Opinioni
Benevento e Avellino, Vigorito e D’Agostino
Se il derby delle aree interne è innanzitutto il derby tra due squadre condannate a vincere, è anche il derby tra due grandi imprenditori con enormi interessi sui territori, che esercitano un ruolo di primissimo piano nella dinamica pubblica dei rispettivi contesti, talvolta un ruolo che determina inevitabili impatti sulla dinamica democratica, sul pluralismo e sulla stessa economia dei territori. E questo principio è tanto più valido quanto più è piccolo e marginale il contesto nel quale questa condizione si determina, quanto più è debole la politica
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Torna il derby delle aree interne. Domenica al Vigorito le Streghe e i Lupi si sfideranno in un match la cui posta in palio va ben oltre i tre punti, non solo e non tanto per l’antica rivalità tra le due tifoserie ma per il momento delicato che entrambe le compagini stanno vivendo, seppur per motivi diversi. Un derby tra due squadre che puntano alla promozione diretta in B, che vantano probabilmente le due rose migliori del girone C, un derby che speriamo possa restituire emozioni in linea con le aspettative, che darà certamente importanti indicazioni per il seguito della stagione. Ma il calcio, si sa, non è mai solo calcio.
Se il derby delle aree interne è innanzitutto il derby tra due squadre condannate a vincere, è anche il derby tra due grandi imprenditori con enormi interessi sui territori, che esercitano un ruolo di primissimo piano nella dinamica pubblica dei rispettivi contesti, talvolta un ruolo che determina inevitabili impatti sulla dinamica democratica, sul pluralismo e sulla stessa economia dei territori. E questo principio è tanto più valido quanto più è piccolo e marginale il contesto nel quale questa condizione si determina, quanto più è debole la politica.
Vigorito e D’Agostino sono, come detto, due grandi imprenditori che operano legittimamente anche sui territori, generando economie ed occupazione. E hanno tutto il diritto di esercitare la propria influenza sull’agenda dei territori, hanno tutto il diritto di svolgere le funzioni pubbliche che svolgono, chi nelle vesti di Presidente provinciale di Confindustria, chi nelle vesti di sindaco e di riferimento politico. Il punto è che entrambi, nel corso di questi anni, hanno finito per colmare il vuoto lasciato da una politica sempre più debole, che ha smarrito ogni capacità di pensiero e di visione, che si è rifugiata nella subalternità al potere economico per sopravvivere, per recuperare interlocuzioni inaccessibili ai livelli istituzionali più alti, per coltivare consenso, per orientare processi, per garantire soluzioni.
La debolezza della politica la misuriamo nell’assenza di coordinate chiare e riconoscibili, nel proliferare di aggregazioni di natura civica, in un dibattito pubblico che si risolve nello scontro cieco tra consorterie per la gestione del potere, per l’occupazione di ogni spazio di rappresentanza, nel trasformismo spudorato e dilagante che caratterizza le dinamiche politiche ed istituzionali sui territori. La politica debole è una politica che parla il linguaggio dei personalismi, il linguaggio della fedeltà, di un’appartenenza slegata da qualsiasi linea di pensiero, figlia dell’opportunismo, della convenienza, della logica del mercato. È la politica dei ras e dei cacicchi, dei portatori d’acqua e dei mazzieri. Una politica che serve solo se stessa, che i processi non li governa ma li subisce, tutt’al più li asseconda. Una politica senza potere. Ma il potere è necessario.