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“Malato e senza lavoro. Vivo in una vecchia Fiat Uno”: la lettera di un cittadino a Mastella

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Riceviamo e pubblichiamo l’amara lettera di un cittadino beneventano, che scrive al sindaco Mastella e alle istituzioni competenti per raccontare la sua condizione terribile di disoccupato e senza casa, chiedendo un aiuto immediato.

“Scusate se disturbo. E’ il mio amaro sfogo, di un 44enne sannita senza casa non per scelta: non si diventa barboni dall’oggi al domani e quello di finire in mezzo ad una strada rappresenta l’ultima stazione di una via crucis che segue il binario della disperazione. Ci sono tutta una serie di passaggi che ti portano a questo; finire in mezzo ad una strada è l’ultima fase, lo stadio terminale.

Ex detenuto fino al 2006, mi sono inserito nel mondo lavorativo fino al fallimento non dovuto alla mia incapacità di costruire e lavorare. Sono qui a protestare per fare in modo di smentire quella voce che dice che questa è una scelta: non c’è nessuno che lascia volontariamente la propria casa per andare a vivere all’addiaccio in mezzo alla strada. La mia protesta quindi è per cercare di portare alla luce questa grave carenza anticostituzionale, che è l’isolamento sociale. Si parla tanto di omosessualità, di differenza di razza e colore ma non si parla mai di questa altra forma di discriminazione; l’isolamento sociale è una condanna a morte. Come dicevo prima, questa non è una scelta, ma l’ultimo passaggio di un percorso: anche nel mio caso non ho scelto io questa condizione, mi ci sono trovato.

È dal 2009 che sono isolato da tutto il contesto lavorativo, assistenziale; non mi danno neanche la pensione di invalidità, ed io soffro di depressione e crisi di panico. Sono a rischio di morte improvvisa in quanto non assumo i farmaci come dovrei, perché costano 20 euro a settimana. Dovrei avere l’invalidità del 100 %, ma non mi riconoscono più del 65% evidentemente per non farmi avere un sostentamento. Sono senza fissa dimora, ho una vecchia Fiat Uno come riparo notturno. Quello che vorrei è mettere in evidenza questo grave problema, dire ai nostri politici che guardino la nostra Costituzione dove c’è scritto che la nostra è una Repubblica fondata sul lavoro e la sovranità appartiene al popolo; allora io sarei una sovranità, ridotta in mezzo alla strada.

Sono anni che protesto, sono andato presso i servizi sociali ma non ho avuto nessuna risposta concreta. Solo due parole: “Non possiamo far nulla”. Sono un nessuno, questo sto cercando di dire; noi siamo gli invisibili. Sono ben visibili i ragazzi di colore ospitati presso strutture a 5 stelle, vitto, alloggio, telefono ultima generazione, loro possono chiedere soldi al semaforo. Se dovessi farlo io, di certo sarei denunciato per accattonaggio. Per loro c’è tutto: assistenza medica ed altro. Io non mi posso curare, le mie medicine non sono mutuabili. Ogni giorno, per me, è vivere la morte.

Non posso avere rapporti con i miei figli, vivono con la madre grazie a Dio. Dove li invito? Sul sedile dell’auto a prendere un caffè? O forse sul ponte Vanvitelli dove il nostro caro sindaco pensa bene di renderlo ben illuminato dimenticando la parte nascosta della città? Quella trascurata dai servizi sociali, dal sindaco, dal prefetto e chi più ne ha più ne metta. Forse la Prefettura è troppo impegnata con i profughi, con le cooperative che gestiscono i falsi migranti: il più vecchio non supera i 25 anni. Scappano dal loro Paese per la guerra? Non credo che qui per loro ci sia il Paese della fortuna e per un italiano invece c’è la morte, lenta ma efficace.

Aspettando i giorni della merla, faccio i conti con l’inverno. Avere un alloggio decente è un diritto, avere le cure è un diritto, non solo doveri verso la comunità, avere dei rapporti con i figli è un diritto, non vergognarsi di essere un padre latente o latitante e nascondere la verità ad un figlio e dire che si vive al Nord Italia per evitare di vederli, costruire un rapporto decente: questo non mi è concesso, come tante altre cose”.

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