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Opinioni

‘Ddl Zan, mai disegno di legge più chiaro’: la riflessione dello studente sannita Cavalli

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“Caro Direttore, leggo su testate nazionali e locali che vi sono, anche nella nostra città, manifestazioni contrarie al ddl Zan. Taluni ritengono che il disegno di legge in esame al Parlamento violi il diritto di eguaglianza e la libertà di manifestazione del pensiero dei cittadini. Andiamo per gradi. Il ddl Zan introduce una fattispecie di reato agli art.603bis e 604ter del codice penale con una tecnica legislativa molto semplice: vieta la discriminazione e la violenza, oltre che per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, anche per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. Nella sostanza, se non si poteva discriminare per motivi religiosi, ad esempio, non si potrà nemmeno nei confronti di coloro che hanno scelto di cambiare genere o che hanno un preciso orientamento sessuale. Mai disegno di legge più chiaro, formato da due articoli e poche righe”. Inizia così la riflessione dello studente sannita Luca Cavalli, consigliere del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

“Chi contesta che violi il principio di uguaglianza forse non ricorda che la legge, per sua natura, non è uguale per tutti nel senso che deve trattare tutti i cittadini necessariamente allo stesso modo, sarebbe una assurdità. La legge deve disciplinare in modo uguale situazioni uguali ed in modo diverso situazioni diverse. Don Milani spesso diceva “nulla è più ingiusto che far parti uguali tra diseguali”.

Un diritto disuguale molto spesso produce uguaglianza. Si pensi a gruppi sociali storicamente in difficoltà, come successe per le donne. Una legislazione “protettiva” non violò il diritto di uguaglianza, ma anzi, ristabilì, e forse ancora non del tutto, le condizioni affinché fosse ripristinata la vera parità.

E poiché il diritto deve rispondere ai fenomeni sociali, oggi il legislatore, a ragione, sente la necessità di tutelare nuove categorie che soffrono condizioni di difficoltà. La stessa Corte Costituzionale nel 62’ si schierò a vantaggio di ipotesi legislative che “apparentemente discriminatrici nei confronti di gruppi di cittadini, nella sostanza ristabiliscono l’uguaglianza nelle condizioni”. E già la direttiva 2000/78 del Consiglio dell’UE sancisce, accanto alle discriminazioni sul luogo di lavoro per religione, handicap, età, convinzioni personali, anche quelle relative all’orientamento sessuale, segno tangibile di come la civiltà moderna e gli Stati europei camminino in un senso preciso.

Quanto alla critica che tale divieto violerebbe la libertà di espressione dei cittadini, ebbene, mi pare evidente che libertà non significasse fare o dire tutto ciò che si vuole. C’è un divario sottile (neanche molto per la verità) – conclude Cavalli – tra libertà e libertinaggio. E’ impensabile ripudiare che la libertà sia fatta di regole. Se il divieto di discriminare o di usare violenza verso una categoria è limitare la libertà, allora anche punire l’omicidio limita la libertà di uccidere o il furto la libertà di rubare”.

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