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POLITICA

Quanto è Fico Giosy Romano, il deluchiano di ferro che può salvare il centrodestra dalla catastrofe

Sarebbe bastato un candidato appena riconoscibile e con un minimo di credibilità, scelto a tempo debito, per imporre un progressivo stravolgimento degli equilibri sui territori, mentre dall’altra parte del campo andava di scena lo scontro senza esclusione di colpi tra De Luca e il suo partito. Invece nulla, il vuoto. Per il miracolo non resta che puntare su un deluchiano doc come il coordinatore della Zes unica del Mezzogiorno, nella speranza che dall’altra parte il candidato resti l’ex presidente della Camera

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Non avremo mai la prova provata ma se il centrodestra di governo fosse stato nelle condizioni di individuare un candidato forte e riconoscibile anche solo quattro mesi fa oggi non saremo qui a far di conto per provare a prevedere quali e quanti assessori Roberto Fico, o chi per lui, dovrà concedere a Vincenzo De Luca, sul presupposto che il centrosinistra vincerà a mani basse le elezioni regionali d’autunno. La responsabilità che grava sulle classi dirigenti del centrodestra è enorme e nulla c’entra la decisione del governo di procedere con il ricorso contro il terzo mandato dinanzi alla Corte Costituzionale.

Sarebbe bastato un candidato appena riconoscibile e con un minimo di credibilità, scelto a tempo debito, per imporre un progressivo stravolgimento degli equilibri sui territori, mentre dall’altra parte del campo andava di scena lo scontro senza esclusione di colpi tra De Luca e il suo partito.

Per mesi, forse per più di un anno, sindaci, amministratori, portatori di voti e di interessi sono rimasti fermi, in attesa di una svolta, di un segnale che potesse dare loro certezze, che potesse restituire motivazioni sufficienti per cercare una ricollocazione. Sono rimasti immobili in attesa di un fatto che potesse aprire una fase nuova. Parliamo di sindaci, amministratori, portatori di voti e d’interesse che nel corso di questi anni si sono mossi all’ombra del sistema di potere deluchiano sguazzando nella palude del civismo, in quel centro dilatato e indistinto che De Luca ha saputo inglobare con le leve della gestione, molti, moltissimi reduci del centrodestra che fu, quello di Caldoro e Cosentino, che non avrebbero esitato a tornare all’ovile, a cercare nel nuovo centrodestra la prospettiva funzionale al soddisfacimento delle proprie ambizioni.

Ma evidentemente è mancata la volontà politica di accelerare, di fare i conti con il vuoto di classi dirigenti che caratterizza il centrodestra campano sui territori, è mancata l’autorevolezza per imporre a Roma una scelta. In questo vuoto si sono saputi muovere gli ambasciatori di Schlein, non i suoi talebani alla Ruotolo, ma quei riferimenti dell’area Bonaccini, su tutti Mario Casillo e Nello Topo, che hanno determinato le condizioni per favorire la mediazione tra il governatore e il Nazareno, facendo valere il proprio peso elettorale, la logica della politica. Un lungo e faticoso lavoro di strappi e mediazioni che ha favorito una sintesi che solo cinque mesi appariva quasi impossibile, un lungo e faticoso lavoro di strappi e mediazioni che ha progressivamente spinto sindaci, amministratori, portatori di voti o di interessi a restare fermi, in assenza di una prospettiva alternativa.

Se invece il centrodestra avesse trovato il modo di superare lo stallo e di individuare, almeno per la Campania, il candidato alla presidenza quel lavoro lungo e faticoso di strappi e mediazioni sarebbe servito a poco, perché la suggestione della vittoria possibile del centrodestra avrebbe spinto molti generali e colonnelli del vasto esercito dell’indistinto accasati all’ombra del governatore a cercare una nuova e più proficua collocazione. Questo non è accaduto.

E si badi, il punto non è tanto nel fatto anche questa volta il centrodestra sembra fuori dai giochi per la vittoria, quanto nel fatto che per molti anni continuerà a non esistere sui territori, continuerà a pagare un drammatico vuoto di classi dirigenti.

E questo sarebbe un problema enorme, non solo per il centrodestra, per le forze della coalizione, ma per la Campania, perché il gioco democratico funziona nell’alternanza, nel conflitto tra proposte e idee contrapposte. La degenerazione del deluchismo, d’altro canto, si spiega innanzitutto con l’assenza di una opposizione riconoscibile, in Aula ma soprattutto fuori.

E tuttavia non tutto è ancora perduto. Una carta il centrodestra la può ancora giocare per provare a rimettere in discussione la Campania. È la carta Giosy Romano, oggi coordinatore della Zes unica del Mezzogiorno a Palazzo Chigi, ieri uomo di fiducia del governatore, candidato cinque anni fa da Ciriaco De Mita per “Fare Democratico”, poi scelto da De Luca nelle vesti di commissario Zes in Regione. Un deluchiano, dunque, che per anni ha gestito una partita fondamentale sui territori, un riferimento riconosciuto in primo luogo dagli apparati, da sindaci, amministratori, riferimenti e portatori d’interesse. Un profilo perfetto per rassicurare i tanti deluchiani alla ricerca di una nuova copertura, i tanti deluchiani che De Luca non potrà più garantire, tutti coloro che non si fidano di questo nuovo campo largo. Un candidato perfetto per recuperare consensi nel variegato universo centrista e moderato, un profilo tecnico, di comprovata esperienza, ma allo stesso tempo istituzionale.

Il punto di fondo è che per provare a riaprire i giochi il centrodestra deve allargare i propri perimetri, posto che il centrosinistra unito, a prescindere dal candidato, metterà in campo almeno otto liste. E per allargare è necessario, appunto, strappare quote di consenso, sottrarre truppe, colonnelli e generali dall’altra parte. Giosy Romano è l’amo perfetto. Tanto più se dall’altra parte verrà confermata la candidatura di Roberto Fico, percepito come debole e distante dalle logiche degli apparati, incapace di garantire il sistema. 

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