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POLITICA

L’Autonomia spazzata via e l’Europa da salvare: la grande occasione di Forza Italia

Le conseguenze politiche della pronunzia con la quale la Corte Costituzionale ha smontato la riforma Calderoli sono tutte da decifrare. Perché se non c’è dubbio che si tratta di una sconfitta devastante per la Lega e per il governo, e dunque di una vittoria delle opposizioni, non tutti gli sconfitti hanno perso allo stesso modo e non tutti i vincitori hanno vinto nella stessa misura.

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L’autonomia differenziata non esiste più. La Corte Costituzionale ha esaminato i ricorsi presentati dalle Regioni di centrosinistra, Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, e ha di fatto smantellato i capisaldi della riforma Calderoli, sancendo l’incostituzionalità di ben sette punti ed accogliendo, per questa via, tutti i rilievi avanzati da quanti, in questi anni, hanno combattuto contro la secessione leghista.

Dai Livelli essenziali di prestazione ai tributi, la Corte ha rimosso l’inganno, ovvero tutte le previsioni volte a mettere in discussione il principio di sussidiarietà e di unità della Repubblica cassando la possibilità di trasferire intere materie alle regioni, ristabilendo la centralità del Parlamento. La norma non poteva essere ritenuta del tutto incostituzionale perché la devoluzione è prevista nella Carta dal 2001, quando fu riformato il Titolo Quinto. Ma nella sostanza non resta più nulla della riforma Calderoli, perché tutte le misure previste, funzionali a garantire vantaggi alle regioni più ricche e a superare il vincolo di sussidiarietà, sono venute meno. Quel che resta è un testo monco, dunque inapplicabile.

Le conseguenze di questa pronunzia, in punto politico, sono tutte da decifrare. Perché se non c’è dubbio che si tratta di una sconfitta devastante per la Lega e per il governo, e dunque di una vittoria delle opposizioni, non tutti gli sconfitti hanno perso allo stesso modo e non tutti i vincitori hanno vinto nella stessa misura. Sulle macerie dell’Autonomia differenziata, a ben vedere, può ballare soprattutto Forza Italia. E proviamo a capire perché.

Difficilmente, a dispetto di quanto dichiarato da molti, il Parlamento potrà recepire le indicazioni della Corte Costituzionale, in primo luogo perché non ci sono le risorse per intervenire sui livelli essenziali di prestazione, in seconda battuta perché l’impossibilità di trasferire intere materie mina le fondamenta del disegno riformatore leghista. Senza il quale verrà inevitabilmente meno anche il premierato, ovvero la madre di tutte le riforme secondo Giorgia Meloni.

Matteo Salvini lo ha già detto nella consapevolezza di non poter rinunciare alla battaglia per l’autonomia, ultimo baluardo identitario della Lega dei territori e dei governatori. Venuta meno quella prospettiva il Capitano si troverebbe in enorme difficoltà, perché se fino ad oggi è riuscito a contenere la ribellione interna, a tenere insieme la Lega storica con la Lega di Vannacci, è proprio in ragione di quella promessa tradita dalla pronunzia della Corte. E questo è un enorme problema anche per Giorgia Meloni e per la tenuta stessa della maggioranza, perché se i patrioti non si faranno ammazzare per il premierato la Lega dei territori, del Nord profondo, senza autonomia non ha più ragione di esistere.

Di contro possono certamente gioire le forze di opposizione, che su questa battaglia si sono ritrovate unite senza distinguo, ma solo fino a un certo punto. Perché la Corte ha di fatto svuotato la riforma Calderoli e, per questa via, ha messo in discussione il referendum abrogativo sul quale proprio le opposizioni, in concorso con la Cgil e i comitati, avevano raccolto più di un milione e duecentomila firme. Qualora la Cassazione dovesse ritenere superato il quesito referendario le forze di opposizione perderebbero l’occasione di dare una spallata plebiscitaria al governo che avrebbe dovuto e potuto rappresentare il vero passaggio fondativo dell’alternativa in vista delle politiche.

Diverso, invece, il discorso per Forza Italia. Il partito guidato dal Ministro degli Esteri, che alle europee ha ottenuto un ottimo risultato rispetto alle previsioni grazie ai voti raccolti nel Mezzogiorno, aveva apertamente preso le distanze dalla riforma Calderoli, ponendo l’accento sulla necessità di scongiurare il rischio che l’autonomia si traducesse in una condanna per il Sud. E non è certo un caso se da quelle parti la pronunzia della Corte ha spinto molti ad affermare che la riforma è ormai fuori dall’agenda riformatrice. Insomma, la sentenza restituisce forza alla linea assunta da Forza Italia, che punta ad accreditarsi sullo scenario politico come il partito dei moderati che vuole occupare lo spazio che sta tra Meloni e Schlein, tanto più in ragione delle fibrillazioni che si registrano in Europa e che rischiano di mettere in discussione la tenuta dell’asse che ha sostenuto la rielezione di Ursula Von Der Leyen alla Presidenza della Commissione europea. Lo scontro tra Popolari e Socialisti cade sulle spalle di Forza Italia, che in questa fase avrebbe gioco facile a farsi carico della mediazione su Fitto, giocando di sponda con il Quirinale e spingendo i Conservatori di Meloni a rompere l’asse con il blocco sovranista, nel nome dell’europeismo.

Questa prospettiva, persino a prescindere dall’esito della mediazione, restituirebbe ulteriore spinta alla linea assunta dal partito, consentirebbe a Forza Italia di alzare il tiro, di uscire definitivamente dal cono d’ombra degli alleati, di rafforzare l’opa sull’elettorato centrista e moderato. Ed in tal senso vanno lette anche le dichiarazioni di Antonio Tajani che non ha esitato a prendere le distanze dalle parole di Elon Musk contro i magistrati italiani e ad elogiare il Capo dello Stato.

Insomma, se l’ambizione di Forza Italia è quella di andare ad occupare lo spazio tra Meloni e Schlein, se la linea è quella dettata nei mesi scorsi da Marina Berlusconi, questo è il momento di puntare al salto di qualità, il momento di prendere il largo percorrendo la via delle terzietà rispetto agli alleati di governo, a partire dalle riforme, e spingendo sulla necessaria mediazione in sede europea nel nome del popolarismo. Che a destra, come insegna la storia, muore.

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