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Opinioni

Nel 2024 potrebbe cambiare tutto. Ma per noi non cambierà niente

A giugno si voterà per le europee e per le amministrative, passaggio decisivi che potrebbero restituirci scenari ed equilibri politici radicalmente diversi da quelli sui quali oggi ci misuriamo. Un anno decisivo per il futuro della Campania, un anno di transizione per gli apparati, un anno nel corso del quale il merito delle grandi questioni che gravano sul presente e sul futuro dei nostri territori non troveranno spazio alcuno nel dibattito pubblico. Un anno, dunque, in linea con quello che si è appena concluso

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Il 2024 sarà un anno particolarmente intenso e scoppiettante dal punto di vista politico. A giugno, come noto, saremo chiamati alle urne per le elezioni europee, una contesa decisiva per il futuro dell’Unione e per gli equilibri globali di un mondo che scivola allegramente verso il precipizio, una contesa che avrà ricadute enormi anche sul piano politico nazionale. Come noto per le elezioni europee vige un sistema elettorale proporzionale, dunque ogni forza politica correrà in autonomia. Questo significa che le urne cristallizzeranno tanto i rapporti all’interno della maggioranza, con conseguenze imprevedibili sulla tenuta dell’esecutivo e persino sulla prosecuzione di questa legislatura, quanto tra i partiti di opposizione, con conseguenze molto più che prevedibili sulla tenuta dei gruppi dirigenti alla guida delle singole forze del potenziale campo largo.

Proviamo a semplificare. Posto che di qui al voto di giugno la tensione già altissima tra le forze di maggioranza crescerà ulteriormente, dunque non è possibile escludere la possibilità di strappi anche sanguinosi tra le forze di governo, qualora Forza Italia dovesse uscire eccessivamente ridimensionata dalle urne, attestandosi su percentuali molto al di sotto della doppia cifra, magari appena superiori al fatidico 4 per cento, si aprirebbe inevitabilmente una fase di grande incertezza per la maggioranza e per l’esecutivo, che seppur gestita in Aula senza eccessivi patemi aprirebbe comunque la strada ad un inevitabile processo di rigenerazione dello spazio politico che sul lungo periodo potrebbe determinare profondi cambiamenti, a destra come a sinistra. Analogamente, qualora la Lega non dovesse riuscire ad erodere una significativa quota di consenso a Fratelli d’Italia, tale da ridurre la distanza che in questo momento separa i due partiti, dunque da rimettere in discussione i rapporti di forza, Matteo Salvini, la cui leadership verrebbe inevitabilmente messa in discussione, non potrebbe far altro che alzare l’asticella delle pretese mettendo sul piatto la determinazione a far saltare il tavolo, vuoi sull’autonomia, vuoi sul terzo mandato di Luca Zaia in Veneto. Allo stesso modo Giorgia Meloni potrà misurare la solidità della propria leadership, stando ben attenta a gestire un eventuale exploit, per le ragioni che abbiamo appena provato a spiegare, ovvero un eventuale rigurgito a destra, in favore della Lega, che renderebbe ancora più complicata la svolta moderata dei patrioti italiani che passerebbe, inevitabilmente, per una ardita ricollocazione nella geografia politica europea.

Volgendo lo sguardo dall’altra parte del campo le europee rappresenteranno un punto di non ritorno per tutti. In primo luogo per Elly Schlein e per il suo Pd. Se il partito supererà agevolmente la soglia del 20 per cento allora questo gruppo dirigente proseguirà il suo cammino, se invece dovesse fermarsi sulle medesime percentuali che oggi segnalano tutti i sondaggi sarà inevitabile l’apertura di una nuova fase congressuale, previo commissariamento, funzionale alla vendetta degli apparati che uscirono sconfitti dai gazebo un anno fa. Allo stesso modo, il Movimento Cinque Stelle punta a mettere in discussione l’egemonia del Partito democratico nel centrosinistra ma nella misura in cui le urne dovessero restituire a Conte e ai suoi un risultato deludente anche a quelle latitudini si aprirebbe nuovamente la partita per la leadership, perché l’ala più radicale e nostalgica, quella che oggi viene interpretata da Di Battista e Raggi, ovvero da Grillo, passerebbe al contrattacco. Manco a dirlo le europee ci diranno molto anche sulle altre forze del campo largo, in primo luogo sul futuro del Terzo Polo di Calenda e Carfagna, delle reali prospettive di quel progetto, a partire dalla capacità di esprimere una proposta di rappresentanza autonoma, e ci diranno tutto sul futuro di Matteo Renzi, ormai rimasto solo nel nome del suo Centro.

Ma a giugno, come noto, molti italiani saranno chiamati alle urne anche per importanti elezioni amministrative che da Nord a Sud coinvolgeranno milioni di elettori. Elezioni fondamentali che sul piano generale assumeranno particolare rilevanza politica proprio perché la contesa per il Parlamento europeo metterà inevitabilmente a dura prova la tenuta delle alleanze sui territori. Se oggi assistiamo allo scontro interno alle forze di maggioranza sulle candidature apicali nelle regioni che saranno chiamate al voto in primavera, Sardegna su tutte, è facile immaginare quel che potrebbe accadere quando il livello dello scontro supererà i livelli di guardia, tanto più in considerazione del fatto che la vera priorità di Giorgia Meloni è quella di guadagnare potere proprio sui territori, nelle istituzioni locali, laddove il partito continua a non esistere, a pagare un enorme vuoto di classi dirigenti. A discapito, ovviamente, degli alleati. In primis della Lega a cui, non a caso, non ha concesso la riforma delle Province. Allo stesso modo le amministrative di giungo rappresenteranno un importante banco di prova anche per il cosiddetto campo largo, per la tenuta di quello schema di alleanze, ed in qualche misura un’opportunità per il Pd, partito dei territori per eccellenza, soprattutto nel centro Sud, che nella mobilitazione del voto strutturato potrebbe trovare una spinta decisiva anche per le europee. Principio che non vale né per il Movimento Cinque Stelle né per gli altri alleati.
In tale quadro, venendo alle cose di casa nostra, il 2024 sarà l’anno che aprirà la strada alla grande corsa per le elezioni regionali dell’anno successivo.

Tutto quel che accadrà a queste latitudini troverà senso in ragione di quell’appuntamento, ogni singolo riposizionamento, ogni singolo accordo, ogni singolo scontro sul piano istituzionale. Sarà l’anno in cui capiremo se Vincenzo De Luca potrà perseguire il sogno del terzo mandato e con quale formula, se nel nome del Pd e del campo largo o se da solo contro tutti. Dunque sarà anche l’anno in cui i suoi colonnelli, sparsi sui territori, capiranno se dovranno immaginare o meno un futuro all’ombra di un altro leader, di un altro Presidente, l’anno nel quale si celebreranno i congressi locali di Fratelli d’Italia, l’anno in cui questa destra di governo dovrebbe provare ad organizzarsi sui territori, dovrebbe provare a dare forma e sostanza ad una ipotesi riconoscibile di alternativa all’egemonia del centrosinistra sul piano regionale. E sarà l’anno in cui si voterà in molti importanti comuni, tra questi anche Avellino, con tutte le conseguenze del caso sulla geografia del potere dei territori. Un anno, dunque, nel corso del quale il merito delle grandi questioni che gravano sul presente e sul futuro delle nostre aree interne non troveranno spazio alcuno nel dibattito pubblico, un anno di transizione nel corso del quale lo scontro si consumerà esclusivamente sul terreno della gestione e del consenso.

Un anno, a ben vedere, in linea con quello che si è appena concluso.

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