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CULTURA

L’eolico, le terre e le storie della provincia di Benevento e del Sud

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“Negli ultimi anni – è scritto in una nota diffusa alla stampa – si sta sviluppando una fiorente industria dell’energia eolica, in particolare nel Sud Italia: le caratteristiche geografiche sono, in effetti, ideali per la crescita di un sistema energetico che per molti è il modello del futuro e che potrebbe offrire al Meridione, così depresso economicamente, una nuova e inaspettata leva di sviluppo. La provincia sannita è stata investita negli anni da uno forte sviluppo nel campo dell’energie rinnovabili, in particolare dallo sfruttamento del vento. In verità, dal crescente business eolico i cittadini ricavano pochi euro, che di certo non servono a stimolare un benché minimo processo di trasformazione economica e sociale: i comuni preferiscono infatti svendere a industrie private il “loro territorio”, senza pensare al vantaggio che potrebbero trarne in futuro. Caporale prende spunto da questo caso per raccontare la realtà drammatica e contraddittoria del Sud Italia: un territorio ricco di bellezze e potenzialità in cui, però, prevalgono la logica del breve termine, l’interesse privato e l’ottica familistica. Attraverso alcune storie esemplari, una ambientata in provincia di Benevento oltre che in Puglia, Molise e Calabria, che poi si intrecciano nel corso del libro, costruisce una narrazione che apre uno squarcio nuovo sui mali endemici del Sud. Un viaggio in un luogo in cui le occasioni offerte dalla storia sono, spesso per indolenza e pigrizia, spazzate via dal vento.

E’ un libro che va letto lentamente, pesandone i passaggi. Chi vi ha avuto a che fare si riconoscerà nelle storie narrate. Chi non ha (ancora) conosciuto l’eolico capirà che “Lo Stato ha semplicemente chiuso gli occhi davanti al più grande scandalo di questo inizio secolo”.

L’inchiesta/racconto di Caporale svela molti retroscena su affari di privati che molto spesso incrociano la pubblica amministrazione. Alla fine si renderà evidente che esistono bravi amministratori ma anche l’ignavia della politica che preferisce delegare ai privati in cambio di poco o niente rispetto alla smisurata ricchezza che il vento è in grado di generare”.

***
«Antonio più di ogni cosa sentiva di notte, anche in casa, il rumore delle pale. Vvrroom … vvrroom … Si addormentava con le pale che giravano e si alzava, dopo le poche ore di sonno, che continuavano a girare. Giravano sempre, le pale».

Nella vita di Antonio Colucci entrano un giorno, ospiti scomode inattese, le pale eoliche. Nel suo mondo arcaico quelle pale soffiano senza un perché. Del resto è una ricchezza improvvisa e sconosciuta apparsa nel Sud dell’Italia, dove le pianure non danno da vivere. I capannoni sono ormai detriti della civiltà industriale, l’agricoltura è povera, i contadini pochi e per lo più morti di fame.

Ai sindaci il vento piace perché rappresenta una piccola pensione sociale collettiva. Pochi soldi, ma cash, ora che le casse sono vuote. E grazie a quegli industriali che fittano terreni ( e coscienze) c’è una fatica in meno da fare; pensare, organizzarsi, cercare il partner, produrre in proprio. È troppo complicato, troppo impegnativo sviluppare un’economia locale fondata sull’energia sostenibile e rinnovabile. Meglio appare tutto in cambio di un obolo.

Lo Stato ha semplicemente abdicato al suo dovere. Senza mai indicare, valutare, ammettere o respingere, proporre e magari mitigare l’impatto ambientale, dire no qualche volta alle pale. No, qui no. Lì invece sì. Senza cura per il bene di tutti, senza amore per il territorio. Lo Stato ha semplicemente chiuso gli occhi davanti al più grande scandalo di questo inizio secolo.

Antonello Caporale, uno dei più seguiti giornalisti di inchiesta, attraverso alcune storie esemplari, in cui si alternano duri toni di denuncia e accenti lirici, ci propone una ricostruzione lontana da ogni forzatura ideologica, dove le vicende dell’eolico finiscono per rivelare la malattia endemica dell’Italia e più ancora il destino a cui è condannato il Sud: bruciare la propria ricchezza senza nemmeno averla riconosciuta.

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