobilizzazioni materiali sulle attività̀ immateriali, confermando la fragilità̀ delle aziende campane in termini di capacità di innovazione per creare valore sostenibile nel tempo.

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